7 Gennaio 2019
Cos’è la disobbedienza civile se non l’ignorare, pubblicamente volontariamente e consapevolmente, una norma perché la si ritiene errata?
È di questi giorni la notizia, rilanciata da molti siti e giornali nazionali, della disobbedienza di alcuni sindaci italiani al Decreto Sicurezza, varato sul finire del 2018 dal Governo giallo verde. Ai no alla norma tuonati dai vari Orlando, sindaco di Palermo, De Magistris, sindaco di Napoli, Nardella, sindaco di Firenze e ultimo, ma forse solo per il momento, Drei, sindaco di Forlì, è giunta la risposta del Ministro dell’Interno, fautore del Decreto: “Se non vogliono applicare la norma, che si dimettano”.
Tralasciando il fatto che lo stesso Ministro, quand’era solo a capo della Lega, al momento della promulgazione del Decreto Cirinnà, che permetteva le unioni tra omosessuali, invitò i sindaci del Carroccio alla disobbedienza civile, sorge comunque un dubbio: disobbedire ad una legge è consentito? Ma soprattutto, ci sono mai stati casi di disobbedienza civile?
In merito alla prima domanda la risposta è semplice: no. Nessuno può disobbedire a norme promulgate dallo Stato. La seconda domanda pone maggiore spazio per il ragionamento. Non volendo complicare le cose, ponendo sul piatto la filosofia e la questione su cosa sia o meno giusto, analizziamo la situazione solo dal punto di vista storico.
Non si deve andare più di tanto indietro, 18 settembre 1938, poco meno di 90 anni fa. La seconda guerra mondiale era alle porte, ma gli italiani la ignoravano ancora. A Trieste davanti al Municipio, in Piazza unità d’Italia, il Duce, Benito Mussolini, dal palco proclamava le prime leggi razziali, che ponevano l’Italia a fianco della Germania, che già da cinque anni aveva iniziato, con provvedimenti legislativi, a ghettizzare gli ebrei.
Inutile raccontare ciò che seguì a quell’infausto 18 settembre. Quello da evidenziare è che però dal 18 settembre chiunque era ebreo era contrario alla legge. Durante la guerra l’Europa era una polveriera, ma una cosa era sicura se eri ebreo o finivi in un campo di concentramento oppure potevi tentare la fuga. Tra i vari ebrei scampati ai campi ci sono alcuni che devono, letteralmente, la vita all’italiano Giorgio Perlasca, che durante la seconda guerra mondiale, mentre era in Ungheria, contribuì a salvarne diversi.
Non si vuol paragonare la situazione attuale a quella del periodo fascista, la si è presa in considerazione solo perché è la più eclatante e vicina a noi. Il punto sul quale ci vuole soffermare è che, la disobbedienza civile è sempre esistita, e sempre esisterà. Il nodo cruciale dello scontro tra municipalità e Ministero dell’interno è la condizione degli immigrati clandestini, cioè di quelle persone che giungono in italia senza documenti. Il fenomeno, anche questa volta non è nuovo. Anni “90” imperversa guerra in Jugoslavia. La tratta degli scafisti è verso le coste dell’Adriatico. In Italia sbarcano negli anni persone, che poi in seguito agli sconvolgimenti geo-politici, sarebbero diventati Albanesi, Croati, Kosovari, Bosniaci ecc. Governo di sinistra e anche in questo caso blocco navale per combattere la malavita dietro gli sbarchi.
A distanza di 20 anni con il Decreto Sicurezza, tra le altre cose, si sono parzialmente chiusi gli Sprar, i centri di accoglienza, che sotto il controllo dei Comuni, accoglievano i richiedenti asilo. Con il Decreto Sicurezza si è annullato la protezione umanataria, che ha causato un aumento di immigrati per le strade, in quanto questi ultimi non possono più essere accolti negli Sprar. Il che contraddice il senso del decreto stesso. Le nuove norme sono state istituite per combattere l’immigrazione clandestina e ridurre i reati commessi dagli immigrati nel territorio italiano. Chiudendo gli Sprar, tuttavia, la sicurezza non aumenta, anzi al contrario tende a ridursi. Gli ex ospiti delle strutture gestite dai comuni, senza alcun luogo dove andare e senza sussidi, cadranno più facilmente nella tentazione di commettere reati o peggio nelle mani delle criminalità organizzate.
Per sciogliere questa matassa le uniche forbici, che si hanno a disposizione, sono quelle della Costituzione italiana. I sindaci non dovrebbero ignorare una norma statale, tuttavia tale norma può essere sottoposta ad un controllo costituzionale, volto ad accertarne l’aderenza al dettato costituzionale. Le norme che Corte costituzionale potrebbe prendere in esame sono gli articoli 3 e 11 della Costituzione. L’articolo 3 proclama l’uguaglianza, anche se c’è da dire che l’uguaglianza è garantita ai cittadini. Il Decreto si basa sul concetto di immigrazione clandestina, motivo per cui queste persone non potrebbero essere considerate cittadini. L’articolo 11 invece tratta della cooperazione internazionale e della limitazione del potere dello Stato, in condizioni di parità con gli altri Stati. Ecco condizioni di parità, questo è il nodo chiave della vicenda. I Padri Costituenti avevano scritto questa norma immaginando già, che per problemi che la sola Italia non avesse potuto affrontare ci sarebbe stato bisogno di una collaborazione tra più stati. Dall’entrata in vigore della Costituzione sono passati da poco 71 anni, ma il nodo chiave restano quei pochi termini in condizioni di parità. Quando sussiste questa parità? Non vi sono norme che lo stabiliscono.
Il testo potrebbe essere apparentemente inattaccabile dai sindaci, la cui unica speranza resta la Corte Costituzionale. La Corte, infatti, potrebbe stravolgere il testo del Decreto, andando a disporre che l’accoglienza dei immigrati è un dovere dell’Italia in virtù di accordi internazionali, tra cui il più discusso il trattato di Dublino, firmato dall’ex segretario della Lega Roberto Maroni. La questione sembra essere lontana dall’essere risolta. L’unica cosa certa è quello che dice la storia. Sì ci sono stati casi di disobbedienza civile in Italia e sì il Ministro che ora invoca il rispetto delle leggi poco più di due anni fa invocava disobbedienza civile da parte dei sindaci. Che quindi cambi il senso di giustizia a seconda del fatto che si sia o meno all’interno del Governo? Ai posteri l’ardua risposta.
Tommaso Mauro