14 Maggio 2021
Nel corso del 2021 si svolgeranno in Italia le elezioni amministrative in più di mille comuni e capoluoghi di provincia. Precedentemente previste in primavere, a causa del perdurare dell’emergenza sanitaria, sono stati spostate ufficialmente in una data compresa tra il 15 settembre e il 15 ottobre. Come ogni tornata elettorale che si rispetti porta con sé ipotesi, previsioni e tematiche che si presentano ciclicamente e queste non ne sono esenti. Uno dei temi oggetto di discussione riguarda la categoria dei fuorisede che comprende gli student* e i lavorator* che abitano in comuni diversi da quello di residenza dove sono costrett* a tornare per poter esercitare il diritto di voto. Questa volta, però, l’argomento è stato compreso anche nei dibattiti politici e a far da apripista è stata la proposta di legge firmata da Giuseppe Brescia, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera.
Il testo della proposta è stato redatto da due costituzionalisti -Salvatore Curreri e Roberto Bin- grazie al Thin Tank calabrese “Collettivo Peppe Valarioti” (insegnante e militante comunista, prima vittima della Ndrangheta calabrese), composto da student* e ricercator*. Il pentastellato Brescia ne è il relatore. L’obiettivo è quello di riuscire ad approvare la legge in tempo per permettere il voto ai fuorisede già alle amministrative di ottobre, quando si voterà per le regionali in Calabria e in 1.300 comuni, 500 dei quali al Sud, da dove provengono la maggior parte dei fuorisede. Un obiettivo estremamente ambizioso che prevede un’approvazione della legge il più rapida possibile. Il testo proposto è composto da due articoli che prevedono la possibilità di votare per le elezioni comunali o regionali presso la Prefettura situata nel territorio comunale in cui si ha il proprio domicilio. Per essere ammess* al voto, è necessario inviare una comunicazione all’ufficio legato alla prefettura situata nella circoscrizione elettorale di residenza entro 4 mesi rispetto alla data indicata per le elezioni. La prefettura ha poi il compito di trasmettere il materiale agli altri uffici territoriali del governo situati al di fuori del territorio regionale. Il voto espresso sarà poi trasmesso all’ufficio elettorale centrale situato nella circoscrizione di residenza.
Un esempio di quanto possa essere difficile esercitare il proprio diritto di voto quando si è fuori-sede lo fornisce il referendum costituzionale tenutosi tra il 20 e il 21 settembre scorso. Nei giorni antecedenti al voto sui social è comparsa la petizione “Stop ai viaggi costosi e rischiosi per andare a votare in tempi di pandemia” che con poche parole ha subito centrato il punto del problema. Per i fuori-sede non c’è possibilità di votare presso il comune in cui si studia e si è costretti a fare dietro front. Tornare a casa significa affrontare problemi organizzativi, a danno di quelli che sono gli impegni accademici, e soprattutto problemi economici. Eh sì, perché studiare lontano, e quindi andare e tornare, per chi è fuori-sede comporta un prezzo ed è spesso molto alto. Nel momento in cui tornare a casa non è una scelta ma un obbligo, dovuto all’impossibilità di esercitare altrove un proprio diritto, beh allora diventa anche fastidioso. Nessun rimborso economico è stato prescritto se non la possibilità di ricevere qualche sconto per qualche biglietto. Nulla di assolutamente adeguato per far fronte ad un problema che la classe studentesca si porta appresso da davvero troppo tempo. La legge n.325 del 25 maggio 1970 è considerata un escamotage – da adottare solo in caso di incontri referendari – per far votare i fuori-sede senza tornare a casa. La disposizione permette di esercitare il diritto di voto anche in un comune in cui non si risiede solo se si è rappresentante di lista. La persona che voglia usufruire di tale possibilità dovrà fare domanda ad un partito o un comitato e sperare in un esito positivo. L’Italia sta permettendo che i fuori-sede affrontino viaggi costosi o che esercitino per necessità le funzioni di rappresentante di lista, solo perché ancora non si è provveduto ad una legge che consenta innanzitutto ai fuori-sede di essere riconosciuti come categoria a sé con le proprie necessità. La pandemia ha, come per gli altri problemi, amplificato le conseguenze di difficoltà persistenti nel nostro paese. Molte delle quali, tra cui sta, è il momento di risolvere.
La proposta della legge Brescia dovrebbe essere una di quelle sulle quali c’è poco o nulla da discutere. L’iter burocratico che precede la possibile entrata in vigore di una legge, per questa dovrebbe rappresentare niente di più che una formalità. Garantire l’esercizio al diritto di voto alla gran fetta di student* e lavorator* fuorisede, senza che questa categoria affronti spese economiche elevate dato i costi dei biglietti di treni e/o aerei, in un paese democratico dovrebbe già essere realtà. Essere esclusi dai seggi elettorali e privati dal diritto – e il dovere civico – di esprimere la propria preferenza per le sorti del paese di appartenenza è davvero troppo da sopportare. È arrivata l’ora di smettere di ricorrere alla legge degli anni ‘70 che non rappresenta la garanzia di un diritto. Obiettivo che si dovrebbe finalmente raggiungere con la legge Brescia, sempre che l’iter burocratico lo consenta.