16 Giugno 2021
The Black Post – L’informazione Nero su Bianco è la prima realtà editoriale italiana composta esclusivamente da ragazzi e ragazze migranti. Attraverso le loro voci, soggetti attivi dell’informazione, raccontano la realtà delle persone migranti con “chiarezza e nitidezza” in quanto protagonisti e protagoniste del fenomeno. Abbiamo parlato del loro lavoro con Luca De Simoni, ideatore del progetto.
Come e da dove nasce l’esigenza di creare il progetto editoriale BlackPost? Quanto è importante che sia il soggetto attivo dell’esperienza a parlare e scrivere in prima persona?
L’esigenza di far nascere una realtà editoriale come BlackPost, parte dalla volontà di poter dar voce a chi, per tanto tempo, ha dovuto sentirsi raccontato, usato e strumentalizzato. È molto importante che sia il soggetto attivo a poter raccontare le proprie esperienze in prima persona per provare almeno a trasmettere al lettore ciò che ha vissuto e sofferto, anche se come dice Ungaretti, “La parola è impotente, la parola non riuscirà mai a dare il segreto che è in noi, mai. Lo avvicina.” Ecco, accostandomi alle sue parole posso dire che noi avviciniamo il lettore al segreto che è in noi e nelle nostre esperienze.
Qual è stato il livello di tutela sanitario garantito alle popolazioni migranti durante l’emergenza sanitaria da Covid-19?
Sicuramente il livello di tutela sanitario è stato molto inefficiente per quanto riguarda le popolazioni migranti. Basta vedere la curva epidemiologica tra stranieri che presentava un ritardo di più di una settimana rispetto alla curva globale e un maggior rischio di ospedalizzazione, però bisogna anche sottolineare che l’intero sistema sanitario italiano è stato costernato da problematiche e ritardi, non solo per la categoria dei migranti, ma per l’intera popolazione.
La necessità di tenere aperti i negozi alimentari durante il lockdown nazionale ha incentrato l’attenzione pubblica su quelle che sono le condizioni dei braccianti, spesso immigrati, e in generale del lavoro nero. Le sanatorie, come quella dell’anno scorso, sono una soluzione adeguata per iniziare a contrastare il fenomeno del lavoro nero o è necessario un intervento legislativo più incisivo?
Sicuramente le sanatorie dello scorso anno sono state utili per cominciare a contrastare il fenomeno del lavoro in nero, ma personalmente sono sicuro che un intervento legislativo più massiccio potrà risolvere la questione. Basta guardare che rispetto al numero di lavoratori stranieri, le domande non sono arrivate neanche alla metà.
La mancata approvazione negli ultimi anni dello ius soli e dello ius culturae costringe numerose persone, a tutti gli effetti italiane, a non disporre della cittadinanza italiana. Quanto tutto ciò influisce sulla vita ordinaria e quali sono gli impedimenti a cui si continua ad andare incontro?
Questo è un problema che mi tocca personalmente, posso dire che sentendomi depredato di un mio diritto, io come tanti altri ragazzi in Italia, ci si può far sentire inadatti e non completamente integrati in una società che già in tanti casi fatica ad accettare determinate realtà. Avendo questo stato d’animo ed essendo comunque parte della società, quest’ultima andrà a rilento perché ormai bisogna capire che l’immigrato, di prima o di seconda generazione, fa parte del motore di questo paese e se in questo motore qualche ingranaggio si ferma o rallenta (le “vittime” dello ius soli e ius culturae) di conseguenza la vita di tutta la popolazione peggiorerà.
La cattiva informazione che si è fatta soprattutto sulle politiche migratorie non fa che alimentare razzismo, sentimenti di odio che contribuiscono alla formazione di stereotipi riguardo lo straniero. Come potrebbe combattersi questo problema?
Semplicemente con il dialogo. Certo semplice a dirlo, ma in una situazione di stereotipi negativi e di violenze che possono essere violenze fisiche o verbali, violenze di genere o di razza, l’unica alternativa è il dialogo, e far capire alle persone che hanno paura del diverso, che in realtà la diversità è un valore aggiunto.
L’informazione pubblica spesso parla in modo generico di immigrati senza mai (se non per rarissime eccezioni) fare riferimento alle identità delle persone di cui parla. Nomi, luoghi, storie, conoscenze pregresse, sembrano passare in secondo piano. Quanto può incidere tutto ciò sull’integrazione e quanto è difficile costruire una propria identità (che venga rispettata in quanto tale) e che vada oltre gli stereotipi?
Incide sicuramente sull’ integrazione, basti pensare al fatto il migrante viene categorizzato per la sua etnia o addirittura religione delle volte, ma pur essendo difficile formare una propria identità sulla base di tanti stereotipi e fattori esterni che possano influenzare in maniera negativa la crescita personale, la risposta più forte ed esaustiva è essere sé stessi.
Come giudichereste le politiche migratorie attuate in Italia nel corso degli anni? Non le giudico con grande entusiasmo vista la situazione attuale.
Nell’ottobre dello scorso anno, sono state apportate delle modifiche relative ai decreti sicurezza istituiti dall’ex ministro dell’interno Matteo Salvini. Qual è la vostra opinione a riguardo? In generale, cosa pensate delle leggi messe in campo durante questi anni in tema di migrazione (anche in riferimento alla legge Bossi-Fini del 2002)?
Ovvio che Salvini e il discorso migranti non va assolutamente a braccetto, inizio col dire che non sono d’accordo assolutamente con le modifiche effettuate da Salvini per quanto riguarda i decreti sicurezza, l’abolizione della protezione umanitaria, la revoca della protezione internazionale, la durata di trattenimento dei CPR, tempi di risposta della cittadinanza prolungata e l’accesso all’accoglienza. Se andiamo ad analizzare tutti i punti che Salvini vuole cambiare, ci rendiamo conto che sono prevalentemente di rifiuto, diniego e allungamento dei tempi per riempire di difficoltà la vita del migrante. Sono le solite trovate di Salvini per racimolare consensi. Per quanto riguarda la legge Bossi-Fini del 2002 si passa dalla padella alla brace, ma posso dire che non ha giovato sicuramente alla comunità straniera, bensì l’ha messa in difficoltà con le restrizioni poste, ad esempio il semplice rinnovo del permesso di soggiorno o il trovare un lavoro in regola è un’impresa ardua.
Tra le storie pubblicate sul blog vi è “Io e le forze dell’ordine: un rapporto complicato”, in cui l’autore Sofonias K.Workie, recatosi in caserma per sporgere una denuncia, racconta il particolare incontro con un tenente dei carabinieri mostratosi infastidito ed esitante. In quest’ottica, si potrebbe collegare anche l’aggressione a Padova del 25 aprile da parte di due vigili nei confronti di un ragazzo di origine africana. Secondo voi, quali azioni si possono mettere in atto per migliorare, da ambo le parti, il rapporto? Perché, nonostante i passi avanti che si è convinti di aver fatto, l’associazione “non bianco=delinquente” risulta ancora fortemente presente?
Riprendo la risposta data già ad una delle domande precedenti, anche qui rispondo dicendo che è necessario il dialogo. Il fattore “non bianco=delinquente”, penso che qualunque extracomunitario lo abbia testato sulla propria pelle, quindi una risposta istantanea non si può avere. Serve collaborazione in certi casi, e avere pazienza, e soprattutto non perdersi d’animo di fronte a scene incredibili come l’ha vissuta il mio collega Sofonias.
I corridoi umanitari continuano ad essere una soluzione legale e sicura per chiunque stia cercando rifugio o condizioni di vita migliori nel territorio italiano o europeo, eppure tuttora non costituiscono la prevalente tipologia di intervento. Che impressione l’Italia sta dando sull’attenzione che pone nei confronti dei diritti umani?
Ci sono tante associazioni e tante realtà che vale la pena seguire ed incitare per il grande lavoro che fanno, ma di sicuro, l’Italia non sta sicuramente dando una bella impressione.
Maria Pia Della Monica