18 Giugno 2023
“Per decenni, le donne fecero manifestazioni pacifiche per l’uguaglianza e il diritto al voto. Le loro motivazioni furono ignorate. In risposta, Emmeline Pankhurst, leader del movimento delle suffragette indì una campagna nazionale di disobbedienza civile. Questa è la storia di un gruppo di lavoratrici che aderì alla lotta”.
Inizia con questo incipit il film “Suffragette” proiettato il 30 maggio in aula SSC1 (edificio C) nell’ambito del Cineforum La Macchia 8.0: “Profilo Femminile”. La pellicola ha trattato delle manifestazioni avvenute a Londra nei primi anni del ‘900 per l’ottenimento del diritto di voto. La discussione è stata animata dalla Prof.ssa Maria Rosaria Pelizzari, docente di Storia delle donne e Studi di Genere presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Salerno, con la quale abbiamo guardato alla prospettiva storica dei diritti delle donne acquisiti nel corso del tempo.
L’acquisizione del diritto di voto per le donne è stato un momento epocale, per la storia delle donne e per la storia in generale. Si tratta di un traguardo raggiunto nell’ambito di quello che è definito “primo femminismo”, sorto quando le donne insieme si sono battute per l’ottenimento del diritto di cittadinanza. Sebbene il movimento sorga a cavallo tra l’800 e il ‘900, è possibile guardare ancor più indietro per cogliere il primo embrione dell’uguaglianza cittadina: nel ‘700, nel pieno della Rivoluzione francese, Olympe de Gouges contribuì al dibattito intellettuale con lo scritto “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” in chiaro riferimento alla “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” di cui si facevano portavoce i filosofi illuministi che parlavano di ragione e uguaglianza solo per i maschi. L’azione di rivendicazione di uno spazio pubblico per le donne nell’ambito della Rivoluzione Francese la condusse alla morte. La prima donna a parlare dei diritti della donna e della cittadina fu ghigliottinata. Nello stesso periodo, nell’ambiente anglosassone, a parlare dei diritti delle donne fu Mary Wollstonecraft. Tra il ‘700 e l’800 si sviluppa il seme del diritto di cittadinanza della donna negli ambienti culturali non trovando però alcuno sbocco importante. Ciò avverrà soltanto a cavallo tra l’800 e il ‘900, quando nasce in ambiente anglosassone, tra Inghilterra e America, il movimento delle donne. Sono chiamate “suffragette” da “suffrage”. Questo movimento, noto come “primo femminismo”, chiedeva il diritto alla cittadinanza delle donne che in un primo momento venne concesso soltanto per le elezioni amministrative. Il diritto di voto, infatti, è esercitato o per le amministrative o per le politiche. La diffidenza di quei periodi era tale da voler consentire in un primo momento soltanto il voto per le amministrative in quanto si consideravano queste meno importanti di quelle politiche. Lo scopo della negazione del diritto di voto alle donne era quello di relegarle alla sfera privata privandole dell’accesso alla vita pubblica e cittadina.
Le Suffragette sono state spesso oggetto di satira, in particolare lo è stata la loro immagine. Venivano derise per il loro aspetto fisico, denigrate dalla cosa più evidente: il loro corpo, che, in quanto Suffragette, e donne, non stava più nel suo ruolo, e quindi veniva attaccato per essere denigrato e considerato in modo dispregiativo. Ciò accadde perché con la nascita dei movimenti femministi assistiamo ad una nuova Eva che si presenta al mondo con un vecchio Adamo, l’uomo, che si sente disorientato, anche fragile di fronte a queste richieste. Sarebbe interessante – fa notare la docente Pelizzari – come collegamento al tema della violenza sulle donne, sfogliare gli archivi di polizia di quegli anni per verificare l’aumento di casi di violenza sulle donne.
Il discorso sull’ottenimento del diritto di voto alle donne è qualcosa che inizialmente ha interessato soltanto le donne borghesi perché era frutto di una considerazione interna agli ambienti culturali in cui hanno preso corpo gli ideali della Rivoluzione Francese. In seguito, il discorso si è spostato sull’inclusione di tutte le donne e vennero pertanto incluse le operaie. Le stesse donne operaie, come viene mostrato nel film, si sentono disorientate: sono d’accordo con le istanze, ma sono combattute, perché non sanno cosa fare, non si sono mai comportate in quel modo, vorrebbero prendersi cura dei figli ma anche ottenere più diritti. Anche oggi assistiamo alla situazione di conflitto delle donne tra la cura, la famiglia e il privato, il lavoro, l’emancipazione. Alla domanda se siano state le donne borghesi ad aver incluso le operaie oppure se queste abbiano affrontato una fase di consapevolezza, la Prof.ssa Pelizzari risponde che è difficile definirlo con precisione visto che sicuramente sono accadute entrambe le cose. Certo è che se le donne borghesi non avessero mostrato la strada, non avessero loro per prime iniziato la lotta (la lotta viene sempre come consapevolezza dall’alto perché è sempre necessaria una riflessione filosofico-culturale che poi si estende nei vari ambienti), il diritto di voto non sarebbe stato conquistato. L’opposizione dei maschi, come mostra il film, spesso è dovuta ad una difficoltà estrema per gli stessi di prendere consapevolezza della condizione delle donne, non capiscono, perché il problema di fondo è culturale. Tale discordanza avviene anche tra donne e donne: quelle che comprendono e sviluppano l’emancipazione, e quelle che stanno nel ruolo che la società ha riservato loro senza opporvisi. Questo atteggiamento, diffuso anche oggi, è spesso dovuto alla paura di incertezza e di insicurezza che intraprendere una strada di emancipazione comporta, rispetto ad una strada già definita dai sistemi educativi sociali che impongono alla donna di occupare una certa posizione in un certo modo.
Il primo femminismo, quello delle suffragette, si diffonde in Francia e arriva in Italia dove le donne si riuniscono in congressi, nella Lega delle donne italiane, (la Domenica del Corriere che era un giornale illustrato italiano fece una copertina con un disegno del primo congresso delle donne italiane). Le donne italiane hanno risentito di quelle che erano all’epoca le istanze delle altre donne in occidente (le idee circolavano attraverso i canali di persone istruite, arrivavano dentro le università e dentro le scuole) e hanno cominciato a chiedere il diritto di voto fra l’800 e il primo ‘900. All’interno del movimento delle suffragette italiane, più precisamente Lega-pro voto delle donne italiane, c’erano le cosiddette emancipazioniste, che erano per l’emancipazione delle donne: una figura di donna che non doveva più essere quello che veniva definito “l’angelo del focolare”, relegata agli ambienti della sfera privata, ma che doveva entrare nel campo pubblico. Le donne per ottenere il diritto di voto chiesero aiuto ai politici dell’epoca, nel 1861 con l’Unità d’Italia fecero istanza in un periodo in cui bisognava dare vita al nuovo Parlamento perché gli Stati italiani non erano più divisi. Nei manuali di Storia spesso si legge che Giolitti nel 1911 diede il diritto di voto universale, non era vero perché lo concesse soltanto agli uomini. Altre istanze furono presentate da alcune femministe di cui si fece portavoce il deputato Morelli e poi altre dalle femministe che furono vicine al socialista Benito Mussolini. Lo stesso nel 1925 diede il voto alle donne ma solo per le amministrative. Nel 1926 il voto fu tolto a tutti. Fu solo nel 1945 che le donne italiane esercitarono il diritto di voto, durante le elezioni amministrative, e poi nel 1946 per il referendum costituzionale del 2 giugno. Ciò non fu concesso, ma conquistato dalle donne che parteciparono alla Resistenza e che in virtù del loro impegno civico si videro riconosciute il diritto di voto.
Il secondo femminismo nasce dopo il ’68 quando le ragazze universitarie parteciparono insieme ai loro colleghi di università alle contestazioni di quel periodo. In quell’occasione si accorsero che anche all’interno di quel movimento, che parlava di lotta e di libertà, le donne venivano tenute in secondo piano. Nacque così il secondo femminismo, non solo in Italia ma in tutto l’occidente, ed è un femminismo che ormai non chiede più il diritto di voto, non sono più suffragette, ma chiedono il diritto ad essere padrone del proprio corpo. Lo slogan celebre “il corpo è mio, l’utero è mio, lo gestisco io” nasce da qui.
Le suffragette si vestivano come le donne borghesi dell’epoca, erano un po’ coperte, perché il loro scopo era quello di farsi conoscere come soggetti pensanti e non come delle fattrici, come donne che devono fare figli. La moda cambia molto in quel periodo, perché c’è una trasformazione delle città: le strade si allargano perché devono passare le prime dirigenze, i primi tram, i primi autobus, le donne che devono prendere il tram non potevano indossare gli abiti dell’800, avevano bisogno di togliersi il busto, il sottogonna, il cappello ridondante. La stoffa inoltre costava di più ed era quindi meno conveniente. Assistiamo ad una trasformazione anche dell’abbigliamento: ciò avviene nel corso del primo ‘900. Nel fashion, nella moda, c’è la liberazione del corpo, “il mio corpo è così ed io così voglio vivere”.
Ad una riflessione fatta in aula circa l’importanza dell’accesso al mondo del lavoro per la consapevolezza delle diseguaglianze di genere: celebre nel film è la scena in cui la protagonista Maud Watts si trova a parlare di fronte al rappresentante di governo e non sa quale significato attribuire alla parola “suffragette” e anche a quella di “diritto di voto” ma è ben consapevole, e di fatto di questo parlerà, delle diseguaglianze che in fabbrica subiscono lei e le sue colleghe a beneficio della situazione lavorativa degli uomini. È soltanto accedendo alla vita pubblica (che è fatta anche di lavoro) che le donne possono acquisire consapevolezza e farsi portatrici di nuove istanze che possano migliorare la propria vita; la docente Pelizzari amplia il discorso sulla condizione lavorativa delle donne nel corso della storia. Le donne hanno sempre lavorato. La storia delle donne è storia di lavoro, è storia di fatica. Nei ceti subalterni, negli ambienti rurali, nelle campagne, le donne già nel ‘600 e ‘700 lavoravano come gli uomini, portavano sulla testa quei grandi cesti pieni di pesi e di legna e altri oggetti. Le donne dell’aristocrazia, che non erano casalinghe in quanto vivevano di vita sociale, non si preoccupavano dei figli, fino a tutto il ‘700 li affidavano ad una balia poi nell’800 iniziarono a volerli tenere in casa, avevano una vita sociale e mondana molto diffusa. Con il passaggio nell’800, dopo la Rivoluzione Francese, con il cambiamento economico, l’ascesa della borghesia e con il capitale che sostituisce i diritti di nascita, allora anche le donne incominciarono ad entrare in un mondo del lavoro che non è più quello della casa. Con l’invenzione della fabbrica, dell’industria in senso moderno, le donne iniziarono ad andare nella fabbrica. Nascono così le operaie che sono quelle che devono abbandonare la casa in determinate ore della giornata, non badare ai figli. Le casalinghe esisteranno in questo periodo: sono le borghesi, quelle i cui mariti vogliono che siano in casa, che badino ai figli e all’economia domestica in quanto curatrici degli interessi economici della famiglia. Sarà un mondo del lavoro che prenderà le donne in modo differente nel corso del ‘900, dove nascono la figura della casalinga e quella dell’operaia, dividendosi in due mondi.
La prospettiva odierna entro cui si inserisce il dibattito sulla condizione femminile non è incoraggiante: le istanze delle donne sono diventate fotografie per Facebook, eventi e spettacolarizzazione. Tuttavia, resta fondamentale studiare la storia, guardare al passato, comprendere ciò che è accaduto e riflettere sulle attuali condizioni di vita. Il diritto di voto, ottenuto dalle donne nel ‘900 per via delle prime manifestazioni delle stesse, ha aperto un dibattito sulla condizione generale delle donne che non è mai stato chiuso. Votare, ed essere votate, ha rappresentato il primo reale passo verso l’emancipazione femminile. Votare significa scegliere e scegliere significa non voler più essere assoggettate alle regole sociali che costringono le donne a vivere in condizioni restrittive e repressive.
“Noi non vogliamo violare la legge, noi vogliamo fare la legge”: essere artefici del proprio destino, desiderare, scegliere ed ottenere.
Manifestazione realizzata con il contributo dell’Università degli Studi di Salerno.
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