29 Aprile 2021
Il 19 aprile 2021 Beppe Grillo pubblica sui suoi canali social un video di un minuto e trenta in cui difende suo figlio, Ciro Grillo e i compagni coinvolti dalle accuse di aver stuprato in gruppo una ragazza diciannovenne. È seduto a tavola, solo davanti ad una telecamera. Furioso accusa i giornalisti –“giornalisti o giudici?”, li chiama- di aver piazzato suo figlio, innocente, su tutte le testate per un crimine che non ha commesso. “Sono stati lasciati liberi per due anni, perché? Ce li avrei portati io a calci nel culo”. “Non è vero niente” continua, e la descrizione dell’atto commesso nel video dovrebbe, per lui, rendere consapevole l’opinione pubblica sull’innocenza dei ragazzi, che non sono stupratori, ma dei “coglioni con il pisello di fuori” che si divertono. La ragazza ha quindi dato il suo consenso, d’altronde, apostrofa ancora Grillo gridando, il giorno dopo era a fare kitesurf e la denuncia è stata fatta otto giorni dopo. “Se dovete arrestare mio figlio che non ha fatto niente, allora arrestate me, ci vado io in galera”. Finale ad effetto ed è bum su tutti i giornali. Bum di critiche, tante critiche, ma anche tanta solidarietà da parte di chi crede e ritiene sincera quella reazione, normale conseguenza del dolore di un padre che teme per il futuro del figlio, tanto da volerci andare lui in galera. E il dolore della ragazza, nel marasma del pro-contro Grillo, sparisce. Si aspetta un processo, non si formulano accuse, ma al netto delle dichiarazioni presenti nel video, ciò che la renderebbe bugiarda è la sua denuncia tardiva, il suo non aver preso subito consapevolezza di ciò che le è accaduto, di averci messo troppo tempo a raccogliere probabilmente i cocci il giorno dopo cercando di non farsi annientare da ciò che le era accaduto. E per tutte le persone che hanno subito uno stupro, di giorni successivi da raccontare ce ne sono parecchi.
“Il silenzio non porta più giovamento, se non agli stupratori.” è il titolo del post pubblicato da Eva Dal Canto sulla piattaforma di instagram e che lancia la campagna di sensibilizzazione a livello nazionale #ilgiornodopo. La foto che accompagna la didascalia ritrae lei, con un foglio bianco che riporta la scritta “#ILGIORNODOPO SONO ANDATA A SCUOLA”. È la risposta di Eva per dimostrare la sua vicinanza alla ragazza che ha avuto il coraggio di denunciare la violenza subita, venendo accusata e colpevolizzata da Beppe Grillo. Secondo quest’ultimo, non è concepibile il giorno dopo uno stupro si pratichi il kitesurf. La replica silenziosa alle sue grida arriva dai social grazie proprio all’iniziativa di Eva Dal Canto. Tramite la sua esperienza, racconta di aver realizzato di essere una sopravvissuta solo un anno e mezzo dopo aver avuto numerosi attacchi di panico, tentato il suicidio e iniziando un percorso psicoterapeutico. La mattina successiva è, appunto, andata a scuola – iscritta al quarto anno di liceo – passando la giornata con colui che aveva approfittato della sua vulnerabilità. A questo appello si sono unite numerose donne che hanno dato continuità all’hashtag #ilgiornodopo diventato virale su tutti i social in pochissimo tempo. “#ilgiorno dopo ho sostenuto un esame”, “sono andata a fare la spesa”, “sono andata al cinema con le mie amiche”, “sono andata in spiaggia”, queste alcune delle frasi riportate su un semplice foglio bianco diventato un mezzo per veicolare un messaggio che viene spesso ignorato dalla società. Il bisogno, l’esigenza di aggrapparsi, dopo un trauma così grande, ad uno scorcio di quotidianità, provare a non pensare. Prendersi del tempo per capire che non si ha alcuna responsabilità per quello che è successo nonostante qualcun* si possa prendere la briga di far pensare il contrario. “Ma tu cos’hai fatto per provocarlo? Avevi bevuto? Com’eri vestita?”, dalle forze dell’ordine, dai familiari, dai conoscenti, sono queste le domande che chi racconta una violenza si sente chiedere più frequentemente. In questa società profondamente patriarcale e maschilista è diventato automatico rendere la vittima anche – e soprattutto – colpevole perché “se l’è cercata”. Ed è proprio questo senso di vergogna che spinge il più del 90% delle donne a non denunciare, reputando l’accaduto da dimenticare senza neanche concedersi il tempo per metabolizzare. La paura di essere sottoposte ad un processo mediatico che le ritenga in parte responsabili e la vergogna di pensare di esserlo, è ancora più grande dello stupro e della violenza subito. Un vero e proprio ossimoro. Far sentire la vittima in qualche modo sbagliata, annullata, svuotata, significa darla vinta all’artefice. È drammaticamente normale scegliere di non denunciare ed ogni volta si continuare a scegliere di scagliarsi, provando a smentire le accuse con tesi ridicole, contro chi riesce a trovare la forza per farlo. L’appello di Eva Dal Canto – e prima ancora la ragazza che ha sporto denuncia – ha dato coraggio a molte altre donne, ma sono ancora troppe coloro che credono sia normale mantenere qualsiasi forma di violenza segreta.
Ci troviamo di fronte ad uno dei pochi casi in cui i social hanno saputo reagire a quello che è chiaramente un abuso di potere. Beppe Grillo è innanzitutto un familiare di uno degli indagati (e perciò: quanto imparziale?) e persona altamente influente in uno dei più importanti partiti italiani al momento. Già solo questo basterebbe a spiegare quanto fosse sconveniente il suo intervento, innanzitutto per la sua posizione nei confronti del partito, del paese e nei riguardi della ragazza in netto svantaggio in fatto di potere mediatico. Poi, i contenuti. E qui l’elenco delle cose che non vanno bene sono davvero tantissime. Chiarimenti: la legge prevede l’arresto solo in caso di reato in flagranza, inquinamento delle prove o per pericolo di fuga; i video e le relative testimonianze possono essere valutate da chi rientra tra gli addetti ai lavori e svolge questo di professione, l’ordinamento prevede che si possa denunciare un’aggressione sessuale entro un anno, non è lecito usare i media per far pressione su un caso giudiziario. Poi, tutti i problemi culturali: in qualche minuto Grillo riesce a mettere insieme i peggiori prodotti della cultura dello stupro quale il Revenge porn con il riferimento meschino alla visione del video e alla minaccia di renderlo pubblico, il victim blaming con la non comprensione degli otto giorni di tempo per denunciare. Tutto ciò è stata e continua ad essere violenza. L’unica solidarietà – da padre – è da provare verso i familiari della ragazza che probabilmente stanno assistendo a tutto questo sentendosi impotenti, mentre dall’altra parte si sono giocate le carte del “non sapete chi sono io” e del complottismo di ultima generazione “lo fanno per attaccare il movimento”. Se una donna sostiene di essere stata stuprata, va rispettata e non screditata. E soprattutto va creduta, fino a prova contraria. Non l’opposto. Per qualsiasi altra denuncia vigerebbe lo stesso principio. Questa volta però i social si sono rivelati uno strumento essenziale per il contrasto all’ennesimo propagandarsi della cultura e del linguaggio dello stupro. Con l’hashtag #ilgiornodopo è stata diffusa la testimonianza di chi ha subito quella violenza, ne è sopravvissuta e ne può parlare. Un atto di coraggio di tante donne che insieme sono state in grado di lanciare un messaggio chiarissimo: le donne che subiscono violenza non sono più sole. E soprattutto non sono più disposte a sostenere e accettare il diffondersi della cultura dello stupro, e quindi digerire le frasi terribili che fomentano il victim blaming, il revenge porn e tutte quelle azioni e parole che vorrebbe le donne in un angolo a non denunciare, a non alzare la voce, a non proteggersi e ad accettare la sopraffazione. Non è più così. E ogni giorno che passa sarà sempre meno così.
La Redazione