17 Febbraio 2021
Nella lista dei nomi dei ministri scelti – 8 donne e 15 uomini – dall’attuale presidente del consiglio Mario Draghi, letta in diretta il 12 febbraio 2021, vi rientra anche quello della deputata Mariastella Gelmini assegnata al ruolo di Ministro per gli affari regionali e autonomie. Un cognome che per molti ha rappresentato un biglietto per intraprendere un viaggio nel tempo indietro di dieci anni. Infatti, la Gelmini ha ricoperto dall’8 maggio 2008 al 16 novembre 2011 l’incarico di Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca nel Governo Berlusconi IV. Autrice di tutti gli atti normativi – emanati tra il 2008 ed il 2010 – contenuti nella “Riforma Gelmini” che ha stravolto l’istruzione pubblica italiana.
La Riforma ha reintrodotto, per gli anni delle scuole elementari, la figura del maestro unico, la valutazione con voti da 1 a 10 corredata da un giudizio che esprime il livello di maturazione raggiunto in quella materia. Inoltre, ha aggiunto l’insegnamento “Costituzione e Cittadinanza” nelle scuole elementari, medie e superiori (sia licei che istituti tecnici e professionali) e introdotto la prova nazionale dell’Invalsi di italiano e matematica nell’esame finale di licenza media. Un altro importante cambiamento attuato dalla riforma riguarda l’intero comparto dei licei che vengono riorganizzati in 6 indirizzi: artistico, classico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico e delle scienze umane. Il percorso di studi viene articolato in un biennio e un triennio. In tutti i licei è stato potenziato lo studio delle lingue straniere: in ogni liceo è previsto lo studio di almeno una lingua straniera per tutti i 5 anni ed è attivabile eventualmente una seconda lingua straniera. Inoltre durante l’ultimo anno di scuola è previsto lo studio di una disciplina non linguistica in inglese.
Anche la realtà universitaria è stata stravolta da questa Riforma. La denominazione di “facoltà” è stata eliminata e gli atenei sono stati riorganizzati in Dipartimenti o Strutture. Dobbiamo proprio a questa riforma, l’introduzione del sistema ANVUR che si occupa della valutazione dei risultati raggiunti dagli atenei per decidere se e quanti fondi o risorse distribuire con l’ausilio di criteri che non si basano sulla constatata presenza o meno di specifici requisiti all’interno degli istituti accademici. Anche le governance di ateneo è stata modificata: la carica di Rettore può essere ricoperta solo una volta per la durata di 6 anni e al Consiglio di Amministrazione vengono eletti anche personale esterni all’ateneo e l’organo gestirà sia le assunzioni e sia le spese delle sedi dell’università. L’ex Direttore amministrativo è diventato l’attuale Direttore generale, proposto dal Rettore al Consiglio di Amministrazione, sentito il Senato Accademico, con il compito di sovrintendere alla complessiva gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e del personale tecnico/amministrativo e ausiliario, nonché con compiti di partecipazione senza diritto di voto alle sedute del Consiglio di amministrazione. A tutti gli effetti, un manager in questa visione aziendalistica dell’università. Anche il Senato Accademico fu modificato dalla Riforma Gelmini, stabilendo la carica dei membri per un massimo di quattro anni con la possibilità di rinnovare il mandato per una sola volta. I corsi di laurea furono riorganizzati, in modo da eliminarne il maggior numero in eccesso. Inoltre, ci fu l’istituzione del “fondo per il merito” in favore degli studenti ritenuti più meritevoli nella corsa di esami.
Tutte le modifiche attuate nella riorganizzazione e modifica delle strutture didattiche che rappresentano e portano avanti l’istruzione pubblica in Italia non mettono in ombra la tematica più dibattuta durante le discussioni precedenti all’attuazione della Riforma Gelmini: i fondi erogati dal Ministero per l’istruzione. Tra il 2008 e il 2012, i tagli al bilancio scolastico e universitario ha raggiunto la somma di dieci miliardi di euro. Otto miliardi e cinquecento milioni di tagli alla scuola (il 10,4% del budget complessivo) e 1,3 miliardi di euro all’università (su un totale di 7,4 miliardi nel 2007, 9,2%). Tagli che hanno prodotto il sacrificio di quasi 100 mila cattedre in tutti i gradi delle scuole. In Italia, il numero degli insegnanti è calato dell’11,1%, mentre in altri paesi come la Germania o la Svezia aumentava rispettivamente del 13% e del 21,9%. Il taglio degli insegnanti e quello al bilancio, ha causato la chiusura di scuole e la soppressione di interi corsi di laurea. E sempre per far fronte ai tagli, molte scuole e corsi di laurea si sono accorpati. Non per essere più efficienti e incrementare la qualità della didattica, come vantato dalla stessa Gelmini, ma per una mera questione di sopravvivenza per ridurre il più possibile le spese.
Anche la figura dei ricercatori ha subito solo gli effetti negativi della Riforma. La decisione di eliminare il ruolo del ricercatore a tempo indeterminato a favore di nuovi percorsi contrattuali a tempo determinato era stata motivata dalla volontà di dare più opportunità ai giovani per agevolarne l’ingresso definitivo nelle università, in più con la promessa di diventare anche docente associato. Nel 2015, a quattro anni dalla sua entrata in vigore, la riforma ha dimezzato i nuovi ingressi: dai 1700 ricercatori a tempo indeterminato a circa 900 a tempo determinato a regime. E la maggior parte dei contratti riguarda i ricercatori di tipo «a» (quelli precari), mentre pochissimi (13 nel 2012 e 96 nel 2013) riguardano quelli di tipo «b» che prospettano la possibilità di diventare professore associato, la cosiddetta «tenure track» all’italiana tanto sbandierata al momento del varo della riforma. Una condanna per intere generazioni, relegate a lottare continuamente contro il precariato e tutte le incertezze che ne derivano. Provvedimenti e norme che hanno incrementato la cosiddetta “fuga di cervelli”, dal 2008 al 2019, sono circa 14mila i ricercatori che hanno deciso di emigrare all’estero perché poco valorizzati sia dal punto di vista economico e sia per quanto riguarda la possibilità di intraprendere una carriera degna di nota.
L’attuazione della “Riforma Gelmini”, che ha modificato drasticamente il settore dell’istruzione, non è stata esente da numerose manifestazioni in piazza, scioperi e proteste messe in campo sia da studenti che da personale docente. Un gruppo di studenti, nel novembre del 2010, cercò di entrare nel Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica, ma dopo aver superato la prima barriera furono respinti dagli agenti della sicurezza. Il tentativo, però, non placò la folla che continuando a gridare “Dimissioni, Dimissioni” in riferimento alla ministra Gelmini e al Governo Berlusconi, iniziò a lanciare anche delle uova contro la sede. Le proteste, l’occupazione di interi atenei e istituti superiori, però non furono in grado di fermare l’approvazione della Riforma.
Risparmiare, privatizzare, aziendalizzare: sono queste le parole chiave che hanno accompagnato il lavoro svolto da Mariastella Gelmini quando ha ricoperto la carica di Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Concetti che sono stati portati avanti negli anni dagli atenei. Ne è un esempio la politica “Unisa premia il merito” presente nell’Università degli studi di Salerno, collegata alla velocità con cui gli studenti sostengono gli esami. Meccanismi e termini che poco o nulla dovrebbero avere a che a fare con l’istruzione e la cultura. Investire sui giovani dovrebbe significare fornire loro tutti gli strumenti necessari per garantirgli un’istruzione equa e formativa senza la paura che il tetto della scuola gli possa crollare addosso da un momento all’altro o che uno o più docenti con cui sono soliti interfacciarsi vengano licenziati per problemi di budget. Bisogna puntare sulle nuove generazione però dando loro delle certezze, rassicurandoli del fatto che se un giorno decideranno di lasciare l’Italia sarà una scelta che dipenderà esclusivamente da loro e non condizionata dalla paura di dover porre la firma sull’ennesimo contratto part-time. Valorizzare nuovamente l’istruzione che continua a scontare le conseguenze della vecchia amministrazione e fatica a restare in piedi: questo dovrebbe essere l’obiettivo di Patrizio Bianchi e Maria Cristina Messa, rispettivamente Ministro dell’Istruzione e Ministro dell’Università e della Ricerca assegnati dal governo Draghi. Perché di tagli, giochi di potere e insicurezze, la classe studentesca e il personale accademico ne hanno avuto fin troppi.
L’auspicio è che tra qualche anno non ci ritroveremo a discutere e tirare le somme (negative) di una seconda Riforma Gelmini sia per quanto concerne l’istruzione che su altri fronti.
Annaclaudia D’Errico