Sui fatti del 31 marzo

Il 31 marzo l’associazione studentesca Link Fisciano pubblica un video in cui due studentɜ, a nome del loro gruppo, denunciano di essere statɜ esclusɜ dalla partecipazione a un convegno in Ateneo sull’autonomia differenziata. Il motivo di questa esclusione sarebbe stato, come la stessa associazione ha spiegato all’interno della descrizione al video, una forma di punizione operata dalle forze di polizia per via della contestazione alla presenza in Ateneo del deputato Giovanni Donzelli, fatta qualche ora prima nell’atrio di Giurisprudenza.

In un video comparso sui social si vede l’esatto momento in cui il deputato Giovanni Donzelli entra nell’edificio B e trova di fronte a sé un gruppo di studentɜ che da dietro a uno striscione contestano la sua presenza in Università. Tra il rappresentante di Fratelli d’Italia e il gruppo di studentɜ c’è un atrio occupato da almeno sette agenti della polizia (in divisa, non in borghese). Quando il deputato raggiunge l’atrio, si ferma davanti agli agenti per salutarli: un gesto, questo, che non è soltanto espressione di stima che il parlamentare sta manifestando in modo personale nei confronti degli agenti, ma racchiude principalmente un messaggio politico. Il partito Fratelli d’Italia è, infatti, la forza politica del paese che ha fatto della protezione delle forze dell’ordine un suo punto programmatico (e il decreto sicurezza che all’art.19 prevede l’inasprimento delle pene per violenza e resistenza nei confronti degli agenti di polizia e che all’art. 22 prevede una corrispondenza economica – di 10.000 euro per ogni fase del procedimento – da parte dello Stato per chi subisce processi relativi alla propria attività di servizio è solo l’ultima dimostrazione di questo). Quando il deputato Donzelli si ferma per stringere la mano agli agenti (ed è da questi ricambiato) non sta soltanto compiendo un atto personale, ma anche un atto politico, volto alla reciproca legittimazione delle parti. In una scenografia del genere, ogni posizione ha un suo significato: la politica che stringe la mano alle forze di polizia come simbolo di stima per essere lì a protezione della politica stessa, e gli agenti che vedono riconosciuto il proprio ruolo dalla politica che dichiara di volerli proteggere e difendere, e di lato lɜ studentɜ vistɜ solo come contestatorɜ fastidiosɜ.

Lɜ studentɜ sarebbero statɜ accusatɜ di essere antidemocraticɜ perché intenzionatɜ a impedire a un deputato di partecipare a un evento in Università. La repressione (che è una forma di antidemocrazia) è tale soltanto se agisce dall’alto verso il basso. Lɜ studentɜ sono, in relazione a un deputato della Repubblica, il basso. Non hanno il potere di impedire che l’Ateneo ospiti qualcunə, e non hanno il potere di impedire al deputato di partecipare a un convegno a cui è stato invitato. Lɜ studentɜ che contestano hanno solo il potere di manifestare il proprio dissenso. I video dimostrano chiaramente che non c’è stata alcuna violenza: lɜ studentɜ restano rannicchiatɜ dietro allo striscione senza mai invadere lo spazio in cui si trovano le forze di polizia.

Ciò che è accaduto nell’atrio di Giurisprudenza non andrebbe letto in una chiave securitaria di ordine pubblico (sebbene le narrazioni prevalenti avessero questo intento) ma soltanto in chiave politica: lɜ studentɜ hanno voluto manifestare il proprio dissenso per la partecipazione in Università di un deputato che è espressione dell’attuale partito di governo che nei confronti dell’Università ha lavorato a un disegno di legge il cui esame è stato sospeso in seguito all’esposto presentato in Commissione Europea. Lɜ studentɜ hanno scelto di opporsi a un partito che non ha espresso alcuna preoccupazione su quanto fatto emergere dalle inchieste giornalistiche in relazione alle espressioni di vicinanza ai simboli dell’estrema destra. Lɜ studentɜ hanno voluto dissentire sui più rappresentativi interventi normativi dell’attuale maggioranza, per esprimere un’idea di politica e di università diversa da quella che al momento l’attuale governo sta esprimendo.

Sono, infatti, note le proposte che l’associazione studentesca Link Fisciano ha presentato al Consiglio degli Studenti lo scorso 27 marzo su due provvedimenti chiave del governo: il ddl Bernini e il ddl Sicurezza. Il ddl 1240 (il cui esame è stato sospeso dalla ministra in seguito all’esposto presentato in Commissione Europea) è stato criticato per il rischio di provocare maggiore precarietà attraverso la previsione di nuove figure contrattuali del preruolo (che è quel periodo che va dalla fine del dottorato di ricerca fino all’ottenimento di una posizione stabile in Università); la proposta formulata in Consiglio degli Studenti aveva lo scopo di sollecitare l’Ateneo ad assumere una posizione che andasse contro il disegno di legge e ad istituire l’Osservatorio sulla precarietà che, attraverso la partecipazione di personale docente e personale tecnico amministrativo, potesse monitorare le condizioni di lavoro precario. Il ddl 1660 – all’art.31 – prevedeva per le Università l’obbligo di collaborazione con il Dipartimento e le Agenzie di Informazione per la sicurezza, anche in violazione delle più basilari disposizioni in termini di privacy minando la libertà accademica di studentɜ e docenti. La proposta, presentata in Consiglio degli Studenti, era volta a sollecitare l’Ateneo a mostrare dissenso verso l’art.31 e a mettere in campo strumenti di dissenso al fine di tutelare la privacy della comunità accademica. Il ddl 1660 è stato approvato come decreto-legge in una versione che elimina l’obbligo per le strutture accademiche di fornire dati che violano la privacy. Le istanze presentate in Consiglio degli Studenti sono state approvate all’unanimità: indice del fatto che su queste tematiche, la rappresentanza è stata concorde nel voler mostrare contrarietà.

Quanto ai cori: su questo, la comunità di Fisciano mostra ipocrisia quando esprime disappunto per una pratica che in Ateneo è più che conclamata. Sui social spesso sono stati pubblicati video che ritraevano associatɜ intentɜ a fare cori contro altrɜ studentɜ di altre associazioni. Non è, quindi, chiaro in che modo secondo questɜ associatɜ i loro motivetti canori dovrebbero esprimere maggiore qualità d’intenti. La differenza è solo questa: studentɜ che insultano altrɜ studentɜ è espressione becera di competizione; studentɜ che usano la propria voce (non potendo usare altro) per contestare un rappresentante politico stanno esprimendo un dissenso che va, per le ragioni sopradette, dal basso verso l’alto e quindi in una dimensione di democrazia e non di repressione (che invece si ha quando l’azione è volta dall’alto verso il basso).

Dopo la contestazione nell’atrio di Giurisprudenza, lɜ studentɜ si sono recatɜ presso l’aula delle lauree Nicola Cilento dove si stava svolgendo un convegno sull’autonomia differenziata che prevedeva la partecipazione di diversi rappresentanti politici. Secondo quanto testimoniato dallɜ studentɜ, le forze dell’ordine avrebbero negato l’accesso allɜ studentɜ giustificando il gesto come una forma di punizione per la contestazione svolta nell’edificio B.

Secondo quanto ricostruito, la decisione di non far entrare lɜ studentɜ sarebbe stata presa dalle stesse forze di polizia. Tuttora non è chiaro se la discrezionalità esercitata fosse un potere autorizzato oppure soltanto non impedito. Ma l’esercizio stesso di questo potere impone di chiedersi se lɜ studentɜ possano sentirsi effettivamente al sicuro in Ateneo e liberɜ di esprimersi e di appropriarsi degli spazi fisici e di scambio dialettico presenti nel Campus.

L’Università dovrebbe garantire sicurezza e inclusione, soprattutto nei casi di discordanza. Non soltanto questo non è avvenuto, ma sembra ci sia stata evidente noncuranza del rischio che lɜ studentɜ potessero essere individuatɜ ed etichettatɜ come persone non gradite all’interno dell’Ateneo.

Tra lɜ studentɜ e le forze dell’ordine doveva esserci l’Università, che invece si è del tutto sottratta, delegando decisioni e responsabilità a poteri esterni, lasciando che lɜ studentɜ fossero lasciatɜ solɜ in corridoio a chiedere alle forze di polizia di accedere a un’aula a cui dovrebbero sempre avere accesso.

L’assenza di interesse per la questione che sta mostrando l’Università ci spinge a chiederci se non stiamo entrando in una zona grigia, in cui in modi sempre più evidenti si sta ridefinendo il ruolo e l’incisività dell’essere studentə in Ateneo.

Se l’Università non ritiene che sia accaduto qualcosa di grave, allora sta implicitamente sostenendo che lɜ studentɜ sono ben graditɜ soltanto quando svolgono tre azioni: seguire le lezioni, sostenere esami e pagare le tasse. Partecipare attivamente ed esprimersi liberamente sono modi di essere studentə che questo Ateneo sta contrastando. Non a caso, è stato approvato un Regolamento per l’iscrizione all’Albo delle associazioni che prevede la possibilità di monitorare le attività e la condotta dellɜ associatɜ e di promuovere la cancellazione dell’associazione dall’Albo nel caso in cui tali attività dovessero essere ritenute (in modo arbitario e discrezionale) contrarie agli interessi dell’Università.

Non possiamo non leggere con preoccupazione un passaggio normativo che verrà applicato in un contesto in cui si è recentemente stabilito che lɜ studentɜ possono essere punitɜ per le proprie posizioni, possono essere allontanatɜ dalle aule e relegatɜ a fruitoriɜ passivɜ dei servizi universitari.

L’Ateneo è sempre meno alla portata di tuttɜ, e sempre più unicamente alla porta di un modello specifico di studentə che, per ovvie ragioni, sta stretto a moltɜ: a quellɜ che contestano i Regolamenti, a quellɜ che contestano la presenza di rappresentanti politici in Ateneo, a quellɜ che contestano l’insicurezza strutturale in cui versa il Campus, a quellɜ che continuano a volersi opporre all’idea che le situazioni si debbano subire e il dissenso soffocare.

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