31 Dicembre 2022
Lo studio non è per tutti/tutte. È questa la sintesi a cui si giunge alla fine di un anno in cui si è parlato di scuola e di università come luoghi in cui si deve primeggiare, a scapito di qualsiasi altra cosa.
Lo abbiamo sentito dire (e continuiamo a sentirlo dire) per le lauree raggiunte in tempi brevi, brevissimi, da record. Articoli di giornale che hanno raccontato storie trionfanti con tanto di rivelazioni sul segreto per il successo: non dormire, non perdere tempo, organizzarsi bene. Et voilà. La ricetta per la laurea conseguita in fretta e furia e con chissà quante lacune lasciate appese. Chi è addentro alle tematiche universitarie, sa bene che questa narrazione non è altro che la trasposizione sulle carriere degli studenti/delle studentesse del clima di competizione che da anni affligge il sistema universitario. Se prima le università venivano apprezzate e valutate per i propri servizi, ora vengono giudicate per il numero di studenti/studentesse che si laureano in corso. Se si laureano prima, o se si laureano contemporaneamente in più corsi, tanto meglio. Poco importa se questo modo di fare danneggia la salute mentale di studenti/studentesse schiacciati/e dal dovere di essere perfetti e preparatissimi sempre. Non c’è più spazio per l’insicurezza, l’errore,il desiderio di approfondire, l’opinione espressa con incertezza. Si devono solo fare più esami possibili, il prima possibile. Poco importa che tutto ciò non serva a nulla per gli studenti/le studentesse ai fini lavorativi: i titoli di laurea hanno lo stesso valore legale. Sempre. Indipendentemente da quando lo si ottiene. Persino indipendentemente dal voto. Ciò che fa la differenza, oggi e in ogni altra circostanza, è la personale preparazione di ciascun candidato, la quale, diversamente da quanto si voglia far credere, non è mai uguale per tutti/e. Neanche quando si studia dagli stessi libri. L’apprendimento è personale, così come la capacità di ognuno/a di far propri i concetti oggetto di studio. E ancora, poco importa che l’Italia sia tra i paesi con il numero più basso di laureati. Meglio essere un paese che non investe negli studi, ma che pretende dai pochi che studiano la perfezione in tempi brevi.
Il merito è solo un miraggio. Una parola usata da tutti/e per avvalorare la propria visione di società. Un termine utilizzato per dividere, evidenziare le distinzioni e affermare proprio questo: lo studio non è per tutti/e. Il bonus cultura verrà erogato non più a tutti/e, ma solo a chi ha ottenuto 100 alla maturità (e a chi è in possesso di un isee inferiore a 35.000 euro). Un bonus usato per investire nella cultura viene erogato solo a chi non può permetterselo o a chi prende il massimo dei voti. È una misura che non ha lo scopo di incentivare gli studenti/le studentesse a studiare di più, leggere di più, informarsi di più. È una misura che non invoglia, ma premia solo chi ha raggiunto il traguardo. Poco importa di quanto si siano ridotti gli investimenti per la scuola. Poco importa degli studenti che hanno perso la vita mentre lavoravano durante l’alternanza scuola-lavoro. Poco importa se gli studenti/le studentesse che hanno protestato per chiedere di studiare in sicurezza siano stati vessati e per nulla ascoltati. Conta solo il 100, e solo chi lo ha ottenuto.
Non tutti/e possono studiare. Quelli consapevoli di ciò, che non hanno preso 100 alla maturità ma studiano per passione e dedizione, sono quelli che a prescindere da tutto vanno per la loro strada. Studiano lo stesso, approfondiscono, lavorano (se necessario) per acquistare i testi che nessuna università/scuola compra, pagano le tasse quando non rientrano nella notaxarea. Non si arrendono. Non si fermano. Studiano di più. Superano i pregiudizi. Migliorano se stessi. Sono spesso insicuri, perché si sentono schiacciati da un modello unico di studente/studentessa in cui non si rivedono. Eppure, continuano a studiare. Lo fanno, appunto, per passione e interesse personale.
Questa sera, brindiamo a loro.