Leggere i DCA come espressione di una società

15 Marzo 2025

In “Unbearable Weight: Feminism, Western Culture, and the Body” (1993), la filosofa Susan Bordo sostiene che la cultura occidentale – in particolare quella statunitense – è dominata da due tensioni contrastanti: l’aspettativa sociale, da parte delle donne, del possesso di un “io perfettamente gestito e regolato” e una cultura del consumo che rende tale aspettativa impossibile da soddisfare. L’identità delle donne e delle persone socializzate come tale è allora strettamente collegata al controllo, e in una società che oggettifica il corpo femminile, il controllo non può che riversarsi sul corpo stesso, su quanto è performante, sullo spazio che occupa, sui privilegi sociali che può ottenere.

Li chiamano “fame d’amore” nei programmi televisivi, per altrɜ sono tendenze emotive, traumi, incapacità di accettarsi, eppure i disturbi del comportamento alimentare hanno radici patriarcali, coloniali, sopravvivono nella nostra quotidianità, in ogni immagine pubblicata sui social, nei “What I eat in a day”, nelle pubblicità di palestre e farmacie, nello stigma perpetrato da un sistema sanitario inadeguato.

L’attacco al corpo femminile e l’istigazione al suo cambiamento è perenne, un cambiamento alimentato dal potere simbolico che il corpo, se aderente ad un canone prestabilito – lo sguardo maschile – acquisisce in tutti gli ambienti a cui le donne e le persone così percepite già faticano a rientrare. La discriminazione dei corpi non conformi è la piaga delle realtà occidentali, non ha nulla a che fare con la salute, ed è l’espressione di un modello intriso di patriarcato e di razzismo nei confronti di tutti quei corpi appartenenti a donne e persone ritenute prive di controllo, non bianche, non capaci di regolarsi ed adeguarsi ai canoni occidentali, gli unici ritenuti possibili.

Secondo l’associazione italiana no profit Animenta DCA, nel 2024, la percentuale di persone affette da disturbi del comportamento alimentare è salita dal 3,4% al 7,8%. Nonostante si parli continuamente di rappresentazione e inclusione, lo sguardo sul corpo è ancora intriso di grassofobia e pregiudizio. I disturbi del comportamento alimentare non hanno nulla a che fare con la responsabilità personale, ma sono segni sul corpo, pratiche normalizzate da una società che non cambia prospettiva. La loro cura dovrebbe essere destinata a tuttɜ, qualsiasi sia il proprio corpo e la propria storia.

La legge di bilancio italiana del 2025, nonostante le richieste di medicɜ e associazioni, prevede un taglio netto di fondi destinati alla cura dei DCA. Il SSN prevede interventi gratuiti solo per alcune forme di disturbi alimentari, aumentando la stigmatizzazione sulle altre espressioni. Una società che relega la sensibilizzazione sul tema ad una giornata, senza alcun impegno nell’educazione alla decostruzione dello stigma sul corpo dimostra di non essere adeguata alle esigenze di tuttɜ.

Facebook
Twitter
WhatsApp