27 Gennaio 2022
Il Treno della Memoria è una comunità viaggiante. Si tratta di un progetto nazionale che organizza ogni anno delle visite guidate presso il Campo di Auschwitz-Birkenau per una testimonianza diretta della pagina più oscura scritta dall’umanità nel secolo scorso. Un’esperienza educativa che coinvolge diversi istituti scolastici e durante la sua attività ha accompagnato oltre 37 mila ragazzi e ragazze. Oltre a visitare il Campo di Auschwitz, l’ente è attivo attraverso la pubblicazione di articoli, l’organizzazione di progetti e cicli di incontri relativi all’Olocausto. In occasione della Giornata della Memoria, ci siamo confrontati con il Dott. Paolo Paticchio, Presidente dell’Associazione Treno della Memoria, sulla memoria da preservare e su quanta importanza sia data a temi come l’antisemitismo nella società odierna.
Tra le righe di presentazione delle vostre attività si nota fin da subito l’interesse che mostrate non solo verso la ricostruzione storica degli avvenimenti legati alla Shoah ma anche verso il processo di produzione di odio e indifferenza sociale che sappiamo essere stati presenti non soltanto nel periodo storico della seconda guerra mondiale. Quanto, secondo voi, oggi l’Italia si mostra attenta e impegnata a contrastare la riemersione di quegli stessi sentimenti/atteggiamenti che numerose volte abbiamo visto essere rivolti verso i migranti, le persone di colore e la comunità LGBT+?
Crediamo in una memoria che sappia commemorare chi ha subito sulla propria pelle la violenza fisica e verbale del nazifascismo, crediamo in una memoria che aiuti le nuove generazioni ad essere pronte a raccogliere il testimone dei testimoni, crediamo in una memoria che aiuti ad imparare le lezioni della storia. Nel nostro Paese, ma in realtà è un fenomeno territorialmente molto più diffuso, spesso si soffia sul vento dell’odio per poter aizzare i peggiori lati dell’essere umano. Ma al contempo abbiamo sempre visto il mondo dell’associazionismo, della cittadinanza attiva, della popolazione studentesca continuare a prendere parte e difendere i valori della “famiglia umana”. Non è sufficiente, possiamo e dobbiamo fare di più.
In un vostro articolo, citate Georges Bensoussan, nel suo L’eredità di Auschwitz. Come ricordare? (Einaudi 2014): “Oggi la Shoah è talmente commemorata da generare insofferenza. Essa, infatti, rappresenta la parte indicibile della memoria europea, la sua parte vergognosa, e illumina nella maniera più cruda la storia della lunga assuefazione allo sterminio degli ebrei”. Questa insofferenza è secondo voi effettivamente generata da una vergogna intrinseca alla nostra società rispetto agli avvenimenti successi (tanto da non riuscire ad accettare alcun tipo di discussione su di essi) o c’è un reale disinteresse nei confronti del ricordo?
È figlia di entrambi i fenomeni, con l’aggiunta del fattore “tempo”. Quest’anno sarà il 77esimo anniversario dalla liberazione dei campi di concentramento e sterminio di Auschwitz e Birkenau. Fino a quando questa storia sarà insegnata come una materia come un’altra è comprensibile possa essere percepita come sempre più lontana. Dobbiamo invece impegnarci nel trovare soluzioni educative innovative che sappiano mettere insieme nozioni ed esperienze, istituzioni scolastiche e associazionismo.
Sul vostro sito è presente anche “Il manifesto contro la discriminazione” in collaborazione con Amnesty International Italia che vuole incentivare un maggior impegno scolastico di docenti, studenti e studentesse per creare un ambiente inclusivo, valorizzare le diversità e con un linguaggio e un comportamento rispettoso e corretto. Quanto ritenete importante il ruolo dell’educazione scolastica nella formazione di una società priva di ogni forma di discriminazione? Credete che rispetto agli anni passati il modello scolastico sia migliorato? Il tema della memoria viene trattato in maniera sufficientemente approfondita?
La scuola, le insegnanti e gli insegnanti, sono una spina dorsale che permette al nostro Paese di poter camminare, nonostante tutto, a schiena dritta. Con il lavoro del corpo docente, mai adeguatamente ringraziato e riconosciuto, la scuola riesce a sopperire anche alle sue carenze strutturali in tematiche cruciali come le discriminazioni e la conoscenza della storia più contemporanea.
Un altro dei vostri progetti riguarda la rivista “Pagine della memoria”, presentata durante la XXX edizione del Salone del Libro di Torino, nata anche per allontanare la data del 27 gennaio da un senso di abitudine che spinge molti forse a celebrare in maniera fredda perché considerata un obbligo e reputando il periodo della Shoah troppo lontano. Eppure, come viene ben spiegato nell’articolo di presentazione della rivista, la questione del fascismo è ancora un tema estremamente delicato in Italia. Quale impatto ha avuto la rivista nei suoi lettori? Quali sono i temi trattati nei successivi numeri? Quanto è importante ancora oggi ricordare?
La rivista è il contenitore nel quale docenti universitari, professori ed animatori culturali si ritrovano, coordinati dal prof. Daniele De Luca, responsabile del nostro comitato scientifico, e pongono al centro della riflessione lo stato di salute della memoria collettiva e ragionano su quali possono essere gli strumenti per migliorare e affinare le proposte educative. La risposta da parte dei lettori è stata sorprendente per una rivista così specifica. C’è un bisogno diffuso di abbandonare le inerzie e cogliere sfide così ambiziose. Lavoreremo per il prossimo numero, come ogni edizione, in vista della prossima edizione del Salone del Libro.
Nel 2021, la lettera di Emanuele Filiberto in cui invoca perdono per la firma di Vittorio Emanuele III sulle leggi antisemite del 38 non è stata ben accolta né dell’Ucei, né dall’opinione pubblica, che ha anch’essa considerato tardive le scuse del membro della famiglia Savoia. Al di là delle tempistiche (fin troppo lunghe) si tratta secondo voi di un’azione avvenuta in questo preciso momento storico per scopi strumentali?
Il rischio della strumentalizzazione della memoria è sempre vivo. Noi abbiamo bisogno sì di parole chiare ma sono altrettanto importanti le azioni conseguenti.
Anche l’Unione delle Comunità Romanès in Italia si è dimostrata contraria all’azione di Filiberto per il suo ritardo e anche per il suo aver omesso, all’interno delle sue dichiarazioni, riferimenti anche allo sterminio di rom, sinti, persone appartenenti alla comunità LGBT e persone disabili. Una dimenticanza che appartiene in realtà anche a buona parte della popolazione. Siamo effettivamente ancora inconsapevoli di una memoria che dovrebbe essere ancora più ampia date le discriminazioni a cui sistematicamente assistiamo?
Il tema degli stermini dimenticati è certamente una grande ingiustizia. Dobbiamo essere in grado di riconoscere l’unicità della Shoah e ricordare come l’obiettivo del regime nazionalsocialista era certamente la “soluzione finale della questione ebraica” ma anche l’emarginazione ed eliminazione sistematica di tutto ciò che poteva rappresentare una “divergenza” rispetto a improbabili canoni di purezza. È successo con i rom, con i sinti, gli appartenenti alla comunità LGBT, ai disabili e anche agli oppositori politici. Per ricordare tutte le persone che hanno dovuto subire la persecuzione, la detenzione e lo sterminio, durante il viaggio del Treno della Memoria i partecipanti vengono accompagnati in percorsi specifici di conoscenza e approfondimento.
“Mai perdonato, mai dimenticato” sono le parole della sopravvissuta all’olocausto e senatrice a vita Liliana Segre. La sua figura, nonostante la testimonianza che porta avanti negli anni, non è stata esente da critiche e insulti quotidiani, anche da parte di esponenti politici. Atti che comunque non hanno fermato l’impegno di Liliana Segre portandola ad essere la prima firmataria della proposta per l’istituzione di una commissione contro razzismo e antisemitismo che ha visto l’astensione di tutto il centrodestra. Com’è possibile che ancora oggi si verifichino eventi di questo tipo? Atteggiamenti a livello governativo che reputano forme di razzismo e antisemitismo giustificabili, classificando la proposta delle senatrice come un atto di censura?
L’immagine della sola metà del Senato, la cosiddetta Camera Alta, in piedi davanti alle parole della senatrice Segre sono una vergogna che chi è rimasto seduto difficilmente potrà superare. Credo che ci sia spinti fino a questo punto quando si è deciso che la pagina peggiore della nostra storia, quella stessa pagina che ci ha permesso poi di avere un Paese rinato dai valori fondamentali presenti nella Costituzione, potesse diventare materia da campagna elettorale continua. Che Liliana Segre sia senatrice a vita è un onore per tutta l’Italia per bene.
Nel 2019 abbiamo assistito allo sfoggio da parte dell’ex candidata sindaco di Forza Nuova a Budrio di una maglietta recante la scritta “Auschwitzland” e al pubblico invito del museo di Auschwitz a non giocare a fare gli equilibristi sui binari che condussero migliaia di ebrei alle porte del campo di concentramento. Stiamo assistendo ad un generale allontanamento dai valori della memoria? Com’è possibile che un luogo così simbolico della sofferenza umana riesca a suscitare sentimenti che non siano compassionevoli?
Ricordo ancora quella maglia e quel sorriso. Solo chi ha deciso di voler sposare una ideologia criminale può indossare un messaggio così vergognoso a cuor leggero. Purtroppo è possibile che alcuni esseri umani possano inventare qualsiasi teoria antistorica pur di non riconoscere ciò che è accaduto. Sono nostalgici, sono fascisti, e se i nostri tentativi di rendere chiara la lezione della storia diventano comunque vani, queste sono persone che dovrebbero stare fuori dalle partite democratiche. Lo dice la nostra Costituzione.
Nel 2019 due inviati de L’Espresso, Federico Marconi e Paolo Marchetti, furono aggrediti dal leader di Forza Nuova Giuliano Castellino e da Vincenzo Nardulli di Avanguardia Nazionale mentre erano a Roma a documentare un raduno dell’estrema destra. L’evento non ha ottenuto l’attenzione dovuta, soprattutto da parte del governo italiano che non si è espresso in nessun modo sull’accaduto. Aggiungiamo a questo la nota espressione “il fascismo ha fatto anche cose giuste”. L’Italia, da questo punto di vista, continua ad avere un problema di accettazione della sua storia e di accettazione dei valori democratici formalizzati dall’entrata in vigore della Costituzione che, tra le disposizioni transitorie e finali, vieta la riorganizzazione del partito fascista sotto ogni forma?
C’è una parte di Paese che, con un meccanismo della logica quantomeno bizzarro, va dall’idolatria delle opere del Duce (spesso falsità enormi come la storia delle bonifiche, delle pensioni, ecc.) alla minimizzazione del ruolo del regime fascista disegnato come animato dagli “italiani brava gente”. Invece, dobbiamo da un lato fare i conti con la nostra storia, senza mezzi termini, e riconoscere la colpa collettiva nell’esperienza di quel male assoluto che è stato il fascismo; dall’altro lato, oggi, dobbiamo senza tentennamenti sciogliere quelle forze che chiaramente si richiamano al fascismo, che sia del primo/secondo/terzo millennio poco importa. Questo è un messaggio importante per tutte le forze politiche: la questione dei fascismi non può essere tema centrale solo in campagna elettorale. La differenza si fa dal giorno dopo, quando le urne chiudono, e si passa alla prova dei fatti.
È recente la notizia dell’aggressione fisica e verbale ad un bambino ebreo di 12 anni a Livorno da parte di due 15enni. Usata come insulto nei suoi confronti è stata anche la frase “Ti mettiamo nel forno”, in riferimento ai crimini perpetrati durante l’Olocausto. A denunciare l’atto è stato sia il Comune della cittadina e sia la presidente Commissione Cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati dicendosi preoccupata poiché questa aggressione rappresenta come le nuove generazione abbiano sempre meno strumenti per capire il baratro dell’antisemitismo, del razzismo e dell’omofobia con il diminuire dei testimoni diretti, l’aumento della disinformazione, delle fake news e dei contenuti ambigui. Secondo voi, questa forma di violenza rappresenta un campanello d’allarme per le generazioni future? Quale manovre si potrebbero mettere in atto per preservare la memoria sempre più dimenticata? E quanto è importante il ruolo della società, delle istituzioni, per educare le giovani generazioni su temi così delicati?
È la dimostrazione che l’antisemitismo, purtroppo, è ancora presente. Così come il razzismo nelle sue sfaccettature. Dobbiamo far sentire tutta la nostra vicinanza al giovane di 12 anni e alla sua famiglia; dobbiamo condannare senza mezzi termini le parole e le azioni delle due ragazze di 15 anni. Ma nessuno di noi può accontentarsi di queste doverose posizioni. Serve un cammino quotidiano per fare in modo che le nuove generazioni siano per davvero le prime ad aver imparato la lezione della storia e che a loro volta sono pronte a insegnarla anche alla generazione dei loro genitori. Io quei 15enni li ho visti ogni anno durante i viaggi del Treno della Memoria, e sono convinto che, quando accompagnati, ascoltati e sostenuti, possono saper imboccare la via di crescita sociale e civile del Paese.
La Redazione