11 Luglio 2024
Carlo Falvella è stato uno studente dell’Università di Salerno, Vice Presidente del FUAN Salerno, ucciso nel 1972. L’episodio che lo riguarda rientra nel periodo definito dagli storici come “gli anni di piombo”, in cui la dialettica politica estremista raggiunse livelli critici di pericolosità provocando sul suolo italiano scontri, uccisioni e atti terroristici. Sono morte centinaia di persone tra attivisti, forze dell’ordine e cittadini innocenti. È una delle pagine più buie della storia italiana. Ma è una pagina chiusa, a cui i processi giudiziari e quelli storici hanno già da tempo messo un punto. Chi ha ucciso Falvella è stato arrestato e condannato. Ad oggi, nessuna realtà associativa, soprattutto in Università, organizza incontri commemorativi per ricordare chi è morto durante quella stagione. A farlo, e questo è un dato nazionale, sono perlopiù organizzazioni di estrema destra che colgono queste occasioni come pretesto per sfoggiare parole, gesta e simboli fascisti. Sebbene, ad oggi, si faccia un’interpretazione limitata della Legge Scelba che individua come reato l’apologia del fascismo, il continuo diffondersi della cultura fascista può, e di fatto dovrebbe, costituire un pericoloso campanello d’allarme per chiunque possegga una coscienza, più che una conoscenza, dell’antifascismo.
In virtù di questo, non poteva che essere attenzionata la locandina apparsa sulla pagina Instagram di Azione Universitaria volta a comunicare che l’8 luglio, alle 18:00, in aula Volterra, si sarebbe svolta la commemorazione in onore di Carlo Falvella. Soprattutto se a ciò si aggiunge la circostanza che il giorno prima, 7 luglio, a Salerno, è stata celebrata una manifestazione in onore di Falvella in cui i manifestanti si sono resi protagonisti di azioni e simboli dichiaratamente fascisti.
Chiunque fosse sufficientemente informato di questo e sentisse forte la tensione e la paura che spesso questi eventi provocano, si sarà sentito in dovere di non restare indifferente e di farsi personalmente testimone di quanto sarebbe potuto accadere durante l’evento commemorativo dell’8 luglio in aula Volterra. Chiunque è andato lì, si è imbattuto in un divieto: quello di accesso all’aula. Nessuna persona, ad eccezione degli organizzatori, è potuta entrare. Mentre chi ha organizzato l’evento si è posizionato all’interno dello spazio didattico, gli studenti e le studentesse che erano giunti per assistere all’evento sono rimasti fuori, appoggiati alle mura del corridoio oppure seduti a terra. Nel mezzo, tra chi stava dentro e chi stava fuori, c’erano le forze dell’ordine. Alle richieste fatte sul perché non si potesse entrare, è stato dapprima detto che dovesse decidere chi avesse organizzato l’evento, e poi che dovessero deciderlo le forze dell’ordine. Fatto sta, che nessuno ha permesso loro di entrare perché la loro presenza è stata considerata pretestuosa.
L’evento si è svolto con le porte dell’aula spalancate, gli agenti davanti all’ingresso, gli organizzatori all’interno, e tutti gli altri fuori. La cerimonia ha previsto la lettura di alcuni brani, la deposizione di fiori, seguiti da alcuni momenti di silenzio. A conclusione dell’incontro, chi era fuori ha chiesto di poter intervenire. È stato negato anche questo. Per cui, quando gli organizzatori hanno lasciato l’aula, chi ha aspettato fuori, non avendo potuto fare un intervento interno all’aula, si è limitato a farlo nel corridoio, facendo presente quello che è scritto in un qualsiasi testo storico, ossia che il FUAN è stato un movimento di estrema destra e che ricordare Falvella significa voler continuare a diffondere quella ideologia.
I fatti dell’8 luglio sono questi. La narrazione che ne è stata fatta subito dopo è sempre la stessa: che l’intento della commemorazione è solo quello di ricordare chi è morto in virtù della propria fede politica e che chi è stato fuori ha avuto soltanto atteggiamenti non democratici perché intento a impedire lo svolgersi dell’evento.
In realtà, visto che l’episodio che riguarda Carlo Falvella rientra in una pagina storica precisa in cui a morire in virtù della propria posizione politica sono state tante persone, e altre sono morte da vittime innocenti e distanti dalle lotte politiche del periodo, organizzare un evento commemorativo di questo tipo significa soltanto offrire una rappresentazione storica distorta, non imparziale, e volta soltanto a diffondere una propaganda di parte. Non si è trattato di un convegno di impronta storica, ma di una commemorazione. Che altro non serve che a voler raccontare la storia in modo diverso: non un periodo in cui da entrambe le parti c’è stata violenza e c’è stata morte, ma una sola parte che ha subito violenza, non tenendo conto della contestualizzazione storica.
Non si comprende il carattere privatistico che si è tentato di dare all’evento (affermando che lo stesso fosse rivolto esclusivamente ai soci dell’associazione): la morte di Carlo Falvella è di dominio pubblico, è un fatto storico, chiunque è titolato a parlarne e in un evento che ha lo scopo di presentare una sola visione del fatto, la parola contraria sarebbe necessaria per controbilanciare la commemorazione di parte. Se non si vuole nulla di tutto ciò, allora forse l’occupazione di un’aula universitaria non è la scelta più adeguata. Non si comprende la necessità di chiamare le forze dell’ordine e lasciare le persone fuori a terra: gli studenti sono stati tenuti lontani da un’aula, da uno spazio pubblico, che, dal sito relativo all’occupazione delle aule, non risulta neanche occupato. Non si comprende la rilevanza che questo evento dovrebbe avere sulla comunità studentesca: abbiamo più volte richiamato l’attenzione ad offrire effettivamente servizi utili per gli studenti, di risoluzione delle istanze, ma un evento del genere, organizzato quasi a porte chiuse e con le forze dell’ordine non sembra avere nessun impatto sulle necessità di chi frequenta l’Ateneo.
Agli studenti relegati al corridoio andava garantito il diritto di replica ad un evento che non ha alcuna rilevanza pratica sulla vita degli studenti, e che si presta alla vicinanza di un generale clima di ritorno ad un culto fascista che è per definizione contrario alla Repubblica italiana. La presenza di chi era fuori è stata considerata pretestuosa ben prima che l’evento avesse inizio. Chi era lì è stato individuato come una persona pericolosa, tanto dal dover essere filmata dagli agenti delle forze dell’ordine, e presente soltanto per impedire lo svolgersi dell’evento. Non è così. Chi era a terra e appoggiato alle mura del corridoio ha parlato soltanto alla fine, a conclusione dell’evento, in seguito all’ennesimo rifiuto di fare un intervento interno all’aula e in presenza degli organizzatori, dal corridoio non perché preferisse quelle modalità ma perché soltanto quelle modalità gli sono state concesse. Quello che è stato definito un “coro da stadio” non era altro che il consueto inno (“siamo tutti antifascisti”) che ormai in tanti intonano per richiamare la propria appartenenza all’antifascismo. Le persone che erano lì sono state individuate come appartenenti ad una sola associazione che è stata etichettata come realtà che infastidisce e tenta di occupare gli spazi altrui. Possiamo confermare che nessun tentativo di occupazione è stato svolto e che lì presente non c’era solo un’associazione studentesca, ma più realtà, più studenti, e anche rappresentanti. Una delle studentesse in corridoio è stata fotografata e il suo volto è stato, sebbene un po’ oscurato, usato all’interno di un post per dare manforte agli organizzatori dell’evento. Non è pensabile né tollerabile un uso dei volti di questo tipo, che è lesivo della privacy della studentessa e non fa altro che personalizzare in modo negativo e pericoloso la dialettica.
Non è stato e non è un conflitto ideologico tra due realtà associative. È invece la formazione di un fronte, nato in modo del tutto spontaneo, che è quello antifascista, che si è allarmato per i motivi già menzionati e si è sentito in dovere di assistere, ancor prima di sentenziare, non per una questione di schieramento politico ma per la formazione interna di una coscienza antifascista che di fronte anche al più lontano riferimento all’estrema destra incarni l’obiezione e sia pronta, anche attendendo a terra, a ricordare, che il FUAN era un movimento di estrema destra e ricordarne, in modo commemorativo e non imparziale, chi ne ha fatto parte si presta alla possibilità che passi il messaggio che del modo di pensare fascista ed estremista ci sia qualcosa di salvabile. Non è così. E non può esserlo. Chiunque fosse nel corridoio dell’aula Volterra l’8 luglio lo ha detto. E noi, qui, lo ribadiamo.