10 Maggio 2013
La televisione è ormai affetta dalla sindrome da reality show, lo stesso palinsesto infatti, ne subisce l’influenza, così da creare veri e propri effetti negativi.
A farne le spese è sicuramente l’informazione, l’esempio più lampante, è la cronaca nera: estrapolata dal suo contesto, spettacolarizzata fino a coglierne gli aspetti più superflui e macabri; allontanandola dalla realtà dei fatti, per plasmarla a mo’ di fiction, catalizzando l’attenzione del pubblico, di puntata in puntata. In questi 10 anni abbiamo assistito: al delitto di Cogne, Beautiful, Avetrana e Un posto al Sole, come se la realtà e la finzione non avessero differenza alcuna.
Il celeberrimo delitto di Cogne, ad esempio, riassume l’effetto mediatico avutosi in questi anni. Per concepirlo nella sua pienezza, dobbiamo dividerlo in due processi: uno in tribunale e l’altro sotto i riflettori dei media. Il primo vide la sua fine il Il 21 maggio 2008, quando la Corte di Cassazione condannò definitivamente come colpevole del delitto, la madre del piccolo, Annamaria Franzoni. Così da ridare verità a ciò che era avvenuto il 30 Gennaio 2002, in una villetta di Montroz, appunto frazione di Cogne, dove ci fu la morte del figlio della Franzoni, Samuele Lorenzi. Quello mediatico racchiude come detto, quell’attenzione 24 ore su 24, degna di un Grande Fratello.
Psicologi, criminologi, sociologi tutti seduti a dire la propria nei salotti assonati del pomeriggio.
Fino a contendersi i più ambiti, quelli che contano, quelli in prima serata: Vespa e Maurizio Costanzo su tutti.
A Porta a Porta ci fu l’utilizzo dei plastici, che avrebbero dovuto dare, una lettura sotto raggi X di questo caso, analizzando ogni particolare più nascosto, tale da rivelare risvolti inaspettati. C.S.I al confronto è poca roba. Tuttavia, l’apice si raggiunse al Maurizio Costanzo show, quando la Franzoni dichiarò di essere incinta di un figlio, Gioele. Questa rivelazione portò a picchi di share e rese ancora più forte la divisione tra colpevolisti e innocentisti. Questo come detto prima, rappresentò il massimo momento di visibilità, per poi scemare e lasciare spazio, ad altri fatti di cronaca dalla potenza mediatica simile: come il caso del piccolo Tommaso Onofri.
Ciò che più colpisce del racconto della cronaca nera è la sua trasformazione nell’informazione e nella fruizione di essa, in questi ultimi anni. L’esempio più agghiacciante e congeniale per raffigurare questa evoluzione, è la notizia del ritrovamento in diretta del corpo di Sarah Scazzi, con la presenza dalla casa di Avetrana, della madre e dei familiari della vittima, su Chi l’ha Visto. La decisione più giusta, in quel momento, sarebbe stata quella di sospendere il programma. Invece si scelse per continuare, troppo ghiotta la possibilità di alzare l’asticella degli ascolti, seppure il clima era surreale.
Allora il tutto tendeva a ricostruire quella finzione appunto da reality come se quella tensione, fosse l’attesa da parte dei concorrenti, nella decisione del televoto, valevole per la loro eliminazione.
E allora da casa il tutto risultava come se si fosse in un grande “entertainment”, un vero Truman show, dove ognuno poteva interagire diventando protagonista di questa storia, condividendo quella triste e disdicevole compassione, da grande melodramma italiano.
Ma la vita non è un film.
Gian Luca Sapere