28 Novembre 2018
La governance universitaria è organizzata per livelli e al vertice della piramide amministrativa risiede il Rettore. Tra i suoi compiti vi è quello di indirizzo e coordinamento delle attività volte alla realizzazione degli obiettivi prefissati. L’università, durante i gli anni di un mandato, può cambiare molto a seconda delle iniziative che si mettono in campo. Un quadro chiaro di come l’ateneo si stia evolvendo potrebbe offrircelo chi in passato ha ricoperto questo ruolo. Stiamo parlando di Giorgio Donsì che, nel corso della sua lunga esperienza all’interno dell’Università degli Studi di Salerno, è stato docente di Ingegneria Chimica, Rettore e Presidente della Fondazione Universitaria, con il quale abbiamo ripercorso alcuni momenti significativi per l’Università degli Studi di Salerno.
Come crede sia cambiata l’Università di Salerno in questi anni?
L’Università di Salerno nasce in modo peculiare, come Istituto di Magistero, e in modo modesto come portata. Il vero punto di svolta è il trasferimento della realtà salernitana nella Valle dell’Irno affrontando, conseguentemente, una serie di difficoltà. La prima, forse la più grande, è quella di essere distante dalla città di Salerno. Questo però ha consentito all’ateneo di creare una propria sede, con un’alta capacità attrattiva e di passare da qualche migliaia di studenti, che aveva all’inizio, ai 35-40mila di questi anni. Questa università ha saputo sfruttare al meglio una partenza svantaggiata: l’essere in un posto che in quel momento era desolato perché lontano dalle città. Un punto di debolezza che è diventato un punto di forza. E questo perché chi ha gestito l’università ha utilizzato le risorse, primo fra tutti lo spazio, per costruire un campus, pensando anche in grande e prevedendo la presenza di residenze, impianti sportivi, e altri servizi adeguati all’ateneo. Oggi l’Unisa è l’unico esempio in Italia di università aggregata, mentre quelle tradizionali sono diffuse nelle città. Queste hanno il vantaggio di essere collegate ai paesi ma hanno anche lo svantaggio di non offrire una sede unica che è un aspetto importante, a mio avviso, perché offre sia ai docenti che agli studenti la possibilità di confrontarsi con mentalità e formazione diverse dalla propria. Il fatto di avere tante e diverse formazioni consente di colloquiare e di arricchire la formazione propria e degli studenti. E questa è una soluzione unica nel panorama italiano.
L’aver concentrato l’ente accademico nella Valle dell’Irno ha però causato anche delle difficoltà relative al collegamento con i paesi limitrofi e con Salerno. Mi riferisco agli autobus che, solitamente, transitano fino alle 18:00 obbligando gli studenti che frequentano il campus ad allontanarsi ad un orario piuttosto precoce e agli studenti fuori-sede di restare esclusi da quelle che sono le attività serali dei paesi.
Beh sì, questo è sicuramente un punto di debolezza. A quei tempi non avevamo chissà quale alternativa. Salerno offriva una scuola elementare, qualche appartamento, e avrebbe potuto ospitare circa 3-4mila studenti. La sensibilità politica e amministrativa, sulla questione trasporti, sicuramente non è stata delle migliori. C’è però da dire che l’ateneo si è anche impegnato per favorire il progetto di allungamento della ferrovia per facilitare i collegamenti con l’università. Un progetto che però è stato sepolto dalle carte della Provincia, della Regione e di Ferrovie dello Stato. Quello che l’ateneo poteva fare, lo ha fatto. Se il servizio non c’è non significa che non sia stato mai né richiesto né portato ai tavoli. Posso dire che la sensibilità che la Regione ha mostrato verso le altre università non c’è stata verso Salerno. E questo mi sembra un dato di fatto. Il tema trasporti è sicuramente un punto di debolezza ed è sicuramente un punto che andrebbe migliorato.
Nel 2014 Lei, insieme ad altri docenti dell’Unisa, si è opposto al conferimento della laurea honoris causa al segretario della CISL, Raffaele Bonanni, e in quell’occasione ha sostenuto che le lauree honoris causa non andassero conferite con leggerezza. Il Rettore Aurelio Tommasetti e il Dipartimento di Medicina qualche anno fa hanno proposto di conferirne una all’attuale papa Francesco. Cosa ha pensato a riguardo?
Io penso che se si volesse conferire una laurea honoris causa a qualcuno, si dovrebbe prima parlare con il diretto interessato e poi, eventualmente, annunciare la notizia alla stampa. È stato sgradevole sentire la risposta negativa della Santa Sede, l’università non ha fatto una bella figura. Penso sia stata un’azione che, per quanto nata probabilmente da ottimi sentimenti, sia stata gestita in modo non perfetto.
L’attuale Rettore è colui che ha introdotto la manovra “Unisa premia il merito” che consente, agli studenti che riescono a terminare tutti gli esami relativi al proprio anno accademico, di ricevere il rimborso delle tasse universitarie. Cosa pensa di questa manovra?
Penso che sia, tra le tante cose, una cosa positiva. Perché nasce sicuramente dall’idea che gli studenti vadano stimolati. Credo si possa fare anche altro per aiutare, più che per premiare, gli studenti a rimanere in corso. Però tra le tante iniziative non mi pare rientri tra quelle negative.
La stessa, come è noto, serve soprattutto ad incentivare gli studenti affinché non diventino fuori-corso. All’UniSa è stata adottata una politica non particolarmente tollerante verso i fuori-corso, i quali sono costretti a pagare più tasse rispetto ai loro colleghi in regola. Cosa pensa a riguardo? È un così grande male essere fuori-corso oggi e, secondo Lei, aumentare le tasse potrebbe essere un buon deterrente?
La questione chiaramente può essere letta da vari punti di vista. Io sono convinto che se ad essere fuoricorso è lo studente che preferisce fare la bella vita andando all’università, allora si deve trovare il modo di stimolarlo. Anche, come in questo caso, pagando più tasse. Essere fuoricorso però, in qualche caso, per chi ha situazioni familiari più complesse o per chi cerca di guadagnarsi qualche cosa, non dipende dall’assenza di volontà di studiare ma è legata ad altre contingenze. Se ad essere penalizzato è lo studente che non ha voglia, allora non credo sia così grave punirlo. Se invece si trova di fronte ad altre situazioni, meriterebbe un altro tipo di approccio.
Negli ultimi anni l’università è stata spesso al centro dell’attenzione pubblica perché inserita all’interno di classifiche internazionali che ad oggi la considerano come il miglior ateneo del mezzogiorno. Che idea si è fatta di queste classifiche? Le considera attendibili?
Io alle classifiche credo poco. Sono basate su parametri e numeri insufficienti. Si valuta ad esempio il numero di studenti in corso e qui mi chiedo: gli studenti sono in corso perché sono più bravi o perché l’università ha adottato una politica mirata, nel senso di facilitare la promozione degli studenti agli esami? Se si decide di promuovere tutti, ovviamente aumenterà il numero degli studenti in corso. Ma non per questo l’università potrà definirsi migliore di altre. Queste classifiche sono legate da parametri sintetici che non offrono un quadro autentico delle situazioni interne agli atenei. Nella classifica nazionale del CENSIS, ad esempio, ho visto che l’Università ha raggiunto diverse posizioni in alto ma si trova, relativamente ai servizi, ad una posizione inferiore rispetto a quella occupata dalla Federico II. Conoscendo entrambi gli istituti, so che questo dato non rispecchia la realtà. Io sono d’accordo sul fatto che debbano esserci delle valutazioni, e che debbano essere ricollegabili a dei numeri, ma non sono d’accordo che sulla base di questi si creino classifiche. Queste classifiche sono il prodotto di algoritmi e dati sintetici il cui valore reale è limitato. Ad oggi credo che ancora non esista un metodo corretto per comparare gli istituti accademici.
Tema centrale del dibattito accademico di questi anni è il numero chiuso inteso come accesso programmato ai corsi di laurea. Cosa pensa Lei a riguardo?
Di per sé non credo sia una cosa da appoggiare. D’altra parte se si pensa che i corsi di laurea devono garantire l’utilizzo delle aule, le esercitazioni e altri servizi, vien da sé che ospitare 10mila studenti quando si è strutturalmente preparati per seguirne solo mille, significa offrire un pessimo servizio agli studenti. La coscienza del livello del numero, secondo me, ci deve essere. Le facoltà devono tener conto delle richieste e fornire di conseguenza un servizio sempre più adeguato. Purtroppo, però, non sempre è possibile senza le risorse adeguate. Se il numero chiuso deve essere una difesa per non studiare alcuni problemi, io penso sia assolutamente sbagliato. Però c’è anche da dire che molti servizi lavorativi sono calibrati per un numero massimo di utenti. Ci sono diversi fattori da prendere in considerazione in una valutazione del genere. Penso però che si potrebbe tentare di migliore l’orientamento, in modo di indirizzare fin da subito gli studenti al corso di studio più adeguato alle loro esigenze.
Cosa pensa del sistema VQR (metodo di valutazione della ricerca basato sul criterio bibliometrico, che tiene conto del numero di volte in cui le stesse pubblicazioni sono state citate) con cui viene ripartito una parte del fondo di finanziamento ordinario?
Sono assolutamente contrario. Se si andassero a controllare le pubblicazioni di Einstein ai suoi tempi si scoprirebbe che non avrebbe potuto fare neanche il ricercatore perché non produceva molti lavori. Però due – tre di questi hanno cambiato il nostro pensiero. Che si possa valutare qualcuno attraverso il sistema bibliometrico mi sembra una cosa assolutamente sbagliata. Sono metodi approssimativi che descrivono l’ignoranza di chi deve fare le valutazioni, i quali non potendo e non volendo essere accusati di aver esercitato il giudizio, non hanno il coraggio di esprimere un parere e quindi ricorrono ad altro. Nei paesi in cui è presente il criterio bibliometrico, di solito, si usa insieme ad altri metodi, mentre usare questo come unico peso è sbagliato. Oltretutto significherebbe dire ai docenti che devono diventare degli scrivani e scrivere di tutto, anche sciocchezze, purché scrivano.
L’università negli anni ha dimostrato una particolare attenzione verso i giudizi dell’Anvur. Il caso più recente è quello del corso di laurea in lingue dove per un anno il consiglio didattico ha soppresso un appello (quello di febbraio) per rientrare in un giudizio positivo dell’agenzia. Cosa pensa della decisione di anteporre le esigenze dell’Anvur a quelle degli studenti?
Siccome anche nell’attribuzione del finanziamento ordinario sono usati parametri di questo tipo, è chiaro che l’attenzione sia dovuta. Io penso che l’università avrebbe dovuto fare muro contro queste cose. Le partizioni fatte in questo modo prevedono che qualcuno ci perda e che qualcuno ci guadagni e quindi è ovvio che non tutti vorranno opporsi. Il fatto che i criteri dell’Anvur siano così seguiti è una cosa brutta, ma necessaria. Perché i criteri, buoni o cattivi che siano, restano quelli.
Da due anni le addette alle pulizie lamentano le inadeguate condizioni lavorative in cui si sono trovate in seguito al passaggio del servizio di pulizia alla ditta Gioma Facility. Spesso all’Università hanno provato ad incontrare la Presidente della Fondazione e il Rettore ma nessuno dei due ha mai voluto. Lei è stato Rettore e Presidente della Fondazione. Come avrebbe gestito la situazione?
Io credo che chi era coinvolto avrebbe dovuto avere il coraggio di incontrarle. Ma questa è una mia posizione personale. Credo che nei problemi bisogni mettersi in gioco con la propria intelligenza e le proprie capacità, altrimenti non si può pretendere che le cose vadano meglio. Sia come Rettore che come Presidente ho sempre cercato di affrontare quello che mi competeva. Comprese le proteste. Ma questo è un fatto che riguarda l’impegno con cui si fanno le cose, vale per il Rettore, per l’autista dell’autobus e per chiunque si esponga.
A luglio 2019 l’Università degli Studi di Salerno ospiterà le universiadi. Gli atleti che prenderanno parte all’iniziativa alloggeranno nelle residenze universitarie impedendo agli studenti di restare lì fino a luglio perché costretti ad abbandonarli il 30 Maggio. Agli occhi di molti sembra l’ennesimo tentativo dell’università di mettersi sotto i riflettori a discapito dei bisogni degli studenti. Cosa ne pensa Lei?
Credo che le universiadi non siano né una vergogna né il tentativo di primeggiare. Credo che Salerno fosse l’unica scelta per la Campania. Forse averle fatte in Campania è stato una cosa più ambiziosa di quanto non dovesse essere perché in Campania l’unica università in grado di offrire qualcosa alle universiadi è Salerno. Certamente bisognava provvedere agli studenti che saranno trasferiti in un tempo vitale, in piena sessione d’esami. Però la manifestazione in sé non mi sembra una cosa negativa. Non si può pretendere di essere un’università ed essere distanti dal mondo.
Nello Statuto degli Studenti dell’Unisa, in vigore da un anno, gli studenti sono qualificati come “cittadini del campus”. Che significato attribuisce, Lei, a questa espressione?
È un’espressione che condivido e che mi piace. Essere cittadini significa avere diritti e doveri. E quello che voleva realizzare questa università era proprio quello di creare un complesso organico fatto di persone che lavorassero a vario titolo ma che si sentissero tutti parte integrante della comunità esercitando, quindi, i propri diritti e i propri doveri.
Su internet c’è un suo contribuito dove dice che un buon Rettore è sostanzialmente qualcuno che ha mai smesso di fare il docente. L’attuale Rettore secondo Lei lo è stato?
Se è un buon docente, non lo so. Io ormai sono fuori all’università quindi non voglio dare giudizi troppo diretti ma dico una cosa: il lavoro del Rettore è un lavoro particolare, perché si fa per un periodo limitato di tempo, e mi sembra giusto che la legge preveda un limite al mandato, continuando ad essere docenti. Ma questo non tanto per essere buoni o cattivi professori, ma per essere sicuri che quando si inizi il mandato si continui a pensare come un docente. Se uno facesse, per ipotesi, il Rettore pensando che poi farà il Presidente della Regione o il deputato, starebbe facendo un’altra cosa. Il discorso è questo: se si vuole fare il Rettore per mettere a disposizione la propria esperienza universitaria va benissimo, ma per altro no. Come tutti i servizi deve essere un mandato a termine dove poi si ritorna a fare il docente, perché un professore sa bene quali sono i problemi dell’università. Se invece ha una visione politica, si finisce per pensare ad altri problemi e non a quelli accademici.
Nello stesso testo si legge anche che, secondo Lei, per valutare bene la candidatura di un aspirante Rettore bisogna andare a vedere se era solito salutare i suoi colleghi prima di candidarsi. È qualcosa che abbiamo spesso riscontrato anche noi con gli aspiranti rappresentanti degli studenti i quali, in tempo di elezioni, si riscoprono sempre più amichevoli. In questi anni che idea si è fatta della rappresentanza?
La rappresentanza studentesca è come quella dei docenti. Non cambia. Penso che siano le persone a fare la differenza. Ci sono rappresentanti che hanno cercato di lavorare nell’interesse della comunità e altri che dopo il mandato sono andati a fare gli assessori e in generale i politici. Se qualcuno si affaccia alla rappresentanza come il primo gradino della carriera politica, è chiaro che non sia al massimo. Credo che ci sia una frazione non trascurabile dei rappresentanti degli studenti che svolge la rappresentanza come esercizio per avviarsi alla carriera politica. E questo non è lo spirito giusto per farsi carico delle istanze degli studenti.
Su quali aspetti, secondo Lei, l’Università degli Studi di Salerno dovrebbe migliorare?
Credo che l’università debba aprirsi alle nuove tecnologie. Ci sono le università telematiche che raccolgono una serie di esigenze: quelle degli studenti che finiscono per diventare fuoricorso perché lavorano e quelle dei tanti che hanno difficoltà a seguire le lezioni. Queste tecniche potrebbero aiutare la didattica, la quale deve restare didattica in aula perché ha una funzione indispensabile di essere un punto di riferimento per gli studenti, ma che ad essa potrebbe essere funzionale. Un altro punto è la collaborazione tra li atenei: invece di litigare tra chi si crede migliore dell’altro, si dovrebbero iniziare a mettere insieme le diverse strutture e le diverse competenze per fornire un servizio diversificato e più completo. Credo siano entrambi aspetti fondamentali affinché l’università non resti indietro rispetto alla società.
Antonella Maiorino
Intervista tratta dal bollettino informativo IL GIORNO DEL GIUDIZIO