2 Febbraio 2019
Il Guatemala è passato alla storia come il paese che ha vissuto uno dei conflitti civili più longevi, precisamente sono stati 36 anni di lotte che hanno visto la fine solo nel dicembre del 1996 con la firma ad Oslo, in Norvegia, degli Accordi di Pace. Per molte donne, però, quella pace tanto desiderata non è mai arrivata, infatti ad oggi il Guatemala è ancora considerato uno dei paesi con il tasso più elevato di violenza, specialmente quella femminile. Per chi è nata o ha vissuto gli anni di lotta civile la realtà non è cambiata, rimanendo tristemente fedele a se stessa.
“A volte veniamo perseguitate, ma questo spirito di lotta per i diritti l’abbiamo. Morirono molte persone, fu versato molto sangue dai differenti popoli maya, credo che per questo non possiamo smettere di lottare. Ci sono state donne che furono violentante, torturate, assassinate ed è proprio per loro e in loro memoria che non possiamo fermarci.”, una testimonianza rilasciata da un’anonima donna maya attiva nelle manifestazioni per far valere i propri diritti. Le donne maya sono il perno della società indigena guatemalteca. Rigoberta Menchù, pacifista guatemalteca, che ha ricevuto nel 1992 il Premio Nobel per la Pace, nel libro “Mi chiamo Rigobertà Menchù” di Elisabeth Burgos descrive dettagliatamente la triste storia degli indigeni in Guatemala e l ruotine che è costretta a seguire la donna che ricopre un ruolo fondamentale nell’organizzazione delle comunità maya. Sono le donne a svegliarsi prima dell’alba per poter andare a prendere l’acqua, subito dopo preparano la colazione per tutta la famiglia e, dopo aver dato da mangiare agli animali vanno a lavorare con i mariti nelle piantagioni. Eppure, questi sforzi non sono riconosciuti, almeno secondo la comunità e le autorità del paese.
Prima del 2015, l’età per essere presa in moglie era compresa tra i 10 e i 14 anni. A quell’età non si è in grado nemmeno fisicamente di sostenere una vita matrimoniale e tantomeno una gravidanza, infatti furono numerose le morti durante il parto. Il Congresso nel 2015 ha approvato un emendamento del Codice Civile che ha alzato l’età minima per sposarsi a 18 anni, invece dei 14 per le ragazze e 16 per i ragazzi. L’emendamento ha però un’eccezione che prevede la possibilità di sposarsi prima del compimento della maggiore età, in seguito all’approvazione di un giudice competente e della volontà patriarcale. Nonostante sia stata estesa la fascia d’età molte ragazze sono ancora costrette ad abbandonare gli studi, a lasciare gli amici per diventare mogli per mariti troppo adulti e pronti a lasciarle alla prima difficoltà. Secondo il Codice Civile, i coniugi devono condividere le responsabilità domestiche ed entrambi i genitori devono occuparsi dell’educazione dei figli. Nonostante questo, in Guatemala persistono ancora delle forti disparità di genere, dal momento che quasi sempre sono le donne a dover svolgere i lavori domestici e a occuparsi dei figli.
Il femminicidio è un grave crimine molto presente in questo paese, infatti nonostante l’esistenza di leggi a tutela delle donne più del 90% dei delitti vengono lasciati troppo spesso impuniti a dispetto dell’impegno di intere famiglie, come nel caso di Maria Isabel. Aveva solo 15 anni Maria Isabel Franco quando nel dicembre del 2001 è stata violentata e uccisa da carnefici ancora sconosciuti. Da allora la madre, Rosa Franco, si batte per ottenere giustizia, ma le autorità guatemalteche sembrano essere sorde al suo appello, lanciando così il macabro messaggio che l’abuso e l’omicidio delle donne siano crimini permessi.
Maria Isabel non è la prima né l’ultima vittima di un paese in cui le donne, pur essendo legalmente tutelate, sono costrette ancora a lottare per farsi ascoltare. Per loro la guerra civile non è finita con gli Accordi di Pace del 1996 e chissà se mai vedrà una conclusione o quest’ultima continuerà ancora ad essere una vana utopia.
Annaclaudia D’Errico