1 Luglio 2020
C’è chi sostiene che le crisi non vadano sprecate e che servano per trovare nuovi approcci alla quotidianità e realizzare cambiamenti profondi e strutturali che in altri casi non sarebbero mai stati possibili. L’università italiana si addentra in questa strada dove, a causa delle conseguenze economiche a cui l’intero paese andrà incontro, rischia di avere meno risorse con cui organizzare le attività e, soprattutto, rischia di diventare un miraggio per molti diplomandi. Alcune soluzioni sono state già messe in campo e diverse sono state le proposte presentate dal Consiglio Nazionale degli studenti Universitari in occasione della seduta del 25 Marzo. Insieme a Ismail El Gharras, eletto nell’organo con il gruppo Link-Coordinamento Universitario, cerchiamo di capire quanto queste possano essere efficaci e/o realizzabili.
All’interno del decreto Rilancio il Governo italiano ha previsto un incremento dei fondi da elargire nei confronti del sistema accademico: 165 milioni per finanziare le borse di studio, estensione della NoTaxArea da Isee 13.000 a 20.000, riduzione delle tasse per gli studenti con ISEE da 20.000 a 30.000 e aiuti previsti per chi ha ISEE superiore a 30.000. (+8 per AFAM); 40 milioni per finanziare le borse di studio, 62 milioni (+ 50 del decreto Cura Italia) per strumenti tecnologici e risorse bibliografiche; 15 milioni per prorogare due mesi di contratto per i dottorandi. Sono numeri sufficienti ad arginare la situazione di crisi a cui sta per andare incontro il sistema accademico italiano?
Questi numeri sono un segnale positivo dopo anni di tagli all’università e alla ricerca, ma a mio avviso non sono sufficienti. Basti pensare che per non avere durante quest’anno accademico studenti esclusi dall’erogazione della borsa di studio (gli idonei non beneficiari) sarebbero serviti 200 milioni sul Fondo Integrativo Statale da elargire ad inizio anno. Se ora pensiamo al fatto che stiamo sprofondando in una crisi economica in cui c’è una previsione del calo del PIL del 10% è evidente che questi soldi, sebbene rappresentino un buon segnale, continuino a non essere abbastanza.
Quale criterio si utilizzerà per il riparto dei fondi tra le università? Sarà il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) che sappiamo avere il limite di prendere in considerazione solo il numero di studenti in corso, escludendo quelli fuori-corso, o si adotterà un criterio più egualitario?
Non si conosce ancora il criterio di divisione dei fondi per quanto riguarda il reparto dei 170 milioni per le tasse. Un’ipotesi è che potrebbe essere utilizzato lo stesso criterio di riparto per la NO Tax Area. Ma anche in questo caso si è visto come possono essere drammaticamente insufficienti i fondi, soprattutto per quegli atenei del Mezzogiorno dove vi sono molti residenti con una fascia ISEE bassa e dove si è dovuto far affidamento all’introduzione di criteri di merito per riparare i buchi. Si tenga conto che l’introito della contribuzione studentesca è uno degli indicatori con cui si valuta la possibilità dell’indebitamento lordo di ateneo che comporta anche un blocco di assunzioni. Chi ha questo criterio che entra in tensione per un calo degli introiti potrà assumere di meno, quindi tutti cercano di mantenere l’indicatore sotto controllo.
Verranno conservati i criteri di merito per la NO Tax Area che escludono i fuoricorso dalla legge?
Noi chiediamo un intervento robusto su questo, ma non è ancora stato detto nulla dal ministero. È stato chiesto un intervento anche per la contingenza in cui si sono trovati in molti, ossia nell’impossibilità di acquisire crediti formativi.
Nel documentato datato 25 Marzo proponete di prorogare le scadenze per l’acquisizione dei crediti e formativi e diminuire il numero di quelli da maturare per accedere all’assegnazione di borsa di studio e servi. Che tipo di riscontro c’è stato?
All’interno del decreto Rilancio è previsto che gli enti regionali abbiano la facoltà di intervenire a sostegno degli studenti che non raggiungono i crediti formativi. La proposta è quindi stata recepita ma lasciando gli enti liberi nell’intervento.
Le manovre messe in campo tuteleranno tutti gli studenti o anche in questo caso gli studenti fuori-corso saranno penalizzati?
Se le misure resteranno queste, ci saranno sicuramente degli esclusi.
C’è qualche margine di intervento?
Da parte delle Regioni e delle Università un margine d’intervento, in alcuni casi, c’è. Se però consideriamo anche il fatto che le università a settembre dovranno far fronte ad un calo di immatricolazioni, quindi di liquidità, è chiaro che il margine si ridurrà.
Secondo i primi studi è possibile che nel prossimo anno accademico ci sia una riduzione del 10-20% delle immatricolazioni. Il problema è al vaglio del CNSU? Cosa propone il consiglio per contrastare questa ipotesi?
Il CNSU non ha proposto nulla in merito ma chiede al Ministero di intervenire il prima possibile. E lo stesso chiederà al CUN.
È possibile che, per incoraggiare le iscrizioni, si valuti la possibilità di eliminare il numero chiuso all’interno dei corsi di laurea?
Questa è una domanda complessa. Noi stiamo chiedendo in quanto Link-Coordinamento Universitario l’eliminazione dei numeri chiusi ma la risposta del Ministero è al momento negativa.
Il CNSU, nel documento datato 25 Marzo, chiede la conversione di alcune lauree in lauree abilitanti, senza quindi ricorrere al sostenimento dell’esame di stato (che dovrebbe svolgersi a distanza e con il pagamento di una rata). Su quali assunti si fonda la vostra proposta e in che modo la conversione sarebbe stata possibile?
Abbiamo chiesto la conversione delle lauree di alcuni corsi di studio in quanto spesso gli esami di stato si riducono ad una mera formalità che nulla aggiunge al bagaglio di competenze dello studente. Il praticantato in Giurisprudenza ha ancora un valore, ma la laurea abilitante in Farmacia sarebbe stata la scelta più opportuna. La nostra è stata una valutazione fatta sull’utilità nel 2020 degli esami di stato di diversi corsi di laurea.
Nel 2020 dovrebbero essere previste 4.200 borse in più di specializzazione in Medicina. Si tratta di un incremento sufficiente per contrastare l’imbuto formativo a cui è soggetto il corso di laurea?
No. L’anno scorso a fronte di 9.000 borse di specializzazione ci sono state circa 20.000 domande. Le borse di studio in specializzazione medica dovrebbero essere previste in rapporto di 1 a 1, in modo che per ogni richiedente vi sia una borsa. In questo momento gli studenti sono in un limbo e la prima cosa da fare sarebbe aumentare la capacità delle borse fino a garantire il rapporto di 1 a 1. Il primo anno sarebbero necessarie circa 22.000 borse, negli anni successivi il numero si adatterebbe. In questo modo si eviterebbe anche uno sperpero di denaro pubblico dato che chi non riesce a specializzarsi in Italia si trasferisce in un altro paese dove riesce a completare il percorso di specializzazione.
Gli affitti sembrano essere il fattore più trascurato dalle varie misure economiche. Alcune regioni sono venute incontro agli studenti in affitto nelle residenze universitarie, escludendo chi è in una residenza privata o senza un contratto. Quali soluzioni sono possibili? Durante la vostra campagna elettorale per il CNSU tra le vostre proposte c’era anche quella di utilizzare gli immobili in disuso per incrementare il numero di alloggi da destinare agli studenti: si è rivelata, questa, una buona soluzione?
Attualmente servirebbe un contributo legato all’affitto abbastanza generalizzato per fare in modo che non vi siano persone non in grado di pagare. Come progetto a lungo termine, e che in parte in alcuni casi è stato realizzato, ossia il riutilizzo di immobili pubblici e abbandonati, sicuramente si tratta ancora di una soluzione in grado di sopperire a numerosi problemi di carattere residenziale. Una città come Pisa a fronte di 2.500 studenti aventi diritto ha 1.500 posti. Se questi posti fossero 2.500 si potrebbero coprire tutti i borsisti e poi si potrebbero garantire alloggi calmierati.
Spesso gli studenti durante il proprio percorso di studio si sentono sotto pressione e avere un centro psicologico all’interno degli atenei può essere d’aiuto. L’importanza di uno sportello psicologico e facilmente accessibile per la classe accademica è un bisogno che è stato anche amplificato durante il periodo di lockdown. Il CNSU ha mai pensato di proporre al ministero l’obbligo per gli istituti accademici di garantire uno sportello psicologico?
Il CNSU a tratti se ne è occupato, ma per rendere la presenza dello sportello obbligatoria, sarebbe il caso che fosse il Ministero ad intervenire. Tenendo anche in considerazione che uno studente del 2020 ha la stessa carica di stress mentale di un malato psichiatrico degli anni 50.
Al momento si prospetta l’organizzazione di un Concorso scuola per incrementare il servizio di didattica a distanza. Da qualche anno è stato individuato come metodo di accesso all’insegnamento quello dei FIT con relativa acquisizione di 24 crediti formativi. Che tipo di risposte sta oggi producendo questo nuovo modello di preparazione dei futuri insegnanti?
I FIT, modificati poi dal ministro Bussetti, necessitano di essere garantiti in modo del tutto gratuito. Si è trattato di un cambiamento che ha investito molti. I laureandi hanno potuto adeguarsi quasi gratuitamente essendo ancora iscritti negli atenei mentre chi era già laureato non ha avuto la stessa possibilità. Potrebbe essere un modello molto valido se venisse bandito con regolarità in base a tutti i posti disponibili senza lasciare fasce di precariato e garantendo una retribuzione adeguata per i tirocinanti. I quali ottengono una remunerazione durante il periodo di supplenza ma non nel primo anno.
Durante la campagna elettorale per le elezioni di rinnovo dei componenti del CNSU, proponevate tra le altre cose: più alloggi attraverso il riutilizzo di immobili abbandonati, un servizio di trasporto gratuito, un’assistenza sanitaria per gli studenti fuorisede, una borsa di servizi per chi ha un ISEE compreso tra i 28.000 e i 35.000 euro. Quanto tutto ciò oggi, alla luce degli ultimi eventi, sarebbe stato utile? E quanto ancora di tutto questo è realizzabile all’interno del CNSU?
Tutte e tre le iniziative sarebbero state molto utili. La doppia residenza sanitaria per motivi di studio sarebbe stata fondamentale per permettere agli studenti di non dover cambiare il medico di riferimento per essere assistiti nella città di studio. Un trasporto gratuito avrebbe consentito l’effettiva fruibilità sia delle città che di tutta quella che è la vita studentesca. Una borsa di servizi per chi ha un ISEE compreso tra i 28.000 e i 35.000 euro ci avrebbe permesso di uscire dalla convinzione che chi non rientra per alcuni parametri tra gli aventi diritto alla borsa di studio è automaticamente una persona ricca. Prevedere una fascia cuscinetto dove non sono previsti gli stessi benefici della borsa di studio ma sono lo stesso garantiti alcuni aiuti è anche un modo per riconoscere la gradualità dei redditi. Il CNSU può proporre queste istanze al ministro che a sua volta può richiedere al parlamento di aumentare i fondi per la stessa attuazione delle manovre. Se questo sia o meno possibile dipende però dallo stesso ministro, visto che il parere del CNSU, pur essendo obbligatorio, non è vincolante.
Per quanto riguarda l’offerta formativa a distanza, non tutti gli istituti accademici sono partiti nello stesso momento e allo stesso modo. Forse era necessario un intervento centralizzato in grado di garantire gli stessi strumenti per tutti?
Sarebbe stato importante garantire fin da subito il device tecnologico e la connettività del paese. Lo studente che viene dal piccolo paese della Lombardia si trova nella stessa situazione di che viene dall’entroterra salernitano: hanno entrambi problemi di scarsa connettività. Quando si tratta di aree interne, il Nord e il Sud hanno gli stessi problemi. Credo che un altro aspetto fondamentale nella vita studentesca che andrebbe migliorato è la digitalizzazione e la fruibilità dei testi, cosa in cui in Italia siamo molto indietro.
Quale opinione hai avuto modo di maturare in base alla tua esperienza di rappresentante in CNSU sulla scissione del MIUR avvenuta da poco? Quali vantaggi o svantaggi ha comportato?
La valutazione nell’organizzazione del Ministero non è una valutazione da dare di per sé. È più che altro un giudizio da dare in base a come vengono organizzati i due ministeri divisi. In questo momento si sta notando che i due ministeri non hanno alcun tipo di sinergia e che spesso il ministro Manfredi, così come la Azzolina, agisce in autonomia. Non c’è uno spirito di sinergia e di rilancio. I due ministeri, nel corso degli anni, sono stati più volte uniti e divisi con risultati positivi alterni. Al momento la divisione dei due ministeri ha in parte solo diviso le comunità, non determinando grossi vantaggi sulla questione. Se vi fosse una visione di insieme il lavoro forse risulterebbe più efficace. In generale: non dipende tanto dalla struttura ministeriale in sé, ma sempre dal ministro che la gestisce. Dall’idea che ha e dalle priorità che individua.
Antonella Maiorino
Articolo tratto dal bollettino informativo PROVA DA SFORZO