24 Febbraio 2019
Roma, un quartiere messicano medioborghese del 1970 dalle differenze di classe nette ed evidenti. Le scene, dipinte con un bianco e nero sbiadito dai ricordi, permettono di osservare da un punto di vista privilegiato quelli che sono i due volti della stessa medaglia di un paese in grave difficoltà economica.
Cleo, la protagonista della pellicola, non è solo una tata e una domestica di origini Indios, ma anche il perno al quale si aggrappano le vite della famiglia spagnola che quasi la consuma con i propri capricci e richieste d’attenzione. Nonostante il suo essere mite e il suo attraversare silenziosamente la vita la donna possiede una grande forza d’animo che la accomuna alla padrona, insieme all’essere entrambe vittime di uomini egoisti fuggiti alla ricerca di un loro ideale di benessere. Il rigore compositivo delle scene crea spesso delle fratture temporali, pause di riflessione che fanno percepire la concretezza del distacco nella somiglianza, della lontananza impossibile da colmare nonostante l’affetto che lega la famiglia alla domestica.
Gli eventi che si svolgono attorno a queste figure, le lotte politiche fondate su di una propaganda basata, per ricevere consensi, sul recupero delle terre espropriate e le tensioni sociali che sfociano in sanguinose rivolte, sono solo la cornice surreale di un ritratto intimo e familiare . A predominare è l’attenzione per i gesti quotidiani, per le necessità primarie dei due mondi e i dettagli che ne accentuano le differenze. E l’essere madre in un periodo storico del genere così instabile e pericoloso crea un senso di ansia costante, le donne più fortunate sono costrette a reinventarsi a causa della crisi economica mentre le meno fortunate temono costantemente anche solo di avere figli perché impossibilitate a dar loro un futuro.
Alcune delle scene sono state costruite in modo da rappresentare simboli potenti, come la tazza del “buon augurio” per la nuova nascita, che viene accidentalmente infranta sul pavimento, o l’incendio che distrugge le terre attorno alle ville dei caucasici più ricchi che riporta ai soprusi subiti dalle popolazioni indigene costrette a schiavitù pur essendo per diritto di nascita i naturali proprietari di quelle risorse. Ma il simbolo più importante è l’abbraccio familiare che fa da locandina, simbiosi necessaria, pura e semplice tra le due classi sociali rappresentate dalle due donne che si confortano in un drammatico momento di paura.
Il film è carico di una bellezza nostalgica poiché il regista, Alfonso Cuarón, ha voluto ripercorrere il luoghi della sua infanzia ringraziando le donne straordinarie che hanno fatto crescere una generazione intera. Nostalgia che si riflette anche in Cleo e nel suo malinconico ripensare ai luoghi caldi del suo paese natio. Degli uomini invece fa un ritratto impietoso e mentre al femminile associa il futuro a loro collega la morte e l’abbandono. La scelta di trattare il dislivello sociale attraverso il nucleo familiare è un modo per spiegare da quali radici proveniamo, familiari e sociali, politiche e sentimentali. Perché il passato, il presente e il futuro sono inscindibilmente legati e interconnessi e non si possono dimenticare.
Letizia Pizzarelli