13 Marzo 2020
Il più delle volte, il tipico accostamento che la maggior parte di noi è spinto a fare ogni qualvolta sente parlare delle conseguenze derivate dai cambiamenti climatici, causati dal riscaldamento globale, finisce sempre con frasi tipo “Fa troppo caldo per essere inverno”, “A dicembre camminavo ancora con le t-shirt” o simili. Purtroppo, per il Corno d’Africa che comprende paesi come Kenya, Etiopia e Yemen, la situazione non è così semplice come pensano in molti ed ha iniziato a degenerare già due anni fa. Verso la fine di maggio 2018 il ciclone Mekunu ha colpito la penisola arabica nel sud dell’Oman provocando numerosi morti e dispersi. La tempesta ciclistica si è abbattuta anche sullo Yemen. Questo cambiamento tempestivo e inaspettato del clima ha provocato la caduta di oltre 60 centimetri di pioggia in Salah, una città portuale dell’Oman in cui normalmente, visto il clima arido e desertico tipico di quella zona, è bagnata da al massimo 3 centimetri di pioggia durante tutto l’anno.
È in questo ambiente diventato improvvisamente umido che le locuste, o cavallette, cambiano radicalmente il loro comportamento e, da piccoli gruppi che se ne stanno per la maggior parte della loro esistenza per conto loro a lottare per la sopravvivenza, si trasformano dando inizio alla loro fase gregaria acquistando un colore giallo difficile da mimetizzarsi. Iniziano a riprodursi più velocemente e, nove mesi più tardi, diventato troppe per il deserto Rub’ al-Khal. Spinte dal loro istinto di sopravvivenza capiscono che è ora di spostarsi. Ed è in questa fase che Keith Cressman, funzionario senior per le previsioni sulle locuste dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, realizza l’entità del problema che da lì a poco si verificherà. Per la fine del 2019 le locuste hanno invaso il Kenya. La situazione degenera dopo che il 7 dicembre 2019 un altro ciclone, il Pawan, colpisce nuovamente il Corno d’Africa e la pioggia che causa diventa terreno fertile per un’ennesima generazione di cavallette. A metà febbraio gli sciami hanno invaso in tutto diciassette contee del Kenya, dodici distretti del nord-est dell’Uganda, nella contea di Magwi in Sud Sudan e nel nord della Tanzania. Ormai non ci sono più dubbi, si tratta della più grande invasione di locuste dopo il 1986.
Gli allevatori provano ad allontanarle, cacciarle via, ma sono troppe. Talmente tante che «Anche le mucche si domandano costa sta succedendo», come dichiarato da Ndunda Makanga, un allevatore locale, al Guardian. Divorano di tutto e mentre loro banchettano allegramente come se si trovassero davanti al più grande buffet, 13 milioni di persone nell’Africa rischiano di soffrire la fame, un danno umanitario enorme per una regione già vulnerabile. In Uganda, i miseri raccolti hanno costretto gli abitanti ad utilizzare proprio le cavallette come pasto alternativo. Questo, però, crea ulteriore preoccupazione a livello di salute poiché il governo ugandese ha iniziato a spruzzare pesticidi nelle aree vittime dell’invasione per cercare di contrastarla. Un’ipotetica soluzione sarebbe quella di distribuire insetticida in ogni area colpita dagli sciami. Ma quest’ultima potrebbe causare un danno ambientale a lunga durata perché gli insetticidi andrebbero a decimare altre popolazioni di insetti, tra cui api e vespe. Nel frattempo, le aree colpite non possono far altro che aspettare che cambi il vento e porti le locuste verso il mar Rosso, mentre si cercano nuove soluzioni senza che queste danneggino ulteriormente il territorio. A giugno, con l’arrivo del monsone sud occidentale, il vento dovrebbe spingere le locuste attraverso la penisola araba ed in alcune aree del Pakistan già colpito duramente dall’invasione, infatti il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza nazionale.
Questa potrebbe essere solo la prima di molte invasioni perché con il continuo surriscaldamento mondiale, gli sciami potrebbero diventare più frequenti ed estesi. Questi tipi di insetti sono dei professionisti della sopravvivenza e conoscono molti trucchi per resistere anche nelle condizioni climatiche più tragiche e dure. Tempeste, alluvioni, cicloni, nonostante tutto loro se la caveranno. Sulla sopravvivenza della popolazione umana, però, non ci sono garanzie. Se non il troppo caldo durante il periodo natalizio, la grande carestia in forme diverse che il cambiamento climatico sta provocando in paesi già vulnerabili e danneggiati come quelli presenti nel Corno d’Africa, almeno questo dovrebbe smuovere le nostre coscienze.
Annaclaudia D’Errico