17 Maggio 2019
Da anni si sente parlare dell’inquinamento e dell’enorme consumo di risorse causato dagli allevamenti intensivi, ma qual è la soluzione più adeguata? Siamo ormai quasi 8 miliardi di esseri umani sul pianeta Terra e si stima che in poche decine di anni la popolazione crescerà fino a raggiungere i 10 miliardi. Come conseguenza, il consumo di cibo aumenterà sempre di più e con esso le risorse utilizzate per procurarlo e l’inquinamento prodotto. L’impatto ambientale devastante dell’essere umano procederà inesorabilmente. Uno dei punti più discussi è il consumo di carne: gli allevamenti intensivi sono una delle fonti principali di inquinamento atmosferico.
Ogni anno vengono allevati circa 70 miliardi di animali, dei quali due terzi in allevamenti intensivi. La quantità enorme di acqua utilizzata per coltivare il cibo per gli animali e coinvolta nel processo di allevamento è pari a migliaia di litri per animale, inoltre nell’allevamento industriale la maggior parte degli animali viene nutrita con cereali commestibili per gli esseri umani, coltivati tramite monocolture di cereali che prevedono l’utilizzo di fertilizzanti chimici. La quantità di gas emessi dagli allevamenti intensivi è preoccupante: la maggior parte dell’ammoniaca presente nell’atmosfera proviene dai liquami prodotti dagli allevamenti insieme ad altri gas come l’azoto. In totale l’emissione di gas serra degli allevamenti intensivi è stimata come il 14.5% del totale, più dei gas emessi dai mezzi di trasporto. L’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha recentemente dichiarato che gli allevamenti intensivi di animali in Italia sono la 2° causa di inquinamento da PM 2.5 dopo il riscaldamento. Le polveri sottili PM10 sono le più inquinanti e pericolose, con un diametro inferiore a 10 micrometri. Le PM2.5 sono particelle ancora più piccole e compongono il 60% delle PM10, e l’allevamento intensivo è causato proprio da queste, che si formano in un secondo momento rispetto alle polveri più grandi e, restando nell’aria più a lungo, vengono respirate di più. Le PM2.5 in questo caso hanno origine da reazioni chimiche fra i gas prodotti dall’allevamento e l’atmosfera.
L’unione Europea nel 2016 ha ordinato la riduzione del tetto massimo consentito per la presenza di queste polveri nell’aria. In Italia la direttiva è stata recepita dalle Regioni vietando lo spandimento di rifiuti derivanti da allevamenti e imponendo la copertura delle vasche di contenimento dei liquami, ma probabilmente le misure sono rimaste inapplicate data la mancanza di un controllo efficace e capillare da parte degli organi competenti. La soluzione potrebbe essere cercata negli allevamenti biologici che garantiscono una filiera di produzione con un impatto energetico molto ridotto nel rispetto dell’animale, risparmiando notevoli quantità di acqua. Ma ci sono voci discordanti: alcuni studiosi, infatti, sostengono che gli allevamenti biologici inquinino quasi nella stessa misura degli allevamenti intensivi (garantendo sicuramente condizioni di vita adeguate agli animali) poiché le emissioni di gas derivanti da un’alimentazione biologica per gli animali possono essere addirittura maggiori. Inoltre il livello di produttività a parità di risorse utilizzate è nettamente differente: un allevamento intensivo produce quasi dieci volte più di un allevamento biologico. L’unica soluzione possibile, ad oggi, è ridurre drasticamente il consumo di carne, che di anno in anno aumenta costantemente, parallelamente alla riduzione dello spreco alimentare, visto che circa un terzo del cibo prodotto al mondo non viene consumato. In ogni caso, che sia vaccina, suina, ovina e via dicendo è necessario consumare meno carne e suoi derivati per aiutare il pianeta.
Martina Bianchi
Tratto dal bollettino informativo “Interferenze“.