23 Luglio 2020
L’emergenza sanitaria ha messo a nudo l’Italia. L’ha esposta non solo alle fragilità del sistema sanitario, ma anche a quelle sociali che attraversano i settori produttivi del paese. Il lavoro è stato in alcuni casi riorganizzato ma il dibattito sulla sicurezza negli ambienti lavorativi è solo al principio. Anteporre al profitto il benessere dei lavoratori doveva e poteva essere il punto di partenza per l’individuazione di nuove strutture di tutela, ma forse l’occasione di ripartire col piede giusto è già stata sprecata. La carenza di braccianti impiegati nelle terre, su cui si è basata la necessità del governo di intervenire sulla regolarizzazione dei migranti, è stata la conseguenza del blocco delle frontiere che ha impedito ai lavoratori stagionali di arrivare dall’Est Europa, a cui si è aggiunta l’impossibilità di superare i controlli in assenza di un contratto di lavoro che potesse attestare l’esistenza del rapporto.
La ratio su cui si basa l’intervento sembra essere unicamente utilitaristica. I raccolti agricoli rischiano di essere dissipati e di non arrivare mai nelle mani dei negozianti, perciò ad essere sottoposti a regime di regolarizzazione saranno solo una parte dei braccianti (circa 200.000) e soltanto per un periodo limitato. Si regolarizza chi serve e solo per il tempo in cui serve. Questo tipo di approccio viene confermato dallo stesso iter previsto per accedere alla regolarizzazione. La titolarità del provvedimento, nonostante riguardi in prima persona i braccianti, è concessa al datore di lavoro che può presentare istanza all’interno dello sportello unico di immigrazione. Il contratto produrrà direttamente il permesso di soggiorno con il quale il rapporto di lavoro verrà regolarizzato. Letta in questo modo, la manovra sembra essere pensata più per agevolare i datori di lavoro, che potranno esercitare un potere di forza e di pressione anche in relazione alle stesse condizioni lavorative. I migranti braccianti potranno solo attendere e sperare di essere scelti e regolarizzati. È una manovra disumanizzante, che non tutela e non lascia liberi i migranti di inserirsi autonomamente nel mondo del lavoro e scegliere, anziché essere unicamente scelti, con chi intraprendere un rapporto di lavoro. L’associazione Diritti e Frontiere sul tema ha proposto di modificare la sanatoria affinché il permesso di soggiorno fosse rilasciato direttamente ai migranti e per “attesa occupazione”, da estendere non solo alla categoria dei braccianti ma a tutti gli stranieri privi di documenti. Un approccio di questo tipo sarebbe stato il primo passo verso non solo un atteggiamento più considerevole dei migranti ma nei confronti dell’intero settore agricolo che continua ad essere soggetto all’influenza del caporalato.
Tuttora il caporale costituisce l’anello di congiunzione tra l’imprenditore agricolo che cerca manodopera e i braccianti (stranieri e non) che cercano un impiego. È lui che mette in contatto le due parti assicurandosi che al lavoratore spetti sempre la parte peggiore: alloggi organizzati in baraccopoli dove le norme di sicurezza e di igiene sono solo un miraggio, trasporto sui campi sottoposto agli stessi ricatti, decurtamento continuo dello stipendio. Il salario non corrisponde a quello ufficiale, segue quello “di piazza” o a cottimo, cioè valutato in base alla quantità raccolta. Quanto accade nei campi agricoli è il riflesso di quanto succede all’interno dell’intera filiera agro-alimentare dove gli imprenditori agricoli sono costretti a subire le pratiche sleali della Grande Distribuzione Organizzata – che consente ai prodotti agricoli di arrivare all’interno dei supermercati – definite vessatorie, ossia sfavorevoli per la controparte, dall’Antitrust. Quello agro-alimentare è un sistema tra poteri sbilanciati, dove i braccianti – soprattutto se migranti – costituiscono la parte meno tutelata e più sfruttata. Per risanare la loro situazione serve una completa attuazione della legge anti-caporalato e bisogna investire in intermediari legali che possano facilitare l’incontro della domanda con l’offerta attraverso una riorganizzazione dei centri per l’impiego. Lasciare scoperto questo punto significa consentire ai braccianti, migranti e non, di continuare ad essere sfruttati, anche se con una regolarizzazione tra le mani. Per partire bene saremmo dovuti partire da qui.
Antonella Maiorino
Tratto dal bollettino informativo “Prova da sforzo“.