29 Gennaio 2016
Sbatté la porta, ora, l’assenza che profondissima si balenava tra queste quattro mura.
Ritrovo pagine aperte sul tavolo: parlano di cieli plumbei e distese infinite di verde,
canti di balena e storie d’amore arenatesi sulla scogliera di Durness.
Spazi aperti e totale immaginazione, nei libri, troviamo ciò che nella realtà non riusciamo a vivere.
Cerchiamo di autodeterminarci quotidianamente, nelle nostre formalità di meccanica costrizione:
Giacca e cravatta, borsa 24 ore, occhiaie, nuvole di fumo di industrie in disuso e smog di città metropolitane; alienandoci poi in paradisi artificiali di evanescente piacere.
Ora soffia forte questo vento; sconvolge, spazza via questi volti da figuranti che ci portiamo dietro, privi di qualsivoglia libero arbitrio, in questa insostenibile attesa di un destino, già scritto.
L’attesa è l’infinitesimale condanna a perdersi e spegnerci.
La soluzione non esiste, o forse si: mutare come un viandante, viaggiare disconoscendo le nostre convinzioni, guardando al di là di orizzonti a noi conosciuti.
Soffiare sulle nostre paranoie, chiudere la porta di casa, chiudere porte dopo porte, ogni volta che ci ancorano al passato e ai nostri vuoti. Un vento, fruscio di passi, decisi e voluti, un sorso di beata solitudine: essere unici in mezzo alla moltitudine.
Gian Luca Sapere