28 Ottobre 2021
Il Ddl Zan è stato affossato in Senato. L’annuncio arriva direttamente dalle mure di palazzo Madama nel pomeriggio del 27 ottobre e il video dell’esultanza di alcuni deputati dopo lo scrutinio fa il giro del web in poco tempo. A decretare la morte della proposta di legge è stata la votazione favorevole alla cosiddetta “tagliola”, una procedura parlamentare presente all’articolo 96 del regolamento del Senato, che prevede di bypassare la discussione sugli emendamenti e gli articoli del testo della proposta bloccando a tutti gli effetti l’iter burocratico. Questa volta a mettere sul banco la procedura sono stati gli esponenti di Lega e Fratelli d’Italia che hanno totalizzato, tramite il voto segreto, 154 consensi, 131 contrari e 2 astenuti. “Se passa la tagliola, la legge è morta”, aveva dichiarato Alessandro Zan, firmatario della proposta, nel programma “L’aria che tira” di La7. Una rassegnata premonizione che si è rivelata corretta e a farne le spese saranno le vittime delle forme di discrimizione che la legge voleva contrastare: l’omofobia e transfobia, le discriminazioni e le violenze per l’orientamento sessuale, il genere, l’identità di genere e le disabilità.
Quella di quest’anno è solo l’ultima delle sconfitte che disegni di legge di questo tipo hanno collezionato una dopo l’altra. La prima risale al 2013 presentata da Ivan Scalfarotto, successivamente nel 2018 Laura Boldrini e Roberto Speranza riproposero il testo applicando alcune modifiche. In nessuno dei due casi, la proposta riuscì ad arrivare in Senato, bloccata dalla Commissione di Giustizia. Nel 2020, Alessandro Zan, esponente LGBT+ e del Partito Democratico, unifica i testi precedenti ai suoi e presenta alla Camera la legge Zan riuscendo ad ottenere l’approvazione il 4 novembre 2020. Il disegno si collega alla legge Mancino, risalente al 25 giugno 1993, che sanziona e condanna l’utilizzo di simboli, frasi, gesti, azioni e slogan che incitano all’odio, alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. Il Ddl Zan, proponendo la modifica degli articoli 604-bis e 604-ter del Codice penale, aveva lo scopo di aggiungere alla lista gli atti discriminatori fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità. Dopo l’approvazione alla Camera, in attesa della discussione in Senato, esponenti della Lega come Andrea Ostellari, attuale Presidente della Commissione Giustizia, aveva già provato a fermare la proposta chiedendo ad esempio di definire con chiarezza termini quali “sesso”, “orientamente sessuale”, “identità di genere”. Una sfida che Alessandro Zan e i sostenitori della proposta hanno affrontato senza farsi scoraggiare. Nel testo, all’interno dell’art. 1, è stata riportata una definizione per ogni termine che potesse risultare enigmatico. Il “sesso” fa riferimento a quello biologico o anagrafico; per “genere” si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; l’”orientamento sessuale” è l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; per “identità di genere” si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.
Chiarita questa parte, oggetto di critiche è diventato l’articolo 7 che propone l’istituzione nelle scuole della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, celebrata già a livello internazionale ogni 17 maggio. La colpa imputata sarebbe quella di imporre le teorie gender “dai smalti per gli uomini a quella del genitore 1 e 2”, principale preoccupazione dei partiti di destra. Il vero obiettivo della proposta era tutt’altro e cioè quello di promuovere una cultura di inclusione e rispetto per contrastare qualsiasi episodio e forma di discriminazione. Principi cardini per una società che si reputi tale.
Una diatriba è nata anche sull’art. 4 che riguarda il pluralismo delle idee e libertà delle scelte, criticato dagli esponenti di Italia Viva perché rappresenta un pericolo per la libertà di espressione già tutelata dalla Costituzione italiana.
Questi attacchi presentanti durante i mesi estivi hanno decretato il continuo rinvio della discussione in Senato del Ddl Zan, conclusasi poi con il definitivo blocco. Si dovrà aspettare minimo 6 mesi prima di portare una proposta simile tra le file del Senato.
In diversi paesi come Spagna, Francia, Svezia, Portogallo e Norvegia, sono già in vigore leggi di questo tipo e le discriminazioni sulla base dell’orientamente sessuale e l’identità di genere vengono espressamente punite dal Codice penale. L’aver bocciato il ddl Zan rappresenta, ancora una volta, l’impossibilità dell’Italia di guardare avanti e stare al passo con l’Unione Europea. Ad aggravare la situazione sono i cori di esultanza scaturiti sui social e nelle camere del Senato. Provare sollievo anziché rabbia dopo aver asfaltato i diritti di intere comunità e l’opportunità di consolidare una società inclusiva, è semplicemente una vergogna. Una proposta di questo tipo non sarebbe dovuta né essere rimandata più volte né osteggiata in alcun modo. Non bisogna dimenticare, però, che nonostante esista una parte di italiani che gioiscono a questa notizia, vi è un’altra fetta – fortunatamente maggiore sui social, soprattutto su twitter – che ha espresso dissenso, rabbia e indignazione perché il 27 ottobre non ha rappresentato altro che l’ennesima pagina buia della politica.
Annaclaudia D’Errico