29 Ottobre 2021
La Forest Stewardship Council (FSC), una ONG internazionale senza scopo di lucro e ha l’intento di fornire delle certificazioni per una corretta tracciabilità dei prodotti derivanti dalle foreste usati nel commercio, ha lanciato un appello ai maggiori brand a livello internazionale. L’iniziativa prende il nome di “Fashion Forever Green Pact” ed ha come obiettivo quello di frenare l’impatto del settore sulla deforestazione e la perdita di biodiversità. Secondo il rapporto “Coming full circle: innovating towards sustainable man-made cellulosic fibres” di Fashion For Good, piattaforma globale per l’innovazione e la sostenibilità nel campo della moda, le fibre cellulosiche artificiali sono la terza fibra più utilizzata al mondo dopo il poliestere e il cotone, con un volume di produzione annuale di circa 7,1 milioni di tonnellate. Solo una parte di questo, però, deriva da foreste con una corretta gestione di monitoraggio di tutte le operazioni necessarie per la lavorazione delle fibre in tessuti. Aderendo al progetto della FSC, le aziende dovrebbero incrementare la trasparenza delle filiere con l’etichettatura di almeno una collezione entro il 2025.
Il processo per la creazione delle fibre tessili artificiali (MMCF – Man-made cellulosic fibres) inizia con la cellulosa, polimero naturale formato da catene di glucosio che si trova naturalmente nei vegetali, per poi essere lavorata nei laboratori dall’uomo con sostanze chimiche che ne modifica la composizione per ottenere filati leggeri e resistenti. La prima fibra tessile artificiale introdotta nel mercato è stata il rayon, creata in Francia a fine ‘800 come alternativa economica alla seta. Successivamente, si sono inserite altre come lo lyocell, estratto dalle piante di eucalipto, e il model dagli alberi di faggio. Tra le diverse tecniche esistenti, il processo più utilizzato è “viscosa”, denominato come una delle fibre più comuni. Qui, la cellulosa viene trattata con la soda caustica e il disolfuro di carbonio, convertendola in un liquido dorato con colore e consistenza simili al miele. Quest’ultimo, nello step successivo, viene filtrato per rimuovere le impurità. Come ultima fase vi è quella che include il lavaggio e lo sbiancamento che trasforma definitivamente i fili in una fibra artificiale.
La non certificabilità delle foreste è solo uno dei danni ambientali che la produzione delle MMCF comporta. Come il consumo di acqua durante la fase di estrazione dello lyocell o le sostanze chimiche che comunque rimangono, anche se in una minima percentuale, sui tessuti dei nostri abiti. Anche lo smaltimento dei prodotti chimici utilizzati nel laboratorio può rappresentare un pericolo per l’ambiente come nel caso dell’idrossido di sodio che troppo spesso viene scaricato direttamente nell’acqua senza una corretta depurazione, contribuendo all’inquinamento. Inoltre, pur continuamente usati, elementi come l’acido solforico alimentano la produzione di gas serra nell’aria. Una valida alternativa è stata ideata da Lenzing AG, azienda austriaca proprietaria del marchio TENCEL che nei processi di trasformazione utilizza un solvente non tossico chiamato “ossido di ammina” e la cellulosa delle piante viene disciolta in “ossido di metilmorfolina”, una sostanza che sostituisce l’acido solforico. Inoltre, oltre il 99% del solvente può essere lavato dalla fibra e purificato per il riutilizzo e i materiali restanti vengono successivamente usati come energia per il processo a ciclo chiuso.
È doveroso chiarire che l’impiego di questi metodi implica un costo più elevato degli abiti che vengono prodotti. Ed è proprio in questo frangente che si fa spazio il progetto “TreeToTextile”, ideato da H&M in collaborazione con IKEA e Stora Enso. L’iniziativa ha come obiettivo la rigenerazione della cellulosa estratta dalle piante, creando così una nuova fibra tessile. L’utilizzo di meno energia e sostanze chimiche, consente una lavorazione meno onerosa e, di conseguenza, un costo più contenuto rispetto alle tecnologie applicate per realizzare le fibre convenzionali.
Idee come “TreeToTextile” e “Fashion Forever Green Pac”, anche se con metodi diversi, mirano entrambe alla diffusione di una moda ecosostenibile. Ad unirsi ai progetti sono stati i più importanti brand, tra cui anche aziende italiane: Birla, H&M, JBS Textile Group, Masai, Bitte Kai Rand, Bravo World, Daenong Corporation, Ghezzi e Brunello.
La crisi ambientale e l’impiego di risorse include qualsiasi azione quotidiana e i vestiti che riponiamo negli armadi non fanno eccezione. Prediligere brand che hanno aderito ad iniziative di questo tipo e l’acquisto di prodotti eco-friendly e certificati FSC può essere un buon inizio affinché lo shopping diventi un alleato nella lotta contro il cambiamento climatico e il deterioramento delle risorse.
Annaclaudia D’Errico
FONTI:
–“Le fibre tessili possono salvare le foreste del mondo?”
–“Fibre artificiali e cellulosa”