25 Novembre 2019
“In tutto il mondo le donne sono in rivolta contro la violenza patriarcale, razzista, istituzionale, ambientale ed economica. In Sud America, in Medio Oriente, in Asia, in Africa, in Europa le donne e le persone lgbtqi pa+ stanno affermando chiaramente che nessun processo di democratizzazione e liberazione è possibile senza trasformazione radicale dell’esistente.” Il documento programmatico del movimento Non Una Di Meno per la manifestazione indetta il 23 novembre 2019 a Roma contro la violenza di genere inizia immediatamente con un proposito estremamente significativo:o la possibilità che le donne e la comunità lgbt riescano ad esercitare un influenza sulla realtà circostante per la propria liberazione dall’oppressione del patriarcato. Una rivolta che prende in considerazione le lotte femministe di tutto il globo terrestre, che non dimentica la rivoluzione continua praticata dalle donne curde per una società femminista, ecologista e democratica, che non si assoggetta al sessismo ed al razzismo interiorizzato, esercitato dall’informazione pubblica attraverso un uso maldestro e pericoloso delle parole e delle immagini (come per il femminicidio del “gigante buono” ai danni di Elisa Pomarelli). Un movimento incapace di conformarsi ad un sistema giuridico patriarcale reo di strumentalizzare la Pas (sindrome da alienazione parentale) nelle cause di divorzio ai danni di donne separate dopo aver subito violenza domestica, e di attaccare senza soluzione di continuità tutti i centri antiviolenza presenti sul territorio minacciandoli di sgombero. Sabato 23 novembre, a Roma, Palermo, Messina ed altre città italiane, una marea femminista invadeva le strade esattamente due giorni prima della Giornata mondiale contro la violenza di genere, con la volontà di avere almeno sulle istituzioni e sull’opinione pubblica un’influenza positiva.
In tutto il mondo si verificano 137 femminicidi ogni giorno. Nel 2017, secondo uno studio condotto dalle Nazioni Unite, il 58% delle donne vittime di omicidio sono state uccise per mano di persone a loro vicine, come partner, ex partner o anche un familiare. Oltre al femminicidio, la più estrema forma di violenza, preoccupanti sono anche i dati registrati nel 2019 e divulgati tramite il “Women, peace and security index 2019/20”, secondo i quali circa 15 milioni di ragazze, di età compresa dai 15 ai 19 anni, hanno subito almeno una violenza sessuale. E, nuovamente, i colpevoli, nella maggior parte dei casi, sono i partner o gli ex. In Italia, in una ricerca risalente al 2017, sono 123 le donne vittime di omicidio volontario e solo il 19,5% è morta per colpa di uno sconosciuto. Nel 43,9% è stato il partner o l’ex, nel 28,5% per mano di un familiare e nell’8,1% dei casi un’altra persona conosciuta. Dire basta, uscire dal tunnel della violenza prima che sia troppo tardi. Frasi che vengono dette e di cui si legge ovunque l’importanza di chiedere aiuto, ma forse non si sa neanche dove richiederlo. Secondo la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, dovrebbe esistere almeno un centro antiviolenza ogni 10 mila abitanti. In Italia ne sono attivi 283 e di questi molti sono a rischio chiusura, come la Casa Rifugio Lucha Y Siesta presente a Roma, perché i fondi nazionali non vengono stanziati. Infatti, nel 2018 le Ragioni ne hanno erogato solo lo 0.39% secondo il monitoraggio di ActionAid Italia che, a questo proposito, ha lanciato la campagna “#closed4women” cercando di mettere in luce come una donna vittima di violenza che riesce a trovare il coraggio necessario per chiedere aiuto non può assolutamente permettersi di trovare una saracinesca chiusa.
Sono trascorsi venti anni da quando le istituzioni internazionali hanno istituito questa giornata, da quando hanno formalmente preso posizione sulla violenza che ogni anno subiscono molte donne in tutto il mondo. Le sorelle Mirabal, ricordate attraverso questo giorno, hanno nel tempo preso il nome di ognuna delle donne e bambine picchiate, molestate, uccise. I movimenti femministi internazionali non hanno mai smesso di mettere in luce la violenza e la disparità di genere, hanno costruito legami attorno a tematiche sociali al di fuori di ciascun paese e hanno guadagnato col tempo sempre più rilevanza. Eppure i dati descrivono una società in cui la violenza occupa ancora uno spazio importante, dove i diritti delle donne vengono ancora messe in secondo piano rispetto a difficoltà burocratiche, dove la disparità di genere continua ad essere sottesa in tanti ambienti lavorativi, dove i centri anti-violenza continuano a scarseggiare. Venti anni e il 25 Novembre continua ad essere la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, un giorno a cui molti dedicano tempo e attenzione, anche i politici. Diciamo di essere tutti contro ogni forma di violenza, scriviamo le più giuste parole, esprimiamo tutti un pensiero: è indubbio quindi che da parte della società ci sia conoscenza del tema. E forse è proprio questo che inquieta di più: che nonostante sia tutto noto, la violenza sulle donne esiste ancora. Le donne hanno ancora bisogno di manifestare, perché c’è ancora chi le uccide. Serve ancora scendere in piazza e rivendicare ogni spazio di libertà perché, evidentemente, la conoscenza non basta. Venti anni dimostrano che la violenza è molto più radicata di quello che crediamo e che il tempo di una conoscenza superficiale del tema debba lasciare spazio ad un processo di consapevolezza a riguardo.
La Redazione