25 Maggio 2019 Quando si prova ad avviare una discussione a tema ambientale connessa alla Campania è inevitabile pensare d’istinto alla Terra dei Fuochi che sul territorio ha prodotto conseguenze disastrose per la comunità. Ma altre questioni drammatiche, che ancora non hanno ricevuto la giusta attenzione, nel corso del tempo si sono accresciute all’interno della Regione. La grave situazione in cui versa il Fiume Sarno rientra tra questi.
Il nome gli fu attribuito dai Sarrasti, i primi abitanti della valle provenienti dal Peleponneso, ed è più volte stato menzionato da scrittori e poeti. Attraversa i paesi di tre province (Avellino, Salerno, Napoli) e si insinua tra le mura di circa trentanove comuni. Un tempo pescoso e navigabile, oggi noto alle cronache di tutto il mondo per essere diventato tra i più gravi disastri idrici prodotti dall’uomo. Da tempo siede sul podio della classifica dei fiumi più inquinati: primo in Europa, settimo nel mondo.
Nato dalle pendici del monte Saro, con una lunghezza di 24 km e un bacino idrografico di 500 km2, la sua integrità è nel tempo stata lesa da diversi fattori. Ma ce n’è uno che, più di tutti, si presenta come il maggior responsabile della sua rovina. Si tratta di un corso tributario, il Solofrana, che nasce a Solofra (Avellino), in una zona con un alto numero di apparati industriali specializzati nella lavorazione e produzione di pelli. Un tipo di attività che, per sua natura, comporta la presenza di metalli pesanti e diluenti chimici. Rifiuti industriali che andrebbero smaltiti con la massima cura per evitare di compromettere l’ambiente circostante. Alcuni impianti industriali, invece, vengono meno al loro obbligo e sversano, nelle acque del Solofrana, i rifiuti prodotti dalla loro attività inquinando l’intero corso e facendo confluire al suo interno la presenza di metalli pesanti quali Nichel, Cromo, Berillio, Neon.
Lo sversamento illecito dei rifiuti industriali ha turbato gravemente lo stato di salute del fiume provocando drammatiche conseguenze. La prima, tra queste, è la scomparsa della flora e della fauna all’interno del corso. Eccetto per i ratti che, com’è stato scientificamente appurato, sono tra gli esseri viventi più propensi all’adattamento ad ogni tipo di habitat e condizione biologica. Ma quelle in cui versa il letto del fiume sono così gravi che molti studi internazionali, tra cui americani e giapponesi, hanno ipotizzato una mutazione genetica dei topi che li rende, a tutti gli effetti, non più dei roditori comuni. La seconda è l’assunzione di un colore rosso, sul porpora, in alcuni periodi dell’anno, che per molto tempo ha fatto supporre che nel corso d’acqua venissero sversati i pomodori prodotti dalle industrie conserviere. Si è tuttavia recentemente sostenuto che a dare quello strano colore fosse l’alto tasso di Cromo che nel fiume si presenta 24mila volte superiore alla media prestabilita dalla normativa europea.
L’inquinamento idrico, a differenza di quello terreno, provoca i suoi effetti in punti diversi rispetto a quello in cui il danno è stato prodotto. Da Solofra, dunque, possiamo spostarci a Nocera Inferiore, che viene attraversata dall’Alveo Comune Nocerino, le cui acque comprendono quelle di due corsi tributari: la Cavaiola e il Solofrana. Lungo il tratto idrico di Nocera c’è un paese che vive, palazzi abitati dai cittadini, commercianti che svolgono le proprie attività. Ma c’è anche un paese che muore perché, proprio lungo quel tratto, si registra il più alto tasso di melanomi e tumori rispetto all’intero territorio italiano. Una vera e propria emergenza nazionale. Nel caso di Nocera Inferiore, inoltre, le acque sono ulteriormente contaminate dai reflui urbani che si inseriscono nel corso idrico senza venire prima depurate. Questo perché, ad oggi, il paese, nonostante siano state messe a disposizione le risorse economiche, ancora non possiede un sistema fognario completo e adatto ad evitare situazioni di questo tipo.
Ma a Nocera c’è anche un paese che reagisce: medici, avvocati, insegnanti, studenti, cittadini, sono tutti confluiti all’interno di un’organizzazione, La Fine della Vergogna, che a diverso titolo e su più fronti sta cercando di contrastare il fenomeno. Si recano nelle scuole, tra i vicoli del paese, con megafoni, striscioni, convegni, con ogni tipo di iniziativa volta a sensibilizzare l’intera comunità. Ma non solo: sollecitano l’amministrazione, cercando un dialogo con le istituzioni, denunciano tutte le irregolarità, si informano, studiano e diffondono quanto apprendono. È un comitato che affronta il problema sotto ogni tipo di considerazione e valutazione con un solo fine: bonificare il fiume. Salvare chi ancora vive lungo quel corso d’acqua.
Antonella Maiorino