23 Giugno 2019
Nata negli Stati Uniti tra il 1967 e il 1968, la “Land Art” è una forma d’arte contemporanea basata sull’intervento dell’artista sul territorio naturale. Quest’idea fu pensata da un gruppo di artisti americani – desiderosi di portare l’arte anche al di fuori dei soliti spazi espositivi come i musei – i quali abbandonarono ogni mezzo artistico tradizionale per intervenire direttamente sulla natura che li circondava. La natura sembra risultare, da quel momento in poi, uno sfondo perfetto per la realizzazione di vere e proprie opere d’arte. La Land Art ha aperto il dibattito sul rapporto tra arte e sostenibilità ambientale, inoltre tutte le realizzazioni che caratterizzano questa corrente accettano il rischio delle modificazioni che la natura imporrà loro.
L’opera più famosa della Land Art è sicuramente la “Spiral Jetty” che Robert Smithson ha fatto costruire nel 1970 nel Grande Lago Salato nello Utah (USA): si tratta di una passerella a forma di spirale, costruita con materiali prelevati dalla collina vicina. L’opera è realizzata con materiale naturale ed è destinata a tornare alla natura: i microorganismi e le alghe se ne sono subito appropriati, provocando cambiamenti nel colore della spirale. Una volta terminato il lavoro dell’autore quindi, interviene quello della natura: è un circolo virtuoso.
Anche in Italia, alcuni luoghi sono diventati punti di riferimento internazionali nel campo della Land Art ed attirano visitatori da tutto il mondo. Tra i vari artisti ricordiamo Alberto Burri, il quale ha realizzato il “Grande Cretto”: un enorme labirinto di cemento le cui vie ripercorrono quelle del paese distrutto dal terremoto del Belice del 1968. I vicoli tagliati nel cemento rappresentano anche il labirinto dei nostri pensieri in cui ci perdiamo quando evochiamo i ricordi dolorosi e non della nostra vita: il Grande Cretto, dunque, è il simbolo dell’inestinguibilità della memoria umana; Mauro Staccioli, invece, è uno scultore di Volterra e ha regalato alcune delle proprie monumentali opere alla città: queste formano un vero e proprio percorso da ammirare e attraverso il quale l’artista interpreta il territorio. Con l’opera “Al bimbo che non vide crescere il bosco” collocata in prossimità del bivio per borgo di Mazzolla, egli celebra il vicino bosco, paragonando gli altissimi steli metalliche ad alberi, che – nell’immaginario dell’artista – diventano metafore del crescere, diventare adulti, vivere, in una dedica sentita ad una vita stroncata prematuramente; da ricordare è anche l’opera “Finestra sul mare” che Tano Festa ha inaugurato nel 1989 e che fa parte di “Fiumara d’Arte”, un vero e proprio museo a cielo aperto che prende il nome dalla Fiumara di Tusa. L’opera consiste in una gigantesca cornice blu che regala al pubblico lo straordinario spettacolo del mare attraverso una prospettiva diversa dal solito: isolando attraverso l’enorme cornice una parte di esso, il mare si trasforma in qualcosa di nuovo.
C’è da precisare che questo genere di opere non sono, ovviamente, destinate a durare nel tempo ma vanno deteriorandosi secondo un ciclo vitale che è la natura stessa a stabilire: ecco perché spesso ci si avvale della fotografia come testimonianza. L’artista della “Land Art” è da stimare perché vuole lasciare un segno indelebile nell’ambiente stesso in cui è immerso senza escludere il tentativo di sensibilizzare il pubblico a tematiche sempre più importanti, come la salvaguardia dell’ambiente. Naturalmente in molte altre zone (italiane e non) possiamo trovare queste meraviglie che rispettano ed esaltano la natura: perché la natura è la migliore opera d’arte in assoluto, anche se quasi nessuno sembra più accorgersene.
Michela Monaco