25 Dicembre 2022
Ogni anno bambine e bambini portano Babbo Natale nel loro “bagaglio ontologico”. Se tutte le famiglie sanno della non esistenza di Babbo Natale, piccole e piccoli no. La sua esistenza è assimilata per osmosi da rituali e racconti intorno ad un tavolo. Che Babbo Natale esista, è un fatto, fino più o meno alle scuole elementari, prima che la personcina più attenta scopra il misfatto o qualche genitore decida di interrompere quella magia per le troppe richieste irrealizzabili. Una figura, quella di Babbo Natale, che seppur senza storia, con origini cangianti di paese in paese, sopravvive nel Natale -quello più laico- senza possibilità di sparire. Un culto irrazionale portato avanti da adulte ed adulti con estrema razionalità, loro e dei loro portamonete, che dell’esistenza dell’anziano signore ne sono ben consapevoli.
Un vero e proprio culto che, almeno apparentemente, con la religione non ha nulla a che fare. Tutto è intangibile e per scontato, e di quell’effetto magico così dirompente fatto di campanelli suonati alle porte, intrattenitori travestiti per portare doni e pacchetti nascosti negli armadi non se ne fa a meno. Tranne che nel 1951, anno in cui una comunità religiosa di Babbo Natale e di facezie tanto irrazionali non volle più saperne.
In quell’anno, a Dijon, Babbo Natale fu giustiziato. Letteralmente, le grate della cattedrale accolsero un’impiccagione del “corpo”, bruciato poi in pubblica piazza. I giustizieri rilasciarano un comunicato alla popolazione che, per la sua specificità, è necessario citare per intero: “In rappresentanza di tutte le famiglie cristiane della parrocchia desiderose di lottare contro la menzogna, 250 bambini, raggruppati davanti alla porta principale della cattedrale di Digione, hanno bruciato Babbo Natale. Non si è trattato di un’attrazione, ma di un gesto simbolico. Babbo Natale è stato sacrificato in olocausto. A dire il vero, la menzogna non può risvegliare nel bambino il sentimento religioso e non è in nessun caso un metodo educativo. Che gli altri scrivano e dicano ciò che vogliono e facciano di Babbo Natale il contrappeso del Castigamatti. Per noi cristiani la festa del Natale deve rimanere la ricorrenza che celebra la nascita del Salvatore”.
Secondo le testate giornalistiche dell’epoca, questo “ritorno alla realtà” attuato da religiose e religiosi più ferventi, fu contraccambiato da una comunità laica che riportò Babbo Natale al suo ruolo originario: distribuzione di doni e felicità. Una singolare contrapposizione, o meglio scambio, tra razionale e irrazionale, uno scontro tra fedeli e religiosi contro una menzogna così ben architettata da lunghissimi anni, e persone laiche, così razionali da difendere il diritto di bambine e bambini di credere, avere fede in una figura così impressa nel loro immaginario. La vicenda fu talmente attrattiva da spingere l’antropologo Claude Lévi-Strauss a scrivere un saggio -Babbo Natale giustiziato- sull’evento e su perché si perpetua di festività in festività il culto di Babbo Natale. Secondo lo studioso, Babbo Natale rappresenta un legame tra l’antichità e il medioevo, tra tutti quei culti sincretici tramutati dal clero in festività religiose, ma soprattutto rappresenta quella forte connessione così eterea, desiderata, rinnegata, con il mondo della morte. Credere in una divinità che “visita” il mondo dei/lle viventi, è un bisogno che attraversa i continenti e la storia per cercare di affrontare la venuta del nuovo anno. Una divinità che scende tra chi vive, si annuncia, dona e va via per poi ritornare ciclicamente. Una manifestazione effimera e perpetua. Ma ciò che più colpisce Lévi-Strauss del culto di Babbo Natale, che permane pur non avendo delle vere e proprie origini, ha a che fare con destinatarie e destinatari del culto: il mondo dell’infanzia. La morte, in questo caso, e forse anche -più religiosamente di quanto possa intendersi, e rispetto a qualsiasi culto- la rinascita, sono fenomeni sociali, non spirituali.
A Babbo Natale si crede, e poi non si crede: è un obbligatorio rito di passaggio, di iniziazione dall’infanzia all’età adulta. E la società compiace chi non vive, o meglio, sopravvive sulla terra a contatto con le responsabilità e con la vita più dura. Come si venerano i morti, si venerano bambine e bambine, per cinque minuti all’anno, per alimentare la loro magia, la loro tenerezza, la loro impossibilità di comprendere il reale come tale, con tutte le sue difficoltà. E le persone adulte si beano, insieme a figlie e figli, di quell’illusione, finché non si rivela la non esistenza di Babbo Natale. Quella piccola delusione, rappresenta la vita, la porta verso la realtà.
Ma Babbo Natale, anche a questo, sopravvive, per quell’esigenza di restare ancora in quel limbo in cui un mantello rosso svolazzante e una figura così positiva e portatrice di bontà tuteli anche le persone adulte, che portano avanti con chi arriva dopo una tradizione senza fine. Credere a Babbo Natale è -ancora- nella società contemporanea, un bisogno imprescindibile.