8 Marzo 2013
La crisi in un momento storico come questo sembra dividere ancora di più la politica dalla vita reale: la prima sembra impelagata in contorni da soap opera americana, dove i partiti si rincorrono più per formare la tanto voluta maggioranza, che per stabilire un preciso programma responsabile capace di governare il Paese in un momento così difficile. In tutto ciò il Paese arranca e sembra indirizzarsi verso un futuro diretto nel baratro, se non proprio già in caduta libera. Ovviamente tutto ciò porterà nuovi tagli, come se in questi anni non ce ne fossero stati abbastanza, ai vari settori che sono considerati meno influenti per la crescita economica: in primis, la cultura.
Un flashback mi ritorna in mente, ha un nome e cognome: Giulio Tremonti. L’ex Ministro dell’Economia ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi, per far comprendere la sua tesi sulla vitale importanza della cultura, disse testuali parole: “Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia.” La dotazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali tra il 2010 e il 2011 è diminuita del 14,6%, passando da 1.710 a 1.459 milioni di euro. Questi furono i dati discussi all’epoca dai promotori delle Giornate Nazionali per la Cultura e lo Spettacolo. Ai quali proprio per ciò che concerne lo spettacolo, si possono aggiungere quelli relativi al crollo del finanziamento statale. Il Fondo Unico per lo Spettacolo, infatti, ha raggiunto nel 2011 il suo minimo storico: uno stanziamento di 231 milioni di euro, quasi la metà del finanziamento del 2010 (- 43,52%). La scuola pubblica ha subito un taglio di 3,5 miliardi dal 2007/2008 al 2011/2012, secondo i dati forniti dal giornale la Repubblica. La cultura, dunque, concepita come un settore non propedeutico per la crescita economica, ma bensì semplicemente ricopre un ruolo di valorizzazione del Sapere privo di qualsiasi riscontro remunerativo. Eppure, i dati europei di questi anni ci mostrano uno spaccato molto interessante: la KEA con il Rapporto Jàn Figel per la Commissione Europea ha dimostrato come nel 2003 il settore culturale, insieme a quello creativo, ha generato un giro d’affari, nell’insieme dei 25 Paesi dell’UE, di ben 636 miliardi di euro, con un contributo al Pil europeo pari al 6,4% addirittura doppio rispetto all’industria dell’automobile.
Oppure nel rapporto sulle statistiche culturali di Eurostat (2007), emerge che i 27 Paesi dell’UE, nel 2005 lavoravano nel settore culturale quasi 5 milioni di persone, pari al 2,4% dell’occupazione totale. Si tratta di un valore superiore a quello di industrie molto importanti, come l’intero settore del tessile-abbigliamento. La cultura evince essere da queste statistiche una soluzione alla crisi, un settore più affidabile
di quelli maturi e saturi come il comparto tessile e quello automobilistico.
In questi giorni un terribile evento ha scosso tutta la Nazione, la distruzione di una eccellenza del Sapere italiano: La Città della Scienza a Napoli. La Magistratura sta vagliando le varie ipotesi, anche se quella del dolo, rimane la pista più concreta. Quest’accaduto riesce a rappresentare in pieno il nostro Paese: bellezza disarmante da una parte, incuria e distruzione di essa dall’altra. La cultura è bellezza: perché contiene memoria, perché ci rende liberi dal torpore dell’ignoranza che genera paura. Un popolo è governato male quando smarrisce la ragione. La valorizzazione di quel patrimonio artistico-culturale ereditato da secoli e secoli di storia, investimenti sull’istruzione, sullo spettacolo, sul teatro, possono essere una risposta a questa crisi che attanaglia il nostro Paese.
Parafrasando la celebre frase del principe Miškin nel l’Idiota di Dostoevskij: la bellezza ci salverà!
Gian Luca Sapere