2 Novembre 2019
Breast ironing: letteralmente stiramento del seno. Non è un nome di fantasia, ma una vera e propria tortura praticata su bambine in età puberale (tra gli 8 e i 13 anni). La pratica, nata originariamente nella Repubblica del Camerun, si è diffusa pian piano nell’Africa occidentale, toccando paesi come Togo, Costa d’Avorio, Nigeria e Guinea, giungendo persino nel Regno Unito con diversi casi registrati in Gran Bretagna. È considerata dalle Nazioni Unite come uno tra i crimini più diffusi, e meno conosciuti, contro le donne. Il fenomeno è stato reso noto nel 2006 quando GIZ (Agenzia tedesca per la cooperazione internazionale) ha reso pubblico il lavoro di ricerca condotto insieme alla ONG camerunense RENATA (Reseau National des Associations des Tantines). La pratica, nonostante ne sia stata denunciata la gravità dallo studio dell’agenzia tedesca e sia ormai nota come un crimine contro le donne, pari come brutalità alla mutilazione dei genitali femminili, continua ad essere svolta. Spesso in modo clandestino e proprio per questo motivo non è possibile avere un numero preciso delle giovani donne a cui è stata imposta l’operazione. I dati ufficiali parlano di oltre quattro milioni di bambine: una donna su quattro tra i duecento gruppi etnici, quindi, durante l’infanzia, è stata obbligata a sottoporsi allo stiramento del seno.
Pietre, pestelli, spatole, paletti o, anche, conchiglie. Sono questi gli oggetti di uso comune che, riscaldati sul fuoco, diventano veri e propri strumenti di tortura. Le bambine vengono fatte sedere su delle sedie di legno pieghevoli, in modo da avere una maggiore visuale del seno, oppure restano in piedi con alle spalle colei che praticherà il rituale, nella maggior parte dei casi mamme o nonne. Tra gli oggetti roventi, in un primo momento, viene usata la spatola, poi, man mano che il seno inizia a crescere, si passa a pietre, pestelli o paletti. La pratica viene eseguita due o tre volte al giorno per la durata di mesi o, in alcuni casi, anni. Tra una sessione e l’altra, le ragazze sono costrette ad indossare una fascia attorno al seno, spesso talmente stretta da rendere faticosa la respirazione, per impedire che questo cresca ulteriormente. Come suggerisce il nome, il rituale viene eseguito con uno scopo ben preciso: stirare il seno, in modo da ridurlo e, seguendo il ragionamento delle famiglie del Camerun, renderlo meno attraente agli occhi degli uomini. É davvero il solo modo che hanno le madri e le nonne per proteggere le proprie figlie e nipote in una società dove il valore della donna è pressoché nullo, tanto da decidere di cambiare il loro corpo invece di educare gli uomini a rispettarlo? Può essere considerata una sorta di autodifesa, un retaggio culturale basato anche sull’assenza di un qualsiasi grado di istruzione?
In un video rilasciato a TM News, una ragazza di nome Terisia racconta che aveva nove anni quando la madre incominciò a praticarle lo stiramento del seno ogni mattina prima della scuola per evitare che le sue forme stuzzicassero le fantasie sessuali degli uomini. Addirittura, una volta – racconta – il palo utilizzato era talmente caldo che le lasciò una cicatrice, ma la mamma, con sguardo severo, ha sempre negato l’incidente.
“Avevo otto anni quando mia madre mi disse di togliermi la maglietta. 《Hai già i seni? Quando una ragazza della tua età ha i seni, gli uomini la guardano.》 Non capivo cosa stesse facendo. Ogni giorno, a volte persino tre volte al giorno, mi stirava il seno con una spatola calda. Diceva che era per il mio bene ma era un incubo. Notavo che più mi massaggiava e più il mio seno cresceva e quando anche lei se ne accorse cominciò ad usare una pietra. Quello fu l’inferno. Sembrava che il mio intero corpo stesse andando a fuoco. Raccontai tutto ad un consulente a scuola e lui tentò di parlare con mia madre. Pensavo che smettesse, invece continuò. Massaggiava e massaggiava. Allora io presi le mie cose e me ne andai da mia zia. Mi fa male quando mi guardo allo specchio.” A parlare è una ragazza di soli 19 anni, Doriane, costretta a scappare lontano da quella tortura che la madre aveva deciso di infliggerle.
“Se non lo facciamo, il tuo seno attirerà gli uomini, e sappiamo che questo significa gravidanza. Dobbiamo uccidere quel seno.”, disse la madre a Carol, oggi 28 anni, per annunciarle l’inizio del supplizio che avrebbe subito per settimane.
Tutti abbiamo uno o più oggetti che solo guardandoli ci riportano con la mente a qualcosa accaduto nella nostra infanzia, spesso ricordi belli che ci fanno spuntare un sorriso nostalgico. Non per Cathy, 27 anni, che il solo vedere un pestello le ricorda un tempo che vorrebbe dimenticare. “I pestelli mi ricordano i dolori d’infanzia. Lo stesso arnese in pietra che la gente usa per pestare le spezie era usato su di me per pestare la mia bellezza di donna e la mia pelle. I miei seni cominciarono a crescere quando avevo 10 anni e la mia famiglia pensò che stirarli sarebbe stata la soluzione. Quando a sedici anni sono rimasta incinta, divennero più scuri e quando cercavo di allattare usciva solo un liquido scuro. Mi fa male ricordare queste cose. Ho deciso di dimenticare tutto e di combattere contro la violenza sulle donne.”
Cathy non è l’unica vittima di questa violenza domestica ad aver deciso di combattere. Anche Elisabeth Mbu ha subito questo trattamento e ora, a 29 anni, è membro dell’associazione britannica “Came Women & Girls development organisation” che spinge le giovani donne a rifiutare tale pratica. L’associazione RENATA, che ha aiutato a far conoscere al mondo questa pratica, è formata anche lei da donne vittime dello stiramento del seno, oltre a denunciarne lo svolgimento, l’associazione cerca di diffondere una corretta educazione sessuale per combattere le gravidanze precoci. Infatti, nonostante lo breast ironing venga eseguito per contrastarle, uno studio dell’ONU del 2010 ha dimostrato che il 30% delle donne sotto i 18 anni sono diventate madri dimostrando l’inefficacia dello stiramento del seno. Anche il governo del Camerun, nel 2015, ha cercato in tutti i modi di scoraggiare questa pratica, introducendo una nuova norma nel Codice penale che, per quanto non citi a chiare lettere lo stiramento del seno, va a punire “chiunque interferisca sulla normale crescita di un organo” con una pena da sei mesi a cinque anni di reclusione o con il pagamento di una multa sino a un milione di franchi. Un buon tentativo, ma che non ha portato ai risultati sperati, visto che la legge non è mai stata applicata e le barbarie continuano a ripetersi.
Inculcare alle donne il messaggio di dover cambiare il proprio aspetto, cercando di essere il meno possibile attraenti per gli uomini, per evitare di essere violentate è tra le considerazioni più offensive che si possano propugnare nei riguardi del genere femminile. Lasciare intendere che se si viene violentate è perché si è troppo belle o con un seno prosperoso è tra i motivi per il quale la violenza di genere continua ad essere perpetrata nel mondo. Continuare a perseverare la convinzione che punire le donne, farle vergognare del proprio corpo, sia qualcosa di giustificabile è quanto di più lontano ci sia nella mentalità di un mondo rispettoso del genere femminile. Educare, sensibilizzare gli uomini, fin da piccoli, a rispettare la donna e a vederla come ciò che è, una sua pari, con le stesse libertà, gli stessi diritti e le stesse possibilità, questa è la strada che si dovrebbe imboccare. Il mondo non può continuare a giustificare la violenza maschile colpevolizzando la donna e il suo corpo. Milioni di bambine non possono continuare a pagare il prezzo di questa becera considerazione soffrendo per anni interi, sia da un punto di vista fisico che psicologico, dovendosi sentire colpevoli per ciò che sono. È un atto disumano che la società ha permesso per troppo tempo e che ha impedito a troppe giovani donne di sentirsi libere.
Annaclaudia D’Errico