29 Gennaio 2021
Credere nella forza motrice della protezione dei diritti umani, diventare attivista per seguire delicate situazioni internazionali e promuovere la pace, sentirsi delusi e traditi dall’organizzazione di cui si fa parte: è quanto accaduto a Mario Paciolla, trentenne originario di Napoli, morto il 15 luglio 2020 in Colombia. A lungo si è parlato (ndr. hanno voluto parlare) di suicidio, ma i dettagli emersi – soprattutto in relazione all’autopsia del medico legale Vittorio Fineschi – fanno propendere ormai da tempo per la tesi dell’omicidio.
Mario Paciolla si trovava in Colombia per seguire il processo di disarmo e smobilitazione, secondo gli Accordi di Pace, di alcune fazioni dissidenti delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia). In particolare, ebbe modo di assistere ad un’operazione militare avuto luogo nel villaggio Aguas Claras il 29 agosto 2019 dove morirono otto minori tra i 12 e i 17 anni. La rabbia e la delusione nei confronti della sua organizzazione nacquero nel momento in cui apprese che il Direttore dell’area di verifica, Raul Rosende, autorizzò il trasferimento di alcuni estratti del rapporto, scritto da Paciolla e da altri suoi colleghi, nelle mani del senatore colombiano Roy Barreras che usò tali informazioni per appoggiare una mozione di sfiducia nei confronti dell’allora ministro alla difesa Guillermo Botero accusato di aver occultato le prove relative alla morte dei minori.
L’accaduto scosse molto Mario Paciolla. A Novembre 2019, quando era in vacanza in Italia, provò a rimuovere ogni sua traccia da Internet: cancellò le poesie scritte per alcuni siti culturali, italiani e francesi, le fotografie, i tweet, rese privato il profilo di facebook, eseguì il backup delle informazioni sul suo pc, e chiese alla famiglia di separare la connessione che condividevano. Nello stesso mese disse di aver subito insieme ad altri colleghi alcuni attacchi cibernetici.
Nei primi giorni di luglio era pronto a tornare a casa. Comprò un biglietto per partire il giorno 20 dello stesso mese, ma fu ucciso cinque giorni prima nel suo appartamento a San Vivente del Caguán. Il corpo venne rinvenuto con tagli profondi sui polsi e un lenzuolo avvolto attorno al collo.
Molti dettagli che da qui in poi conosciamo sono merito della ricostruzione degli eventi fatta da Claudia Julieta Duque, amica di Mario, e redattrice di El Espectador. La giornalista rivela che il mouse del computer di Mario Paciolla è stato prelevato subito dopo l’omicidio, pulito del sangue (come l’intera stanza) e posto nella sede della Missione Onu a Bogotà. Ciò per ordine di Christian Leonardo Thompson Garzón, responsabile della sicurezza della Missione, nonché la persona con cui Mario era a telefono il 14 luglio 2020, poche ore prima di morire.
Ostruzione di giustizia: è l’ipotesi che fa il giornale sul comportamento assunto dalla polizia criminale colombiana – su cui la procura generale della Nazione ha aperto un’inchiesta – che permise ad una unità dell’Onu di prelevare diversi effetti personali dell’appartamento di Mario: carte di credito, passaporti, una macchina fotografica, materiale informativo, varie agende, fotografie.
In Italia la procura di Roma indaga per omicidio. Secondo il medico legale Vittorio Fineschi, la causa del decesso non può essere l’impiccagione in quanto Mario era morto già prima.
Attraverso una lunga e toccante lettera scritta da Claudia Julieta Duque a Mario Paciolla qualche giorno dopo la notizia della sua morte, siamo capaci di ricostruire lo spessore umano e culturale che avvolgeva la sua persona. Conosciamo la considerazione che aveva dei diritti umani e la lotta per la giustizia. Un poeta, un uomo giusto e libero, un professionista della pace. Non aveva paura di far valere i suoi diritti, e quelli dei suoi colleghi, nei confronti dei suoi superiori. Si prendeva gioco dell’assurdo, che rideva delle cose serie, che si infastidiva per la leggerezza dei toni dei rapporti dell’Onu. Smascherava l’ipocrisia, non accettava compromessi e credeva vivamente in un mondo di pace, giustizia e poesia.
Le parole della giornalista di El Espectador e le azioni di Paciolla ci ricordano quanto possa essere comune, trasversale e unificante lo studio, la ricerca e la diffusione dei diritti umani. La costruzione di un mondo migliore, dove si realizzano ponti tra ideali, persone e popoli.
Oggi resta (e ci resta) questo. La testimonianza della forza motrice dei diritti umani, il dovere morale di continuare a seguire la strada della giustizia e della pace, l’obbligo di partecipare attivamente alla commemorazione e preservare la potenza di un sogno.
“Mi fai male al cuore, Mario Paciolla. Da brigatista mi hai salvato la vita. Oggi c’è solo un modo per saldare questo debito: cercare la verità sulla tua morte”.