1 Maggio 2021
Quattrocentodiciannove. Sono le albe, i tramonti, le giornate sfumate nell’attesa, i colpi delle mani, il sottofondo di mille maglie che si incontrano, di mille maschere che si affiancano, i gong uditi lo scorso 17 aprile a Piazza del Popolo a Roma. Sono la testimonianza del mondo dello spettacolo che prova a farsi sentire e vedere dal Governo che da oltre un anno ha chiuso i teatri, i musei, i cinema, le piazze per i concerti e gli spettacoli nonostante quanto è stato fatto per la messa in sicurezza dei luoghi, nonostante sia stato dimostrato che la loro chiusura concorre ad abbassare l’indice di contagio solo del 3%. Mille lavoratori e lavoratrici hanno indossato una maschera in segno di denuncia dell’anonimato a cui sono stat* sottopost* ma anche per indicare l’assenza di individualismi a fronte dell’unità di settore. La manifestazione aveva lo scopo di chiedere alle istituzioni maggiore considerazione del proprio lavoro e l’istituzione di un fondo da erogare a chi lavora nello spettacolo, anche se non in modo continuativo, alle partite IVA e alle imprese il cui fatturato si basa sugli eventi e spettacoli che avvengono in un anno. Contemporaneamente alla manifestazione dei bauli, il Globe Theatre di Roma veniva occupato attraverso cinque giorni di incontri e discussioni per chiedere la stessa cosa allo stesso interlocutore: al governo di prendersi cura della cultura del paese. Lo spettacolo soffre di precariato, carenza di finanziamenti e progetti, le chiusure di oltre un anno hanno rappresentato l’ennesimo segnale negativo nei confronti del mondo culturale. “A noi gli occhi, please” si legge in un manifesto. Ilenia Calero, attrice e ricercatrice dell’Università a Venezia, ha ben spiegato non solo le ragioni alla base della manifestazione ma soprattutto lo spirito con cui sono state organizzate le cinque giornate: aprirsi (per non restare al chiuso) alle arti, alle altre categorie e metterle in pubblico, in piazza, con tutt*, “Il nome, Globe, fa pensare al mondo: l’idea era quella di rifare il mondo, con lo slogan ‘Ramake the globe’”.
Prima del 17 aprile, sono state molte le iniziative e le campagne di solidarietà messe in atto sui social che hanno cercato di mettere in luce le difficoltà che il mondo dello spettacolo ha vissuto nell’ultimo anno. Il 23 febbraio, a Genova, un centinaio di orchestrali del Carlo Felice hanno suonato l’inno di Mameli davanti alla Prefettura. Nella stessa giornata anche a Napoli, attor* e lavorator* hanno manifestato davanti al teatro San Ferdinando e Mercadante. A Milano, sono stati gli student* ad universi all’occupazione dell’ex cinema Arti, “Create il vuoto culturale e noi lo occupiamo” era la scritta riportata sullo striscione appeso davanti alla struttura. Tutte le proteste, come quella dei Bauli in Piazza, hanno rispettato le norme anti-covid previste, i presenti indossavano la mascherina e si tenevano a debita distanza. Molto attiva sui social è anche l’associazione UNITA (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), fondata a giugno 2020, per tutelare la dignità professionale dei propri associati e promuovere iniziative di informazione e formazione per lo sviluppo del settore dello spettacolo. Il ruolo di presidente è stato assegnato a Vittoria Puccini e sono numerosi gli attor* che hanno scelto di entrare a far parte di questa realtà. La prima iniziativa dell’associazione ad aver avuto maggiore risonanza è stata la pubblicazione di una foto con sfondo nero e la scritta “Questa storia non è più disponibile” per denunciare la chiusura di Cinema e Teatri stabilita nel DPCM del 24 ottobre nonostante la possibilità di restare aperti, nel rispetto delle norme, con una capienza del 75%. Successivamente, durante il festival di Sanremo, Unita ha portato avanti la campagna “I diritti sono uno spettacolo, non mettiamoli in pausa” ideata da La Musica Che Gira, un coordinamento composto da lavorator*, imprenditor* e professionist* della musica e dello spettacolo che hanno deciso di fare rete. La spilla creata per l’occasione è stata indossata dagli artist* che si sono esibiti sul palco dell’Ariston e la campagna faceva appello ad una legge sul lavoro per affiancare una riforma sul riconoscimento degli spazi culturali e sulle imprese. Inoltre, entrambe le associazioni si sono unite, sia fisicamente che idealmente, all’evento #WeMakeEventsItalia di Bauli in Piazza.
Se chi lavora con la musica e il teatro spera di sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso manifestazioni, occupazioni e proposte concrete per tornare a svolgere il proprio impiego, la sofferenza di danzatori, danzatrici, insegnanti di danza, costumisti, scenografi e chiunque faccia parte della gigantesca macchina legata al balletto e a tutti gli stili che compongono questa disciplina, continua ad essere un mero sottofondo, per le istituzioni, della grande protesta in atto. L’arte tersicorea prevede che un gruppo cammini e si esprima insieme, l’insegnamento della danza è caratterizzato da un rapporto ravvicinato tra insegnante e gruppi di alliev*. Se una parte di chi fa questo lavoro, tutelata dalle disposizioni imposte dal contesto lavorativo in cui si trova, continua in tv, tra spettacoli e competizioni, a svolgere parzialmente il proprio impiego (un gruppo esiguo rispetto alla mole di persone appartenenti al mondo della danza in Italia), tutto il resto è praticamente allo sbando da marzo 2020. Chi svolge la propria professione sul palco, esclusa la breve parentesi dell’estate scorsa, continua ad allenarsi autonomamente, senza alcuna possibilità di lavorare ed esibirsi. Chi la disciplina invece la promuove e la insegna, vive un periodo di forte frustrazione dal punto di vista lavorativo ed emotivo, non riuscendo praticamente a lavorare da più di un anno, privi di tutela e possibilità di dialogare. I ristori per le categorie appena citate sono stati anch’essi irrisori rispetto alle spese sostenute da tutte le imprese, associazioni culturali di promozione sociali o sportive per mantenere la propria attività. È il secondo anno di seguito che la Giornata Mondiale della Danza indetta dall’Unesco diventa non un giorno di festa, ma di riflessione e di critica nei confronti di una governance che ha completamente ignorato le richieste di un intero settore. Una grossa percentuale delle scuole di danza ed alcuni piccole realtà teatrali, a causa delle restrizioni e soprattutto della scarsa tutela non riaprirà: un’amara constatazione già prevista nella prima fase della pandemia, durante la quale, comparando le perdite e le migliorie obbligatorie per riaprire in sicurezza, si parlava di una ripresa del settore difficile da immaginare.
La risposta alla crisi economica che l’Italia sta attraversando a causa dell’emergenza sanitaria si chiama “Piano Nazionale di ripresa e resilienza”, quest’ultima, una parola estremamente inflazionata, ripetuta dal linguaggio social senza soluzione di continuità. Questa “capacità di assorbire un urto senza rompersi” ha davvero caratterizzato l’intera esistenza di tutte le identità che fanno parte del mondo dello spettacolo, sempre pronte all’adattamento, alla trasformazione e a cambi di rotta continui per rendere il proprio lavoro proficuo e utile alla sopravvivenza. Ma le capacità di assorbire un impatto sono finite. E non è più concepibile tentare di non rompersi, se è già rotto un sistema che non permette di adottare alcun tipo di soluzione.
“L’idea malsana in questa interpretazione più diffusa del termine è quella di dover tornare a tutti i costi e il più in fretta possibile a una situazione di benessere. Adottarla senza spirito critico rischia di farci assorbire altre istanze: il rifiuto del dolore, della fatica, la mancata volontà di vivere la notte oscura, lo sforzo e l’incapacità di imparare a stare nelle difficoltà. […] E così, a forza di assecondare i colpi della vita, a forza di fingere un piglio stoico senza esserlo davvero, come resiliente diventi semplicemente impotente. Sempre più bravo a rialzarti dopo la caduta. Fa bene, invece, fissare il suolo. Come spiegano Evans e Reid in Resilient Life, la resilienza è parte del passaggio politico fondamentale da regime liberista a regime neoliberista; un nuovo fascismo con implicazioni disastrose e antiumaniste. Molto meglio resistere.” –Maura Gancitano e Andrea Colamedici, Prendila con Filosofia-.
La Redazione