27 Giugno 2017
La recente scomparsa di Dj Fabo, aiutato da Marco Cappato ad accedere al suicidio assistito in Svizzera, ha riaperto la discussione in Italia su temi quali l’Eutanasia, Dichiarazione Anticipata di Trattamento e Suicidio Assistito. Abbiamo intervistato Matteo Mainardi, membro dell’Associazione Luca Coscioni, coordinatore della campagna Eutanasia Legale, per conoscere il contenuto dei disegni di legge sul fine vita di cui attualmente si sta occupando il Parlamento.
L’associazione Luca Coscioni ha lanciato la campagna “Eutanasia Legale” attraverso la quale è riuscita a raccogliere l’adesione di oltre 67.000 cittadini per presentare un disegno di legge popolare in seno al Parlamento che avesse ad oggetto una disciplina riguardante l’Eutanasia. Cosa prevede il disegno di legge da voi presentato e su quali assunti, morali e giuridici, vi siete basati per scrivere il testo?
La campagna Eutanasia Legale è nata per contrastare il fenomeno della clandestinità dell’eutanasia, che al momento è presente in Italia. Come ha rivelato una ricerca del 2014 di MedscapeEthics Report spesso a decidere sul fine vita di una persona non è il soggetto interessato, ma persone terze come i familiari o l’equipe sanitaria dell’ospedale. Noi siamo contrari a questo, e proprio per evitarlo chiediamo una legalizzazione dell’eutanasia, quindi la stesura di alcune procedure che permettano solo alla persona malata di scegliere. Questo consente anche a chi non vuole ricorrere all’eutanasia di mettere per iscritto la propria volontà e di vederla rispettata. Il disegno di legge, da noi depositato nel 2013, prevede che a formulare la richiesta di accesso al trattamento eutanasico sia un soggetto maggiorenne che non si trovi in condizioni temporanee di incapacità di intendere e di volere. La sua volontà deve essere manifestata in modo inequivocabile. La richiesta deve essere motivata dal fatto che il paziente sia affetto da una malattia inguaribile produttiva di gravi sofferenze o con prognosi infauste inferiore a 18 mesi, quindi deve avere una aspettativa di vita bassa. Il paziente deve essere informato su tutte le possibili alternative e il trattamento eutanasico non deve provocare sofferenze fisiche. Si tratta, quindi, di una scelta ponderata in quanto il paziente è inserito in un percorso medico con dottori e psicologi in cui vengono prospettate tutte le alternative possibili all’eutanasia. In questo modo il paziente non viene abbandonato come, invece, accade oggi.
Quale tipo di riscontro avete avuto dal Parlamento e dai cittadini?
Noi abbiamo constatato quello che già descrivevano i sondaggi prima che iniziassimo questa campagna: il 70% e oltre di italiani è favorevole. E sono gli stessi che poi ritroviamo nelle piazze quando raccogliamo le firme o quando organizziamo iniziative su questi temi. Ovviamente le persone non favorevoli ci sono, ma sono davvero poche. Spesso viene detto che siano soprattutto i cattolici a non essere d’accordo, ma la nostra esperienza ci ha dimostrato che non è così: parte delle gerarchie vaticane sono contrarie, ma i cattolici non sono contrari né al testamento biologico né all’eutanasia. Anche in Parlamento abbiamo registrato un consenso molto favorevole. Siamo riusciti, infatti, in tre anni, a formare un intergruppo di 240 parlamentari favorevoli. Il testo uscito dalla Camera è stato approvato con 327 sì e 37 no. L’unico rischio ora è al Senato perché, essendo vicini alla fine della legislatura, se non dovessero approvare velocemente il testo finiremmo per non avere una legge neanche in questa legislatura.
Accanto alla discussione sull’Eutanasia, il Parlamento, il 4 Marzo del 2016, ha avviato anche la discussione sulla Dichiarazione Anticipata di Trattamento, sebbene la stessa si sia arenata poco dopo a causa dell’impossibilità di giungere ad un accordo sulla qualificazione di “idratazione e alimentazione artificiale”: se siano queste da considerarsi trattamenti sanitari o meno. Qual è la vostra opinione a riguardo ? Sono questi, secondo voi, meri trattamenti sanitari?
Tutta la confusione fatta in Parlamento è in realtà stata fatta su base ideologica, più che su dati veri e propri. Infatti, l’organizzazione internazionale di sanità, l’istituto superiore di sanità, e tutte le comunità scientifiche, ascoltate in commissione, hanno chiaramente spiegato che idratazione e nutrizione artificiale sono veri e propri trattamenti sanitari, proprio perché per dare idratazione e nutrizione artificiale ad una persona è necessario un intervento chirurgico. Dovrebbero, perciò, per dichiarare che nutrizione e alimentazione artificiali non siano trattamenti medici, dimostrarlo scientificamente.
Qual è la vostra opinione sulla norma che introduce il biotestamento nel nostro ordinamento? Ritenete sia adeguata ed esaustiva?
Il disegno di legge sul biotestamento è un buon testo. Oltre alle disposizioni anticipate di trattamento, per la prima volta, viene normato anche il consenso informato, che è riconosciuto dalla nostra Costituzione ma non è mai stato regolamentato attraverso una legge. Al momento se si va in ospedale e si deve fare un intervento chirurgico, non viene spiegato il tipo di intervento che si andrà a fare né le possibili alternative ad esso. Nel consenso informato tutto ciò, invece, dovrà essere fatto. Tanto che il tempo di relazione col paziente verrà considerato tempo di cura. Le dichiarazioni anticipate di trattamento altro non sono che il consenso informato per le persone che diventeranno incapaci di intendere e di volere, cioè viene data loro la possibilità di fornire il proprio consenso o dissenso informato ora per quando non saranno più capaci. La Camera ha approvato le nostre richieste, che erano anche quelle delle comunità scientifica, di mantenere idratazione e nutrizione artificiale come trattamenti che si possono rifiutare, di mantenere vincolanti le disposizioni anticipate di trattamento e prevedere la possibilità di richiedere l’affiliazione di cure palliative profonde.
In quali modi l’associazione sostiene e aiuta le persone che vorrebbero ricorrere all’eutanasia, oltre ad insistere per una adeguata normazione sul fine vita?
Noi non offriamo alcun tipo di assistenza sanitaria. La nostra battaglia è di tipo politica: cerchiamo unicamente di arrivare all’approvazione di una legge. Per fare questo, nel Marzo 2015, Marco Cappato insieme a Mina Welby e Gustavo Fraticelli hanno iniziato una disobbedienza civile fornendo informazioni alle persone intenzionate a recarsi in Svizzera per sottoporsi al suicidio assistito. In alcuni casi c’è stato un accompagnamento fisico, come in quello di Dj Fabo e di Davide Trentini, oppure il sostegno economico di alcune spese per arrivare in Svizzera come nel caso di Dominique Velati. Noi spieghiamo sempre che non siamo dei medici, che non siamo noi a dover decidere se una persona può o non può andare in Svizzera. Forniamo i contatti delle strutture, poi sono i pazienti a dover iniziare un percorso con queste strutture. Qualora dovessero ricevere la luce verde, in Svizzera la chiamano così, cioè il via libera per recarsi lì, a quel punto potremmo risubentrare attraverso un accompagnamento oppure un sostegno economico. Tutto questo col fine di autodenunciarsi e far sbloccare la situazione anche da un punto di vista della giurisprudenza.
L’Italia, oltre ad essere priva di legislazione in materia di fine vita, è stata spesso sanzionata dall’Unione Europea per l’elevato numero di medici obiettori che si sono rifiutati di praticare aborti. Spesso, infatti, sembra che vi sia incompatibilità, o forse sovrapposizione, tra le due libertà, quella del medico e quella del paziente. Quale potrebbe essere il modo per equilibrare le due libertà? Crede che il tema dei medici obiettori possa presentarsi anche in questo caso?
Al momento nella legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento non è stata prevista un’obiezione di coscienza come è presente nella legge 194 sull’interruzione di gravidanza. In quest’ultima, infatti, si dice espressamente che un dottore può essere obiettore di coscienza e che quindi non praticherà mai aborti. La legge sul biotestamento invece dice che il medico può rifiutarsi solo sul singolo caso, ma che comunque la struttura sanitaria ha il dovere di garantire l’applicazione di quel diritto e quindi deve trovare un altro medico che assecondi la volontà del paziente. L’obiezione di coscienza aveva un senso all’inizio quando è stata inserita perché i medici ginecologi, che erano già in servizio, avevano iniziato a svolgere quella professione non sapendo che avrebbero potuto anche praticare degli aborti. Sono passati abbastanza anni ora, perciò molti ginecologi sono entrati in servizio con una legge che prevede l’interruzione di gravidanza e quindi sapevano già a cosa sarebbero andati incontro nello svolgere il proprio lavoro. Quindi anche lì forse andrebbe rivista la possibilità di obiezione di coscienza.
Quanto sono importanti, accanto ai temi dell’Eutanasia e del suicidio assistito, le cure palliative e la terapia del dolore? Sono, questi, temi che se affiancati all’eutanasia allargano il vaglio di libertà del paziente?
Le cure palliative sono, al momento, la rispettiva alternativa all’eutanasia. Noi ne chiediamo una vera attuazione perché nonostante la legge sia fatta veramente bene, nella realtà è rimasta in gran parte inattuata. In molte regioni non esiste nulla che riguardi il fine vita. Esiste la ospedalizzazione e basta. Noi facciamo questa battaglia sulla legalizzazione dell’eutanasia non per aumentare il numero di persone che ricorrono all’eutanasia ma anche per diminuirlo sensibilmente e per diminuire i suicidi. L’istat nel 2010 ha dichiarato che il 46% delle persone che si suicidano in Italia lo fanno per motivi legati alla propria malattia. Belgio, Lussemburgo e Olanda sono paesi in cui è presente una legge sull’eutanasia e sono anche quelli in cui vi sono le cure palliative più sviluppate. Proprio perché serve a fornire un’alternativa ai trattamenti eutanasici. Questo non vuol dire che una legge sull’eutanasia sia meno indispensabile, perché c’è anche chi diventa farmaco-resistente e che quindi non risponde alle cure palliative, oppure c’è chi le rifiuta e anche a queste persone va lasciata la libertà di scelta. Noi ci auguriamo che la legge sulle cure palliative venga presto attuata pienamente perché dal 2010 ad oggi è inconcepibile che non vi siano ancora strutture in tutto il territorio nazionale e che queste strutture spesso non riescano a venire incontro all’enorme richiesta di cure palliative che c’è.
La posizione del paziente, giuridica e sociale, in Italia, è una posizione che andrebbe tutelata. Eppure l’esperienza degli ospedali psichiatrici giudiziari, così come il tema dell’accanimento terapeutico, ci dimostra che fin troppe volte la debolezza del paziente è stata colpita, più che tutelata. Sulla tutela e i diritti del malato, forse, c’è ancora molta strada da fare?
Il paziente al momento viene visto appunto come un paziente, non come persona con una propria capacità di scegliere per se stessa. Viene visto come una persona debole. Stiamo fortunatamente uscendo da questa visione paternalistica in cui il medico è il detentore della conoscenza e la persona viene vista solo come paziente che deve seguire quelle indicazioni terapeutiche. Fortunatamente c’è anche un cambio nella classe medica e nelle università. Le nuove generazioni di medici sono molto più formate su questi temi. Si è già operato un passaggio da un modello bio-medico ad un modello psico-sociale, dove la persona viene messa al centro, dove si ricerca la relazione medico-paziente e dove si cerca anche un’alleanza terapeutica con una pianificazione condivisa delle cure. Non c’è più un’impostazione unilaterale dove il medico dice e il paziente fa, però c’è ancora molto da fare. Sono cambiamenti, questi, che non riguardano solo la normativa ma riguardano anche un’impostazione culturale di una classe e dell’ordine dei medici.
Antonella Tanya Maiorino