14 Maggio 2021
Ogni volta che l’argomento di conversazione ricade sul termine mafia, i primi accostamenti mentali che si fanno sono quelli relativi ai crimini legati alla droga, soldi sporchi, omicidi e soprusi. Le organizzazioni criminali, però, non conoscono limiti e da tempo si è affermata un’altra branca, quella dell’ecomafia. Il neologismo è stato coniato dall’associazione ambientalista Legambiente per indicare le attività illegali delle organizzazioni criminali, di tipo mafioso, che arrecano danni all’ambiente. I reati possono avvenire sia nella produzione, nel trasporto e nello smaltimento dei rifiuti. Lo smaltimento illegale di rifiuti tossici o di scorie nucleare, l’abbandono di rifiuti nel territorio e nei fiumi/mari, l’accumulo di rifiuti in imbarcazioni fatte affondare in alto mare, la combustione illegale dei rifiuti, l’occultamento dei rifiuti in fondamenta di edifici in costruzione, la miscelazione di rifiuti pericolosi con materiali ritenuti innocui da rivendere, lo smaltimento di rifiuti pericolosi classificandoli fraudolentemente come non per risparmiare sui costi, l’esportazione di questi nei paesi in via di sviluppo, in cui non esistono impianti di smaltimento o recupero adeguati. Sono questi i metodi di smaltimento illegali attualmente riconosciuti e le aree dove vengono trasportati ricoprono soprattutto la regione Campania e, in particolare, nelle province di Napoli e Salerno.
Il Rapporto Ecomafia 2020. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia realizzato da Legambiente scatta un’istantanea dell’immagine decisamente poco rassicurante rispetto ai reati ambientali perpetrati sul nostro territorio. Il rapporto è stato redatto analizzando i dati delle attività svolte dalla forze dell’ordine, capitanerie di porto, magistratura e il Sistema Nazionale per la tutela dell’ambiente, nato dalla collaborazione tra Ispra, agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, Agenzia delle dogane e dei monopoli. Il testo rileva, negli ultimi dieci anni, 44.179 reati contro l’ambiente commessi in Campania, 39.176 persone arrestate dopo una denuncia, 12.580 sequestri effettuati. Come già affermato in precedenza, Napoli e Salerno fanno incetta di reati contro l’ambiente, effettuati soprattutto nell’area metropolitana napoletana (38% dei reati complessivi, pari a 16.739) e nell’area provinciale salernitana (28%, pari a 12.261). Nel 2019, i reati accertati erano 5.549, il 44% rispetto all’anno prima. Un numero esorbitante, equiparabile soltanto ai 5327 reati ambientali commessi nel 2011. Ai crimini commessi hanno partecipato imprenditor*, funzionar*, amministrator*, insieme a ben 90 clan attivi nei territori analizzati da Legambiente. Tutti i reati commessi riguardano ciclo del cemento, dei rifiuti, sfruttamento di energia rinnovabile, traffico di animali, economia circolare.
I dati forniti da Legambiente, pur essendo allarmanti, non stupiscono molto. Il solo fatto che l’Italia abbia approvato una legge sui reati ambientali solo cinque anni fa, nonostante l’inquinamento sia un problema dalle origini molto più lontane, fa capire quanto nel nostro paese sia difficile fronteggiare con rapidità e tempismo un problema. Disastro ambientale, traffico di materiale radioattivo, inquinamento, omessa bonifica e impedimento del controllo sono i cinque delitti ambientali previsti dal codice penale. Da 2 a 6 anni di carcere è la reclusione per inquinamento e da 5 a 15 per disastro ambientale. Nonostante la previsione normativa, la Campania non riesce ancora a sradicare l’inquinamento. Un esempio è dato dalle acque del fiume Sarno, in grado di restare pulite e limpide soltanto durante i lockdown che obbligano le aziende alla chiusura. Il primato di fiume più inquinato d’Europa non è ancora abbastanza per chi ha il potere di intervenire seriamente sulla faccenda. Nonostante determinate azioni ai danni dell’ambiente siano state considerate come reati soltanto cinque anni fa, è da almeno diciotto anni che si sente parlare di “Terra dei fuochi”, quando uscì il rapporto Ecomafie di Legambiente, e sono almeno ventotto anni che si parla di traffico illecito di rifiuti grazie all’inchiesta Adelphi del ’93. Nonostante ciò, il fenomeno esiste ancora. L’Istituto Superiore di Sanità con dati alla mano ha finalmente detto quello che i residenti dei paesi interessati sapevano e sostenevano già: esiste una relazione causale tra la presenza di siti di rifiuti e l’insorgenza di malattie gravi. Ci sono voluti cinque anni, dal 2016 al 2021, e la collaborazione con la Procura di Napoli nord, ma alla fine la correlazione è stata confermata. Tumore della mammella, ospedalizzazione per asma, nascite premature, malformazioni congenite, leucemie sono le dirette conseguenze di 2.767 siti di smaltimento abusivo di rifiuti di cui 653 hanno assistito combustioni illegali. Oltre 354 mila persone hanno vissuto ad almeno 100 metri da tutto ciò. L’Istituto Superiore di Sanità formalizza questo proprio mentre la Cassazione condanna a 18 anni di carcere Cipriano Chianese ritenuto tra i creatori del sistema delle ecomafie. Tempo, ne è servito tanto. Per parlare liberamente di ecomafia, per denunciare e spiegare la correlazione degli avvenimenti. Per determinare l’istituzione del reato all’interno del codice penale e per condannare chi ha avviato questo processo criminale che continua a danneggiare gravemente le persone. Con i nuovi dati di Legambiente otteniamo la conferma che nulla di tutto questo è finito, che i reati contro l’ambiente continuano a venire perseguiti e che le persone continuano ad ammalarsi e a morire. Serve ancora tempo per sradicare del tutto la presenza degli ecoreati sul territorio campano, ma chi subisce le conseguenze di questi reati non può permettersi di continuare ad aspettare.
La sostenibilità ambientale, l’impegno per arrestare l’inquinamento perpetrato costantemente negli anni che ha causato profonde ferite, sembrano essere ancora solo dei punti nell’elenco dei buoni propositi per l’Italia e per la Campania. Arricchirsi sulle spalle e la salute di intere città: è questo ciò che fanno le ecomafie ed i rapporti pubblicati da Legambiente lo evidenziano. Ma l’aver ottenuto questi dati dimostra anche che qualcosa inizia a muoversi. La corruzione e i danni ambientali hanno iniziato a fare i conti con il potere delle denunce e il lavoro degli operatori della giustizia. Per quanto questo problema sia dilagante, una soluzione sembra possibile. L’impegno, da parte dei singoli e delle istituzioni, dovrà essere costante e longevo affinché le piaghe di queste città possano essere risanate completamente per smantellare pezzo per pezzo le organizzazioni criminali che avvelenano questo settore, ma i primi passi (o arresti) sono stati compiuti, la speranza è che si possa continuare a percorrere questa strada. Meglio tardi che mai.