20 Febbraio 2021
A partire da giugno 2021, in Nuova Zelanda tutte le scuole offriranno assorbenti e altri prodotti gratis per l’igiene femminile alle alunne con l’obiettivo di sconfiggere il fenomeno della “povertà mestruale”. La decisione è stata annunciata dalla prima ministra, capo del Partito Laburista, Jacinda Ardern alla stregua di quanto già accaduto un anno fa in Scozia. Il 25 novembre 2020, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il Parlamento scozzese ha approvato, all’unanimità, il Period Products (Free Provision) Bill, una legge che garantisce la distribuzione gratuita di assorbenti e prodotti igienici per il ciclo mestruale a chiunque ne abbia bisogno. Una decisione storica che ha aggiudicato al paese il ruolo di pioniere nell’abbattimento della “tampon tax”.
In Nuova Zelanda, la decisione arriva anche dopo gli ultimi dati registrati secondo i quali un’alunna su 12 salta le lezioni nel periodo delle mestruazioni perché non può permettersi di pagare gli assorbenti. Resta da chiedersi, però, perché limitare la misura solo alle scuole primarie, intermedie, secondarie e kura (le scuole Māori) anziché estenderla a tutte le donne o almeno includere anche i college nel provvedimento. Anche la Scozia è partita allo stesso modo. Infatti nel 2018 il governo scozzese ha reso gratuiti gli assorbenti e tutti i prodotti igienici femminili alle studentesse a partire dalle scuole medie per poi ampliare la misura, due anni dopo, a tutte le donne che ne avessero necessità. Allargare le categorie incluse nella norma è stato un atto dovuto anche alla pandemia da Covid-19 che ha accentuato, ancora di più, l’esigenza di riuscire a permettersi l’utilizzo di assorbenti e altri beni indispensabili per l’igiene pur avendo un reddito basso. “Le mestruazioni non si fermano per le pandemie e il lavoro per migliorare l’accesso a tamponi mestruali, assorbenti e prodotti riutilizzabili essenziali non è mai stato così importante”, con queste parole Monica Lennon, parlamentare del Partito Laburista scozzese, ha commentato la decisione di estendere le categorie di riferimento. Secondo una ricerca del gruppo “Women for Independence”, durante l’emergenza sanitaria, quasi una donna su cinque ha sperimentato la cosiddetta “period poverty”. Inoltre, è stato calcolato che le donne spendono circa 9 euro (8 sterline) al mese in assorbenti e prodotti per il ciclo e secondo un sondaggio realizzato tra le giovani scozzesi, acquistare prodotti per il ciclo imbarazza il 71% delle ragazze nel periodo adolescenziale e la metà di loro ha saltato scuola per motivi legati alle mestruazioni.
Secondo uno studio di Plan International UK, un’organizzazione per i diritti delle donne, è emerso che, nel Regno Unito, la maggior parte delle ragazze di età compresa tra i 14 e i 21 anni non può permettersi gli assorbenti o fatica ad acquistarli, mentre una percentuale di loro è costretta a chiederli in prestito ad un’amica proprio perché troppo costosi.
La “tampon tax” è una questione dibattuta anche nel resto d’Europa e del mondo. In Australia, gli assorbenti femminili sono considerati beni di prima necessità, ma il provvedimento non include le coppette e la biancheria intima. Nel 2015, in Canada è stata definitivamente eliminata la tassa sia su tamponi e assorbenti che sulle coppette mestruali. A New York è prevista la distribuzione gratuita degli assorbenti alle studentesse di tutte le scuole pubbliche, mentre l’IVA è fissata al 15%. Se per il Regno Unito a fare da apripista è stata la Scozia, per il resto del mondo è stato il Kenya dove il governo ha abrogato l’imposta sugli assorbenti nel 2004 e dallo stesso anno li fornisce gratuitamente a tutte le studentesse.
In Europa, l’Italia risulta tra i paesi con una maggiore imposizione fiscale. Nonostante la presenza dal 2006 di una direttiva europea che consente ai Paesi membri di ridurre l’IVA fino al 5%, quest’ultima al momento in Italia è prevista solo su tamponi e assorbenti compostabili e biodegradabili, per gli altri prodotti fabbricati con materiali diversi e necessari all’igiene è invece del 22%. Secondo una ricerca condotta dal “Corriere della Sera”, ogni anno vengono venduti 2,6 miliardi di assorbenti e la spesa annua media per donna è di circa 130 euro. Tra i paesi con un’iva eccessiva troviamo anche la Svezia, la Danimarca e la Croazia dove la tassa è del 25%. In Finlandia è del 24% e con una percentuale del 27% l’Ungheria risulta il paese con il valore di imposta più alto. In Repubblica ceca, Lettonia e Lituania l’IVA sugli assorbenti risulta del 21%. A seguire la Grecia al 13%, l’Austria e la Slovacchia con il 10%.
Tra i paesi, invece, con una minore imposizione fiscale, ci sono la Polonia, in cui l’IVA è pari all’8%. Il Belgio, il Portogallo e i Paesi Bassi dove raggiunge il 6% e la Francia al 5,5%. A Cipro e in Gran Bretagna, la “tampon tax” è attualmente al 5% e parte del ricavato fiscale viene devoluto a sostegno delle associazioni che difendono i diritti delle donne.
Mentre le contestazioni delle donne vengono costantemente ignorate dal governo italiano, i primi segnali di cambiamento sono registrabili negli atenei. Ne abbiamo un esempio all’interno dell’Università degli studi di Salerno, dove i membri del Collettivo+ hanno portato avanti la campagna “Il ciclo non è un lusso”, posizionando in alcuni bagni dell’ateneo dei distributori di assorbenti fai-da-te gratuiti e autogestiti. Un chiaro e forte segnale è stato mandato soprattutto dall’Università Statale di Milano, dove nei bagni sono stati installati nel mese di dicembre 2020 dei distributori di assorbenti a 20 centesimi e nei quali sono stati inseriti anche altri prodotti per l’igiene (spazzolino, dentifricio, salviette, fazzoletti copriwater). L’intervento arriva dopo la richiesta, effettuate tre anni fa, da parte dei rappresentanti della lista “UniSì” che chiedeva la distribuzione di assorbenti, in maniera gratuita, a tutte le studentesse. Un’istanza accolta a metà, ma che comunque lancia l’ennesimo messaggio a delle istituzioni sorde. Un primo passo che, probabilmente, sarà seguito e imitato da altri atenei italiani.
Avere il ciclo non è una scelta e, pertanto, ritenere i prodotti utilizzati durante il periodo mestruale alla stregua di un pacchetto di sigarette significa considerare una condizione fisiologica qualcosa di cui doversi vergognare. E ciò viene rappresentato ogni volta che una donna nasconde la confezione di assorbenti nel fondo della borsa o, facendo la fila alla cassa, una ragazza sottolinea più volte che li sta comprando per la mamma o la sorella. Usare espressioni come “Ho le mie cose” contribuisce ad alimentare il tabù fortemente radicato nella società e dal quale sarà sempre più difficile distaccarsi. Uno stigma che deve essere combattuto da tutti e non solo dalla parte femminile della società.
Annaclaudia D’Errico