31 Dicembre 2019
Il 2019 portava con sé una timidissima speranza: solo due mesi prima dell’inizio dell’anno nuovo alcuni studenti e studentesse, scesi in piazza ad ottobre, erano stati ricevuti al ministero da Luigi Di Maio. Indipendentemente dai singoli orientamenti di voto, in molti, in quell’incontro, ci hanno sperato. Prima di tutto quegli stessi studenti che per circa due ore si sono passati il microfono provando a spiegare le ragioni del loro manifestare. Chiedevano più attenzione all’istruzione, più fondi per rendere pienamente accessibile la conoscenza e per sistemare le strutture scolastiche. Esattamente un anno dopo il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca italiana, entrato in carica da qualche mese, ha presentato le proprie dimissioni. Per lo stesso motivo per il quale quegli studenti hanno incontrato il referente politico del Movimento 5 Stelle: le leggi di bilancio continuano a prevedere pochi fondi per la scuola e l’università. Non sufficienti a garantire un’istruzione di qualità, accessibile e in grado di far fronte al tasso di disoccupazione.
È ormai un dato di fatto: l’istruzione pubblica in Italia è in crisi. Il sistemo accademico è sempre più in difficoltà. A partire dal diritto allo studio che viene sempre più di frequente contenuto, fino ad arrivare alle difficoltà a cui i ricercatori vanno incontro per ritagliarsi uno spazio all’interno delle università. A partire dal tipo di approccio all studio che viene inculcato agli studenti, fino ad arrivare al sistema di valutazione delle carriere accademiche, dei corsi di laurea, delle università, della ricerca, che continuano a tenere conto di criteri e algoritmi che non sono in grado di offrire l’immagine del valore culturale degli elementi che stanno giudicando. Più volte si è detto che gli istituti, in controtendenza alla logica delle classifiche e delle competizioni, devono imparare a far fronte comune, a mettersi insieme per lanciare un messaggio forte alla politica. Ma a quanto pare non è così scontato avere una visione comune dei problemi e delle soluzioni applicabili. C’è chi quelle logiche aziendalistiche, di assoluta considerazione dei risultati finali, le ha accettate e portate avanti. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto il Rettore della Federico II come nuovo rappresentante del MIUR a cui è seguito il comunicato di alcuni studenti dell’università che hanno sottolineato proprio le comuni vedute del Rettore con quelle aziendalistiche e di risparmio economico a cui evidentemente questo governo vuole rifarsi. Il Rettore dell’Università di Salerno, invece, in barba al suo ruolo di rappresentante imparziale e super partes, si è candidato con un partito politico alle elezioni europee e ha in ogni luogo promosso la sua politica del merito non provando mai neanche ad ascoltare chi in quella impostazione non ci si ritrovava.
Le difficoltà di comunicazione tra la politica e l’università producono effetti imponenti. A partire dal territorio in cui l’università si inserisce e che, come nel caso dell’ateneo salernitano, può provocare una maggiore chiusura della struttura, fino ai piani alti della governance dove i docenti avrebbero potuto usare il loro ruolo per far pressione sulle criticità accademiche. C’è una grossa fetta degli istituti che preferisce adeguarsi a quelle manovre che prendono in considerazione solo i risultati finali e sempre meno l’effettiva crescita culturale della classe studentesca. In questo modo la politica può continuare ad appoggiare questo sistema e a conservare un criterio di riparto dei fondi che facilita la differenziazione degli atenei in quelli di seria A e in quelli di serie B.
Sono poco ascoltati, eppure qui sono quelli che ancora sono in grado di produrre un effetto positivo. Di riempire le piazze, senza simboli politici, per difendere l’ambiente. Sono quelli che hanno dato vita al movimento delle sardine che, indipendentemente dai valori politici dei singoli, invita ad utilizzare un nuovo linguaggio politico che sia innanzitutto più sincero e che abbia più considerazione dei dati reali. Sono quelli che ancora chiedono spazio e voce nelle università, negli organi di rappresentanza, negli ambienti in cui si muovono. Sono quelli che probabilmente salveranno il sistema sanitario nazionale italiano, grazie all’impegno degli studenti di Medicina di tutta Italia che si sono uniti sotto un unico network per far presente le difficoltà relative alle borse per le scuole di specializzazione. Sono quelli che hanno ancora idee e voglia di salvarlo davvero questo paese. Continuano ad emigrare, a formarsi, a studiare, a rispondere alle difficoltà odierne non evitando mai di far presente quanto il sistema odierno tenda a minimizzare i talenti. Sono quelli che questa notte hanno risposto all’ennesima domanda sul proprio futuro provando come sempre a fare i migliori pronostici, nascondendo le preoccupazioni odierne su un futuro che non è più certo per nessuno. Berranno l’ennesimo bicchiere di spumante, esprimendo anche quest’anno il desiderio che qualcuno inizi a prendere sul serio in considerazione le loro istanze, che sono ormai quelle di un intero paese.
La Redazione