24 Marzo 2020
“Resta a casa”. Questo è un imperativo che ognuno di noi sente o legge ogni qualvolta accende la televisione su un qualsiasi canale oppure apre un social. Una regola che ci è stata imposta per tutelare in primis la nostra salute e anche quella dell’intera società. Un piccolo sacrificio, com’è stato definito da molti, che per molte donne e bambine non è per niente semplice. La casa dovrebbe essere considerata da tutti sinonimo di sicurezza, un posto dove rifugiarsi quando quello che c’è fuori cerca di arrecare sofferenze. Il problema sorge quando ciò che vuole farti del male ha le chiavi di casa. E sfuggire, a quel punto, sembra impossibile.
La situazione d’emergenza che il mondo sta affrontando in questo determinato momento storico non ferma gli abusi e le violenze sulle donne, anzi sembrano aumentare e diffondersi più della pandemia stessa. Le donne si trovano costrette a scegliere se rischiare la vita uscendo di casa oppure rimanere dentro e subire maltrattamenti sia fisici che psicologici. Un paradosso che con l’aumento delle restrizioni non riesce di certo a risolversi. Tutto ciò che non è considerato un bene essenziale è stato chiuso per diverso tempo. L’unico spiraglio per chiedere aiuto si apre nei pochi minuti in cui le donne sono sole in casa e trovano il coraggio di comporre il numero nazionale dei centri antiviolenza (1522) che rimane sempre attivo. I centri antiviolenza italiani e le attiviste di “Non Una di Meno” continuano ripetutamente a lanciare appelli rivolti a chi si trova in situazioni di pericolo: «Chiedete aiuto», ricordando che oltre al servizio pubblico della Presidenze del Consiglio-Dipartimento Pari Opportunità, attivo 24 ore su 24, è possibile cercare aiuto anche via chat, se il timore di essere scoperte dovesse rappresentare un ostacolo troppo grande. “È importante che in questo periodo i centri antiviolenza rimangano aperti, riorganizzando le attività perché siano rispettati gli standard sanitari necessari. Ed è per questo che ho scritto al commissario della protezione civile Angelo Borrelli per far sì che nella distribuzione dei dispositivi di sicurezza consideri in modo prioritario anche queste realtà. Nei prossimi giorni mi riserverò di convocare in videoconferenza la rete dei centri per raccogliere istanze e condividere le misure che stiamo mettendo in campo“: è quanto dichiarato da Elena Bonetti, Ministra delle Pari Opportunità e della Famiglia. Le donne che escono per recarsi in un centro antiviolenza non devono preoccuparsi dell’autocertificazione (tra l’altro è possibile compilarla anche al momento del controllo) in modo da non dar spazio al timore di essere scoperte a causa del documento.
La difficoltà di riuscire a telefonare rappresenta uno scoglio grande da superare ed è proprio per questo che in Spagna è nata la campagna “Mascarilla19” (Mascherina19). Le donne che non possono utilizzare lo strumento telefonico, possono recarsi in farmacia e chiedere una “mascherina19” , una richiesta che all’apparenza può sembrare normale e non destare alcun sospetto, ma che in realtà rappresenta un codice per segnalare maltrattamenti. L’idea, nata dalla collaborazione del governo delle isole Canarie con l’associazione delle farmacie, è arrivata anche nelle altre comunità autonome spagnole, da Madrid a Valencia, e chissà che non possa varcare i confini nazionali. «È importante far sapere alle donne che, anche in questa situazione, non sono sole», ha dichiarato Kika Fumero, direttrice dell’istituto canario per l’uguaglianza, ed in questo momento delicato di convivenza forzata le farmacie provano ad essere un porto sicuro in cui poter chiedere aiuto.
L’emergenza sanitaria non ferma la violenza e questa affermazione è sostenuta anche dai dati della “Casa delle donne” di Pisa che, solo nelle ultime settimane, ha registrato 61 telefonate da parte di donne mediamente tra i 30 e i 40 anni, vittime di violenze psicologiche, fisiche ed economiche. «Ci chiamano approfittando dei momenti in cui il convivente esce a fare la spesa, e ci raccontano le loro storie di abusi denunciando situazioni di conflittualità, maltrattamenti e controllo da parte del partner esasperate dalla vita forzata tra le quattro mura domestiche», raccontano le attiviste dell’associazione. I maltrattamenti non si fermano, ma non lo fanno neanche le operatrici che continuano ad aiutare le donne in difficoltà. È importante, essenziale, che queste ultime comprendano che c’è un’alternativa, che una via d’uscita, anche se sembra impossibile, c’è sempre. Ed è altrettanto importante che ci siano più case rifugio e posti letto di cui le donne possano usufruire. In modo che chiunque trovi il coraggio di lasciare la propria casa non debba preoccuparsi di non avere un posto dove rifugiarsi per sentirsi al sicuro. Anche durante una pandemia, la violenza domestica va denunciata e alle persone che ne fanno richiesta va assicurata protezione e sicurezza.
Annaclaudia D’Errico