2 Aprile 2021
L’assenza è ovunque. Un controsenso, non è possibile quantificare il vuoto. Per questo, l’assenza è ovunque. E preferiamo intenderla come un gigantesco dolore, che riempie tutti gli spazi, avvolgente, sorprendentemente presente, di più semplice comprensione. La “presenza”, quella che nei film horror fa sobbalzare lǝ spettatorǝ, è sempre meno terrificante dell’assenza, un’assenza meramente e terribilmente terrena, biologica; gli odori, i sospiri, un colpo di tosse, il rumore dei passi, nulla è più. L’apertura del cortometraggio animato “If anything happens, I love you”, di Will McCormack e Michael Govier, candidato agli Oscar 2021, trasmette con precisione la sensazione della perdita. Una mamma, un papà, una figlia che non c’è più, una vita che non può più esistere.
Nell’incomunicabilità più profonda, quella in cui non ci sono parole adatte da proferire, è la loro proiezione, la loro ombra a creare un contatto. Una musica prende vita, e proprio quelle ombre racconteranno allǝ spettatorǝ una tragedia indescrivibile. I tratti di matita, per chi non è avvezzo a riconoscere le prodezze di chi usa le mani per disegnare, sembrano abbozzati, sbiaditi. Una suggestione corretta, perché è inimmaginabile, per la nostra mente, dare davvero forma ad un evento inenarrabile.
Quando la bambina, la sua ombra, decide di “accendere” quel silenzio con un vecchio giradischi, la narrazione ci porta immediatamente in una vita passata, quotidiana, riconoscibile, bella. Le ombre continuano a rimettere in scena quella esistenza dimenticata, la pallonata data erroneamente sul muro della casa, riverniciato dalla figlia in maniera maldestra con una pennellata blu -uno dei pochi colori presenti nel cortometraggio- il sorriso, l’abbraccio e infine la scuola, il luogo della fine, degli spari, dei rumori che nemmeno in un cartone animato vorremmo sentire. “If anything happens, I love you”, “Se succede qualcosa vi voglio bene”. “Se”.
Un cortometraggio necessario, una denuncia a matita di una delle problematiche che affligge senza soluzione di continuità gli Stati Uniti, la cui riuscita è attribuibile alla veridicità della storia. La trama non è infatti “vera” in senso letterale, ma è il risultato di una ricerca, coadiuvata dalla collaborazione con l’associazione Everytown for Gun, impegnata per la promozione dell’uso controllato delle armi, composta da famiglie che hanno vissuto quell’esperienza, e che hanno sottolineato quanto la perdita distrugga ogni possibilità e velleità di comunicare all’altrǝ il proprio dolore, il proprio sgomento. Il finale del cortometraggio tenta proprio di aprirsi ad una ricongiunzione, all’intento di aggrapparsi alla solitudine della propria persona più vicina. Un’opportunità per ridare, a quel “Se”, un futuro, a far sì che tutto l’amore che è stato vibri e si propaghi nel tempo che verrà.
Maria Vittoria Santoro