25 Giugno 2019
La professoressa Genoveffa Tortora nei suoi anni di lavoro all’interno dell’Università di Salerno ha ricoperto diversi ruoli istituzionali. È fondatrice del Dipartimento di Matematica e Informatica, di cui è stata anche Direttrice dal 1998 al 2000. Successivamente, dal 2000 al 2008, ha ricoperto la carica di Preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali. Dal 2018 è Presidente della Commissione per l’Abilitazione Scientifica Nazionale. Attualmente concorre alla carica di Rettore per il sessennio 2019/25. L’abbiamo incontrata per approfondire i punti presenti nel suo programma.
Nel suo programma, dà molta importanza allo stabilire il rapporto diretto con la comunità accademica. Perché trova questo punto così rilevante? Secondo Lei come dovrebbe essere percepita e come viene percepita la figura del Rettore dagli studenti e dal personale accademico?
Io dò molta importanza alla comunità, perché oggettivamente bisogna lavorare tutti quanti insieme per ottenere risultati. Non ci possono essere vincitori e vinti, bisogna concepire la comunità per quella che è e se ne sente molto la mancanza. Il motivo per cui ho sottolineato questo aspetto è proprio perché nello stesso periodo precedente alla stesura del programma non ho visto, diciamo, i migliori sentimenti da parte del personale. Ognuno si sente tagliato fuori dalla partecipazione alla vita accademica e questo non mi sembra giusto. Dal mio punto di vista, il Rettore è un primus inter pares, auspico che quello sia il senso, perché scelto dalla comunità intera e quindi deve essere il Rettore di tutti, rappresentandola e fornendo delle risposte. Per quanto riguarda il come venga percepito, ho ascoltato da più parti un po’ una lamentela generale per non essere riusciti nell’ultimo periodo dell’ultimo mandato ad avere un dialogo con il Rettore. Penso che questa sia una situazione atipica che dobbiamo superare tutti quanti insieme.
Per quanto riguarda i parametri di valutazione della qualità didattica, nel suo programma afferma che sia importante salvaguardare la qualità del livello di preparazione e non soffermarsi esclusivamente sulla durata degli studi. In quest’ottica Lei ha in programma anche la revisione della politica “Unisa premia il merito”? Qual è la sua opinione su questa manovra?
Quando parlo di questo, penso proprio alla manovra “Unisa premia il merito” Dagli incontri che ho avuto con alcuni studenti ho sentito dire spesso frasi come “Ma perché cinque 30 sono peggio di sei 18?” oppure del tipo “Ma noi ci sentiamo spinti a chiudere un percorso, ma vogliamo anche approfondire”. Questo mi dà la misura del fatto che la qualità dei nostri studenti è alta e noi siamo responsabili del processo di formazione perché la laurea non sono solo tre anni o un periodo che deve essere il più breve possibile, ma deve essere un percorso che deve dare a uno studente una maturità ed una competenza che lo porterà successivamente ad entrare nel mondo del lavoro. L’accelerazione può anche esserci, ma con opportune forme di didattica che diano la possibilità agli studenti di ottenere risultati puntando anche alle eccellenze. I giovani non devono essere fuorviati, il periodo della laurea è la fase in cui lo studente ha modo di capire se stesso e di comprendere il percorso che vuole fare con il tipo di lavoro che vuole affrontare, prendendo consapevolezza di cosa può essere in grado di fare. Questo è molto importante, allora è chiaro che bisogna mettere in campo tutti i sistemi che vadano incontro agli studenti. Per esempio, stabilendo degli orari che siano corrispondenti alle loro esigenze e che non li portino a perdere tempo, in modo da avere almeno un turno libero alla settimana per studiare gli argomenti approfonditi nei corsi. Penso che la manovra “Unisa premia il merito” tenga conto troppo del tempo. È chiaro che una rivisitazione della stessa deve contemperare gli aspetti in termini di valutazioni e tenere conto anche delle fasce di reddito. Penso che un discorso più puntuale lo si possa fare solo a valle di una disamina attenta e una simulazione sul pregresso sulla base delle informazioni fornite dalla manovra. Possiamo lavorare avendo dei dati, ovviamente anche in raccordo con le associazioni studentesche, i portatori della categoria di studenti che seguono i nostri corsi di studio.
Rimanendo su questo punto del programma, Lei menziona anche un supporto psicologico per gli studenti che incontrano difficoltà durante il percorso accademico. Ha intenzione di ampliare lo sportello psicologico già esistente? Cosa intende esattamente con l’espressione “supporto a portata di mano”?
Questo servizio è nato nella facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, negli anni dal 2000 al 2008 , quando ero preside ed è una cosa che volli fortemente. Immagino uno sportello che sia a portata di mano degli studenti, contestuale alle strutture didattiche perché ovviamente dalla conoscenza di eventuali forme di disagio relativo alle singole aree ci può essere un migliore ausilio agli studenti dal punto di vista psicologico. Nella gran parte dei casi escono forme di disagio che provengono soprattutto da una bassa autostima che può essere la causa del non superamento di determinati esami. Spesso lo studente in forte disagio non riesce a prenotare una visita che potrà esserci tra qualche mese. Il fatto stesso di presentarsi per chiedere una consulenza significa avere una forma di disagio inferiore a coloro che non hanno la forza di attendere processi così lunghi. Stabilire questi sportelli presso le strutture didattiche consentono di coniugare il disagio psicologico con eventuali problemi che possono riguardare o il vissuto del giovane, e lì è un aspetto più strettamente psicologico, o anche il contesto didattico. Sulla base della numerosità e dell’analisi si potrà valutare quanto incrementare però credo che almeno a livello distrettuale sia necessario una consulenza di questo tipo, che sia a disposizione degli studenti. Deve essere un servizio a portata di mano.
Nel suo programma, Lei propone anche un allargamento dell’offerta didattica che potrà prevedere la definizione di nuovi percorsi didattici innovativi. Potrebbe fornirci maggiori informazioni su queste nuovi percorsi didattici?
Di nuovi percorsi didattici, ne esistono talmente tanti che l’unico modo per poterli proporre è mettendo attorno a un tavolo gli interlocutori. Da varie parti vengono proposte percorsi di laurea che vanno nella direzione di fornire competenze a cavallo degli ambiti più ingegneristici e medici o aspetti che possono coniugare tecnologie informatiche con più aree. Il nostro è un Ateneo generalista quindi possiamo facilmente coniugare gli aspetti tecnologici con quelli di carattere biomedico oppure di meccanica. L’evoluzione va in quella direzione. Possiamo pensare all’auto senza autista, in modo da renderci conto che lì siamo proprio al crocevia di tante tecnologie. Quindi bisogna andare verso quel tipo di competenze che devono essere ampliate per gli studenti che si troveranno a lavorare in quei determinati contesti.
Nel suo programma, Lei propone l’istituzione di un fondo riservato al finanziamento di seminari ed incontri di approfondimento con esperti. Come intende mettere in atto questa manovra?
Con un fondo che può essere a disposizione soprattutto della curiosità dei nostri studenti. L’idea di avere per esempio Tim Cook o persone di assoluto spicco nell’ambito imprenditoriale che possono raccontare le proprio esperienze. Gli studenti sono stimolati da questo tipo di iniziative, però la caratteristica più bella è che siano essi stessi i propositori del tipo di approfondimenti o del tipo di personalità che sono interessati a conoscere.
All’interno del suo programma, Lei propone una costante attenzione nei criteri di definizione delle tasse universitarie per assicurare il Diritto allo studio. Quali criteri immagina migliori?
Da questo punto di vista linee di miglioramento non possono essere fatte se non attraverso un’analisi del pregresso e un dialogo con gli studenti per mettere in campo tutte le possibili riforme. Queste ultime possono considerare anche i raccordi con la Regione per quanto riguarda tutte le esigenze degli studenti e quindi anche gli stessi trasporti, lavorare nella direzione di migliorare questo attraverso semplificazioni. Si può pensare anche di contribuire come Ateneo al finanziamento di quegli studenti che per situazioni atipiche non hanno potuto fruire dei benefici regionali.
Possiamo fare riferimento ai fuori corso, per quanto riguarda l’incremento dei contributi che l’università ha introdotto a sfavore dei fuori corso? Qual è la sua opinione su questa figura?
È chiaro che noi dobbiamo cercare di mettere in campo un processo che non crei la figura del fuori corso. Poiché alcuni fuori corso lo sono per scelta, perché hanno occupazioni, credo che sia necessario andare ad analizzare le casistiche dei fuori corso e capire, da un lato, quelle che provengono da coloro che magari non rientrano nelle possibilità di essere iscritti part time. Dall’altro, invece, andare a considerare quelli provengono da lungamenti legati a passaggi da vecchio a nuovo ordinamento, spesso causa di rallentamenti ulteriori. Io non ritengo che uno studente fuori corso debba essere penalizzato nel pagamento delle tasse rispetto agli altri. Penso che da una migliore regolamentazione delle iscrizioni part time può venire fuori una buona soluzione al problema dei fuori corso. Nella fase successiva il problema dei fuori corso non deve essere un’aggravante che crei situazioni insostenibili da un punto di vista economico.
Il discorso di dire avere sportelli psicologici presso le strutture didattiche vale anche per i fuori corso che lo diventano perché non riescono a superare determinati esami. Significa proprio intercettare quelle forme di disagio che possono provenire da situazioni del genere e capirne le cause. Se c’è un supporto a portata di mano è facile individuare difficoltà che possono essere risolte con opportune forme di tutorato, perché magari nel passaggio da un ordinamento all’altro ci sono state delle problematicità che sono sfuggite. Quando dico che lo studente deve essere considerato al centro della comunità universitaria è proprio perché la buona formazione e il buon esito del percorso fa sì che anche i nostri ricercatori di domani possano avere delle prospettive e una qualità superiore.
C’è una parte della comunità studentesca che richiede l’ampliamento della No Tax Area, dato che l’università di Salerno ha un’estensione piuttosto bassa. Qual è la sua opinione a riguardo?
Sono assolutamente aperta nella direzione di analizzare la situazione nel dettaglio e nel garantire il diritto allo studio della fascia più ampia possibile. In linea di principio sono d’accordo, ma una correttezza di risposta richiede anche una valutazione di sostenibilità. Laddove non è possibile sarà mia cura fare in modo di sensibilizzare gli enti territoriali e in primis la Regione perché questo sostegno possa venire anche attraverso provvidenze che provengono da loro. Queste sono cose che possono essere suffragate andando anche a fare una valutazione per capire la sostenibilità e qual è la situazione per quanto riguarda i nostri studenti. È chiaro che dalla simulazione sui dati esistenti si ha ragionevolmente modo di proiettare quali sono eventualmente le migliori soluzioni.
Un tema chiave all’interno del Campus è sicuramente quello legato ai trasporti, che Lei menziona anche all’interno del programma. Come intende adoperarsi per assicurare un efficiente servizio di trasporti?
Dal mio punto di vista, questo riguarda l’apertura del Campus nel fine settimana, azione che ritengo opportuna fare. Un’apertura che significa anche costruire le attività che possono avere stabilmente un luogo. Per esempio, rassegne teatrali, musicali e iniziative di questo tipo genere. O anche corsi di master e implementare ulteriormente i corsi di lingua già tenuti. È chiaro che nel momento in cui il Campus è vitale anche nel sabato e nella domenica, a questo punto diventa più sostenibile anche da parte della Regione e delle stesse aziende di trasporti avere un servizio più efficiente ed efficace. Si punta ad un’azione sinergica che deve andare nella direzione di ampliare la vivibilità del Campus e delle zone limitrofe che sicuramente avrebbero una maggiore frequenza da parte di persone e di studenti. Questi ultimi potrebbero scegliere più facilmente di risiedere nelle prossimità del Campus perché avrebbero una qualità di vita superiore a quella che attualmente viene offerta. La chiusura del Campus per almeno due giorni alla settimana, chiaramente scoraggia anche operatori commerciali ad aprire degli esercizi che possano migliorare la qualità. E decade anche l’interesse da parte di una serie di aziende, come quella dei trasporti, ad incrementare i servizi. Se ci fosse un turismo più massiccio nelle nostre zone probabilmente avremmo dei servizi di trasporto non limitati nei mesi di luglio/agosto. Le cose sono molto collegate, quindi se non rinnoviamo la praticità taluni problemi potrebbero avere serie difficoltà nell’essere risolti. Per cui è molto importante svolgere un lavoro sinergico con gli enti territoriali e con le aziende di trasporto e, soprattutto, animare il Campus al di là delle aperture attuali che sono troppo esigue. Allo stato attuale vengono scoraggiati anche certi utilizzi del Campus, come la fruizione della mensa per la cena, perché la chiusura del Campus è prevista un’ora prima.
Per una migliore vivibilità del Campus, Lei ha in programma anche l’ampliamento delle fasce orarie in cui è possibile accedere ai servizi, come la biblioteca. Come, nello specifico, intende attuare questa proposta? Ha in programma anche di aumentare gli spazi, come le aule studio, dedicati agli studenti?
Assolutamente sì. Bisogna pensare a un Campus che non deve servire solo per la didattica, ma anche per sviluppare una vitalità all’interno. È evidente che avere un Campus al servizio degli studenti significa a questo punto dover dimensionare opportunamente gli spazi sia di studio che di aggregazione. C’è in pianificazione la costruzione di nuovi edifici e, a breve, dovremmo avere l’opportunità di destinare spazi per queste esigenze. Ovviamente bisogna lavorare per riorganizzare laddove è necessario gli spazi in maniera che ci sia maggiore fruibilità. Immagino un Campus in cui quando si entra per la prima volta, si ha la possibilità di rivolgersi ad un ufficio informazioni, con la capacità di dialogare almeno in lingua inglese, che possa indirizzare e instradare consentendo alle persone di orientarsi all’interno del campus. Spesso, studenti e anche personale, non hanno modo di conoscersi perché presi dal proprio lavoro non riescono a ritagliarsi il tempo necessario per andare da una parte all’altra del Campus. Allo stato attuale ci sono un po’ delle aree più periferiche, ma un servizio di trasporto come una circolare interna in continuo movimento, che utilizza energie rinnovabili, potrebbe rappresentare un modo per creare la comunità.
In tema di Pari Opportunità e Gender, Lei propone l’introduzione di corsi sulle teorie di genere. Come esattamente dovrebbero essere strutturati questi corsi?
All’interno dell’Ateneo vi sono il CUG e l’OGEPO che svolgono un lavoro assolutamente encomiabile. Il discorso è di incoraggiare e ampliare questo tipo di iniziative potenziandole anche con studenti e studentesse proprio per migliorare la sensibilità. È necessario che il senso di parità di genere sia un sentimento comune. Bisogna tenere in conto che i giovani di oggi saranno i cittadini del domani e, forse, anche l’università in qualcosa ha mancato se negli anni passati e correnti si registrano tanti casi di femminicidio. Il discorso vale a 360° anche per quanto riguarda tutte le differenze di genere, siano esse tra uomo e donna che il riconoscimento di altre forme di genere che devono avere la loro cittadinanza al pari. Il modo migliore è basarsi sulle esperienze in tal senso e si possono anche organizzare corsi in collaborazione con gli studenti.
Per quanto riguarda la ricerca e il reperimento di risorse per le attività dell’Ateneo, Lei propone un’attenzione maggiore rispetto all’incremento di fondi di dotazione delle biblioteche in riferimento all’area umanistica. Quali sono, secondo Lei, le carenze di quest’area?
Una delle motivazioni che mi ha portata a ritenere necessaria l’apertura del sabato e della domenica e l’allargamento delle fasce orario di fruizione è proprio relativa al discorso delle biblioteche umanistiche. Studenti e colleghi di area umanistica hanno una maggiore necessità di utilizzo delle biblioteche tradizionali. Un ampliamente dei fondi significa arricchire l’area umanistica per permettere a chi ne fa utilizzo una consultazione maggiore, in particolare per i ricercatori. Questa è un’esigenza che mi è stata posta da più parti e questo fondo andrebbe proprio in quella direzione per tutte quante le aree. L’incremento dei fondi per la ricerca è un fattore estremamente essenziale anche se noi come università di Salerno abbiamo avuto per questo una maggiore attenzione grazie al FARD, che in altri atenei non esiste oppure è scarsamente finanziato. Oltre a ciò, bisognerebbe pensare a dei fondi, dati sempre tramite un bando, che consentono di trascorrere un periodo di studio all’estero. Sostanzialmente, bisogna fare in modo di ottenere dei fondi che consentano di costruire progetti tra più aree disciplinari e di migliorare la sinergia tra i vari ricercatori.
Nel suo programma, Lei afferma che le politiche di reclutamento dei giovani ricercatori hanno peculiare importanza. Secondo Lei, questa figura è stata penalizzata in questi anni? Quali soluzioni pensa di adottare?
Allo stato attuale c’è da dire che non ci sono stati mai fondi per il reclutamento di ricercatori a tempo determinato per tre anni, non c’è stata una politica di ateneo in quel senso. Una soluzione potrebbe essere istituire dei co-finanziamenti da parte dell’ateneo per questo tipo di figure. Soprattutto per sopperire alle carenze di fondi per i dipartimenti che sono in qualche modo penalizzati perché hanno meno opportunità di partecipare a bandi competitivi che offrono le risorse per la figura del ricercatore a tempo determinato.
Nella valorizzazione del personale tecnico – amministrativo, Lei propone anche la dotazione di nuove figure professionali. Nello specifico, quali sono le nuove figure a cui fa riferimento e per quali mansioni?
Tutte quelle figure che vanno nella direzione di potenziare i dipartimenti nella partecipazione a bandi di ricerca e gestione per lo scouting dei progetti. A parte gli aspetti di carattere più legati all’obiettivo di una ricerca ci sono tutta una serie di fundamenti a latere che spesso ricadono sulle spalle del proponente della ricerca. Ci sono casi in cui le persone sono scoraggiate nel proporre i progetti di ricerca proprio a causa della complessità della burocrazia e l’estraneità della loro competenza rispetto a tutti i processi correlati. Questo non accadrebbe se avessimo all’interno figure che sono in grado di leggere e di monitorare bandi, di partecipare a riunioni nell’ambito di questi organismi per la ricerca europea o degli stessi organismi a Bruxelles in modo tale da avere un collegamento in dipartimento. È chiaro che per svolgere queste mansioni occorrono figure che abbiano determinate competenze e un livello di laurea o anche di dottorato di ricerca. Questo sarebbe un altro bel segnale perché farebbe capire alle pubbliche amministrazioni che i dottori di ricerca sono figure che sono pensate anche per l’azienda o per l’ente territoriale o per l’università stessa, ma sul livello dello scouting e non della ricerca.
Sempre per quanto riguardo questo punto del suo programma, Lei vorrebbe introdurre anche la modalità di svolgimento delle mansioni attraverso il telelavoro. Come intende strutturare questa nuova forma di lavoro?
Il telelavoro ha fatto il suo ingresso già in alcune strutture, per esempio l’inps lo adotta. Non deve essere visto come un escamotage per non andare a lavorare perché quello è il modo più sbagliato. Laddove ci sono persone che, per esempio, hanno dei bambini piccoli a casa oppure situazione di emergenza specifiche come problemi con un genitore anziano, bisogna andare incontro a queste esigenze. D’altronde noi non abbiamo una società che in questo ci mette a disposizione molto. Per cui a questo punto, consentire al personale di svolgere parti specifiche del proprio lavoro anche da un luogo diverso. Noi non abbiamo nessun interesse a svuotare il campus però andare incontro ad esigenze specifiche che possano portare una persona a svolgere il suo lavoro a distanza se quest’ultimo lo consente mi sembrano delle cose sulle quali dobbiamo cominciare a ragionare.
In ambito della valorizzazione del personale tecnico – amministrativo, Lei propone anche un implemento del sistema di valutazione per garantire congruenza del giudizio con la qualità della prestazione fornita ed equità di trattamento. Il punto è un riferimento alle addette alle pulizie dell’Università di Salerno? Qual è la sua opinione a riguardo?
Dal mio punto di vista, la questione delle addette alle pulizie si deve inquadrare nel problema più generale. Da un lato è opportuno che su talune attività la regia sia dell’università stessa. Dall’altro penso che probabilmente con le regole dell’accademia quel tipo di problema non ce lo saremmo trovato. I dettagli sugli aspetti della cosa li ho colti e sono spiacevoli, è una situazione incresciosa su cui bisogna lavorare per trovare una soluzione. Il problema è da ricondurre al fatto che la gestione è stata fatta con regole privatistiche e non di tipo pubblicistiche, commissionato dall’esterno. La mia opinione è che si dovrebbe ripensare di nuovo alla necessità di avere del personale che si occupi delle strutture spesso abbandonate a loro stesse. La cui gestione diventa complessa e lasciata alla buona volontà di docenti o studenti che segnalano eventuali malfunzionamenti. Penso che dovremmo introdurre la figura dei bidelli all’interno dell’università perché da un lato, la gestione dovrebbe essere più puntuale e dall’altro sono figure che consentirebbero di migliorare notevolmente le offerte dei servizi. Potrebbero fungere anche da instradamento all’interno dell’ateneo per studenti, per visitatori o per docenti esterni. La figura dei bidelli dovrebbe essere ripresa in considerazione anche per la sicurezza oltre che per la corretta gestione delle strutture.
Nel suo programma, Lei dedica anche un punto alla Terza Missione. Quanto è stata attiva, secondo Lei, l’università sul territorio? Quali sono le attività che Lei intende svolgere?
Terza Missione significa tutto quello che viene in maniera naturale con l’apertura del campus nel fine settimana. Erogazione di corsi per il territorio, mettere a disposizione un teatro d’ateneo che possa avere una sua programmazione stabile o anche attività musicali all’interno del campus. Creare le squadre dell’ateneo, costruire la sua identità. Di qui tutta l’interazione che riguarda anche il territorio circostante che deve essere incoraggiato a crescere e diventa una macchina che funziona perché la progettualità e i posti di lavoro si accrescono. Anche gli stessi tirocini possono essere fatti dagli studenti con dei tempi più reali e non per andare a fare le fotocopie. Non credo che si tratti del libro dei sogni perché posso dire di aver sentito molte aziende che rispetto all’ipotesi di insediamento nelle prossimità del campus hanno mostrato un certo interesse, considerando anche i benefici che loro possono avere da una interazione diretta con un sapere a 360° come quello del nostro campus. Aspetti che consentono di puntare alla competitività e ad una sinergia che può essere proficua e di progettualità per tante iniziative alle quali le nostre aziende oggi devono tendere perché con la globalizzazione anche loro hanno la sfida, non solo noi. Per quanto riguarda l’attività dell’università sul territorio, considero estremamente valido e notevole il lavoro del professore Pianese negli ultimi anni. È chiaro che un forte affiancamento e potenziamento di quella linea può portare solamente a mettere in moto veramente la macchina.
All’interno del suo programma, Lei scrive in relazione al dipartimento di Medicina, di voler ridisegnare il protocollo di intesa e l’atto aziendale dell’azienda ospedaliera universitaria. In che modo e con quale finalità intende sviluppare questi aspetti?
In realtà non si tratta di ridisegnare, si tratta di rinnovare il protocollo d’intesa. Un atto estremamente importante e che non può prescindere dal coinvolgimento del Dipartimento di Medicina con cui ci si deve necessariamente relazionale e devono essere in prima linea insieme con il Rettore in questa intenzione. Riguarderà anche tutto quello che concerne l’interazione con il territorio perché interesserà anche i comuni sui quali sono localizzate le parti, quindi il comune di Salerno, di Cava de’ Terreni, di San Severino. I vari comuni che fanno parte dell’azienda ospedaliera e universitaria, oltre che in primis ovviamente la Regione. Quest’ultima è l’ente primo responsabile della sanità. Gli altri per quanto riguarda il miglioramento di tutti i contesti, le attività a contorno per creare le migliori condizioni e la migliore vivibilità anche per gli studenti e i docenti che operano sulle varie unità. L’unico modo per lavorare in quella direzione ed essere efficaci è mettendo in campo una capacità di mediazione perché è evidente che ci sono aspetti di varia natura, ma lavorando costruttivamente e con la volontà di risolvere il problema si riescono a instradare tutte. Insomma sono sicura che riuscirò a svolgere un lavoro che garantisca i docenti e gli ospedalieri nella pari dignità ed anche la migliore efficacia dell’azione sulla sanità.
Annaclaudia D’Errico