2 Giugno 2020
2-3 giugno 1946. Un momento che ha segnato la storia di una paese, dando vita alla prima pagina della Repubblica Italiana. Dopo 85 anni di Regno, gli italiani hanno abbandonato la Monarchia. Con l’entrata in vigore del suffragio universale, ad essere chiamati alle urne per la votazione nazionale sono stati sia uomini che donne. Prima del referendum, le donne avevano esercitato il diritto di voto solo durante le elezioni amministrative, divise in cinque tornate dal 10 marzo al 17 aprile del ‘46, con l’89% di affluenza ai seggi e duemila candidate elette nei consigli comunali. In quest’occasione, si avvalgono del diritto di voto per la prima volta in ambito nazionale, sia per il referendum che per l’Assemblea Costituente. Esprimendo la loro opinione su come sarebbe cambiata l’Italia e su coloro che sarebbero stati eletti per rappresentarla. Tra le cariche istituzionali elette, che hanno formato l’Assemblea Costituente, vi sono ventuno nomi femminili, ventuno madri costituenti. L’assemblea, dopo aver eletto Enrico De Nicola come primo Presidente della Repubblica Italiana, fu incaricata della stesura della Carta Costituzionale. Quest’ultima avrebbe dovuto racchiudere i valori ed i principi che avrebbero dovuto determinare la costruzione di una nuova società.
“Le schede che ci arrivano a casa e ci invitano a compiere il nostro dovere, hanno un’autorità silenziosa e perentoria. Le rigiriamo tra le mani e ci sembrano più preziose della tessera del pane. Stringiamo le schede come biglietti d’amore. Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose di stancarsi nelle lunghe file davanti ai seggi. E molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra uomo e donna hanno un tono diverso, alla pari”. È così che le donne vivono la vigilia del referendum, documentata dalla giornalista Anna Garofalo. La madre di Nilde Iotti, prima donna nella storia dell’Italia repubblicana a ricoprire la presidenza della Camera dei deputati, non chiuse occhio e si vestì all’alba pur di presentarsi presto al seggio elettorale. Le testimonianze giornalistiche di quel tempo dimostrano quanta consapevolezza ci fosse da parte delle donne dell’importanza dell’incontro elettorale a cui stavano prendendo parte esercitando per la prima volta un nuovo diritto.
Tra i 556 deputati eletti in Assemblea Costituente figurano ventuno donne: nove della Democrazia cristiana, nove del Partito comunista, due del Partito socialista e una dell’Uomo qualunque. Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter, Filomena Delli Castelli, Maria Federici, Nadia Gallico, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi, Leonilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Merlin, Angiola Minella, Rita Montagnana, Maria Nicotra, Teresa Noce, Ottavia Penna, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio. Casalinghe, insegnanti, impiegate statali, giornaliste, artigiane, crocerossine, funzionarie, chimiche, che a seguito del 2 Giugno 1946 divennero le ventuno madri Costituenti. Nella Commissione dei 75, col compito di redarre il testo Costituzionale, rientrarono Maria Federici Agamben, Teresa Noce, Angelina Merlin, Nilde Iotti e Ottavia Penna Buscemi. Il 15 luglio 1946 l’Assemblea istituì una Commissione incaricata di elaborare il progetto di Costituzione. La discussione generale in aula sul progetto iniziò il 4 Marzo 1947. Il 22 dicembre 1947 il testo costituzionale fu approvato con 453 voti favorevoli e 62 contrari. La Costituzione entrò in vigore il 1° gennaio 1948.
La Costituzione è testimonianza del voto espresso nel ‘46. La scelta della forma di governo repubblicana ha permesso all’Assemblea Costituente di definire un assetto istituzionale inclusivo. La previsione di un potere pubblico decentrato (attraverso la formazione delle Regioni) e l’affidamento al Parlamento delle prerogative più importanti aveva lo scopo di mettere al centro dell’organizzazione pubblica il voto dei cittadini e quindi gli interessi degli stessi. Il fulcro centrale del testo è la persona umana. I suoi diritti, le sue libertà, le modalità attraverso le quali far emergere la sua personalità, l’uguaglianza formale e sostanziale con il dovere per la Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono la realizzazione delle parità.
Tutto ciò è in parte merito anche delle 21 donne entrate nell’Assemblea Costituzione che hanno cercato di intervenire su più tematiche. Teresa Noce Longo ha contribuito, attraverso un’opera di mediazione tra visioni opposte, alla stesura dell’art. 40 sul diritto allo sciopero e alla scelta delle parole “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso” che ha posto la base del principio di eguaglianza espresso nell’art. 3. Ottavia Penna Buscemi fu candidata alla carica di Presidente della Repubblica ottenendo 32 voti a fronte dei 396 di Enrico De Nicola. Maria Federici Agamben lavorò alla terza sottocommissione relativa ai diritti e i doveri economico-sociali in relazione alla famiglia e ai figli nati fuori dal matrimonio. Leonilde Iotti, ricordata per essere stata Presidente della Camera dei deputati per tre legislature di fila, è intervenuta in aula per difendere la parità salariale tra uomo e donna e per chiedere più tutele per i figli illegittimi in vista di una equiparazione tra figli naturali e illegittimi. Angelina Merlin, arrestata cinque volte e per cinque anni in esilio in Sardegna, rivestì un ruolo fondamentale già a partire dalla Resistenza. Si è fatta portavoce dell’importanza della previsione di tutele per la maternità e l’infanzia. Le sue battaglie sono andate ben oltre il contenuto della Costituzione. Si è impegnata affinché fosse eliminata la dicitura “figlio di N.N.” sugli atti anagrafici dei bambini abbandonati, la soppressione della clausola di nubilato nei contratti di lavoro che imponeva il licenziamento delle donne che si sposavano. Proprio a lei si deve la legge, tuttora in vigore, che proibisce la regolamentazione della prostituzione, chiudendo le case di tolleranza e introducendo i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. 3, 29, 30, 31, 37, 48, 51 sono gli articoli in cui è stato decisivo l’intervento delle madri costituenti. Articoli dove sono previste specifiche tutele da parte dello Stato e dove il principio di uguaglianza viene più volte riaffermato.
“Vogliamo essere forza viva di ricostruzione morale e materiale, e possiamo farlo perché siamo tutte lavoratrici; sappiamo tutte l’oscuro sacrifico, lieto sacrificio, del lavoro per la famiglia”. Queste parole furono pronunciate da Angela Guidi Cingolani durante il suo primo intervento in aula. L’atteggiamento dei colleghi uomini in Parlamento variava a seconda del parlamentare. C’è chi comprendeva l’importanza di una leale collaborazione e chi invece continuava a celare pregiudizi. La giornalista Anna Garofalo racconta così il primo intervento di una deputata su un tema non femminile: “Per la prima volta, da quando le donne siedono in Parlamento, una deputata, Marisa Cinciari Rodano, del PCI, ha preso parola nel dibattito di politica estera. Tra i giornalisti ci fu un modo che si potrebbe chiamare di sfiducia preventiva. Non era una reazione politica (…) ma ci si difendeva dal fatto che parlasse una donna. Fu così che (…) molti vennero presi dall’impellente desiderio di bersi una caffé e altri andarono a fumare in corridoio, riaffaciandosi di tanto in tanto per scambiarsi sottovoce frasi non troppo nuove sulle pentole che l’oratrice avrebbe trascurato di far bollire e sulle calzette che, certo, non aveva potuto rammendare”.
La Costituzione italiana, entrata in vigore il 1 Gennaio 1948, è spesso stata definita come una delle più belle. Il motivo è quello più volte fatto presente: in più articoli, in più punti, il testo richiama la libertà e il dovere dello Stato di tutelare chi si trova in situazioni sfavorevoli per garantire l’uguaglianza tra i cittadini. È un testo colmo di libertà in grado di soffocare i tentativi di oppressione. Questo vale tanto per la parte relativa all’ordinamento giuridico quanto per quella delle libertà fondamentali. Al centro c’è sempre la persona, la sua dignità, il suo benessere, la sua personalità, i suoi bisogni e la sua sovranità con la quale delega al Parlamento importanti decisioni in quanto unico organo direttamente eletto dal popolo. È un testo che segna un inizio per la società civile italiana, un riconoscimento delle identità sociali, e una garanzia che si oppone ai tentativi di limitazioni sia delle libertà che della democrazia. Hanno un valore profondo quelle parole, perché a sceglierle sono state persone che hanno conosciuto l’oppressione e la sopraffazione. In questo senso, le ventuno donne che si sono sedute tra i banchi del Parlamento con i loro colleghi uomini hanno dato modo di garantire quelle libertà e quelle tutele che altrimenti forse non sarebbero mai state indicate. Ciò che è più straordinario è che tutto questo accada come conseguenza di un giorno che sarebbe di per sé già stato rappresentativo per le donne italiane. Lo stesso giorno in cui le donne hanno per la prima volta preso parte a un incontro elettorale nazionale è lo stesso giorno in cui 21 donne siedono al Parlamento in qualità di madri costituenti. In questo modo la prima libertà guadagnata dalle stesse, quella di voto, ne comporta presto altre. È questo uno dei significati più profondi del 2 giugno del 1946: la libertà acquisita quel giorno ha innescato l’acquisizione di altri diritti.