31 Dicembre 2020
Non è semplice, quest’anno, scrivere un discorso di fine anno da rivolgere agli studenti. Perché, nei mesi che ci lasciamo alle spalle, non sempre siamo stati in grado di riconoscerli. Per tanto tempo ci si è limitati ad individuarli in funzione di specifici luoghi: le scuole, le università, i campus, gli istituti. È bastato chiudere quegli spazi per vedere vacillare l’alta considerazione che la società ha di loro.
Per le professioni lavorative è quasi accaduto l’opposto. Parrucchieri, centri estetici, bar, ristoranti, partite IVA: i loro nomi sono stati pronunciati a chiare lettere da Conte, della loro organizzazione anti-covid si è parlato per mesi, quando hanno dovuto serrare la saracinesca abbiamo assistito a post e discorsi che elargivano meriti al loro impegno, e nessuna ipotesi di ristoro è per loro stata scartata. Quando invece hanno chiuso le scuole e le università è semplicemente calato il silenzio, ci si è spostati al tema successivo.
In particolare per gli studenti universitari, che nelle lunghe dirette di Giuseppe Conte non sono mai stati menzionati. Per loro si è parlato di ritorno ad una vecchia quotidianità soltanto a luglio, soltanto dopo la pubblicazione delle linee guida del ministero. Mentre le bozze di DPCM passavano tra le mani dei giornali ancor prima che Conte li firmasse, le indiscrezioni relative alle attività didattiche universitarie non hanno interessato nessuno, non c’è stato alcun dibattito pre-pubblicazione. Un giorno sono state semplicemente rese note e il dibattito che si è susseguito ha avuto luogo su un canale social. Si parlava di entrate scaglionate, di didattica mista, di graduale ritorno alle attività in presenza. Ma nulla di tutto questo è mai avvenuto. Almeno in Campania, almeno in Unisa.
Quando ad inizio anno accademico alcune voci si sono opposte all’ennesima chiusura di scuole e università, ha fatto un certo effetto ascoltare le parole della ministra delle infrastrutture e dei trasporti, Paola De Micheli. Le entrate scaglionate non andavano bene, spostare le lezioni di pomeriggio neanche, affittare più mezzi impossibile, fare dei bandi per incrementare il servizio pubblico di trasporto avrebbe richiesto troppo. E quindi che si fa? Si chiudono le scuole. I mezzi sono troppo pieni: gli studenti possono stare a casa. “Non è la scuola il problema, ma quello che gli sta attorno”. “L’implicita socialità che ne deriva”.
Nel nostro paese le scuole e le università sono stati i primi luoghi a chiudere e non possiamo continuare questo periodo scrivendo “e gli ultimi ad aprire” perché non hanno mai riaperto. Gli studenti sono stati l’unica categoria per i quali non sono stati previsti ristori. Giusto qua e là degli aiutini economici per le matricole e gli studenti con reddito più basso. Una sola fetta di studenti, non l’intera categoria, anche se a vivere il disagio sono stati tutti, anche se può essere un fuori-corso a non avere una buona connessione internet per sostenere l’esame.
Si sperava a settembre in un nuovo inizio, in una quotidianità diversa ma che garantisse una migliore fruizione del diritto allo studio. Invece ci siamo ritrovati ad agosto a discutere di discoteche, di giovani colpevoli di incentivare la movida. Neanche la metà della metà del tempo è stato concesso alle biblioteche.
Non sono i luoghi per giovani ad essere stati chiusi, non sono i luoghi di svago. Sono invece i luoghi di istruzione, i luoghi di formazione. Un computer e una connessione – laddove presenti – possono aiutare per un periodo, ma non per sempre. E c’è chi in casa vive enormi difficoltà che non può sempre nascondere. Meritavano aiuto anche loro. Anche quelli che, sebbene fuori-corso, hanno problemi economici. Anche quelli che non sono matricole e non possono accedere alla NoTaxArea. Anche quelli che da casa non hanno modo di collegarsi al pc per sostenere un esame. Gli studenti meritavano di essere aiutati tutti, come accaduto per le professioni lavorative.
Quello che si conclude qui è un discorso di fine anno abbastanza amareggiato, perché è questo ciò che comporta l’allontanamento prolungato dai luoghi in cui si ambisce a qualcosa. Si finisce per guardare al futuro con meno entusiasmo e resilienza, proprio in un periodo in cui serve averne in abbondanza.
La Redazione