13 Agosto 2020
Come ogni estate che si rispetti, anche durante quella di quest’anno il dibattito accademico ha riservato uno spazio al corso di laurea in Medicina e Chirurgia. L’annuale diatriba sul numero chiuso/aperto del percorso di studio si è arricchita nell’ultimo periodo di altri spunti riflessivi, connessi agli interventi nazionali che sono stati approvati.
Prima fra tutte quella relativa al costo del test d’ingresso che quest’anno avrà un valore unico per tutti gli atenei e che è stato fissato a 100 euro. La scelta è stata presa dalla Conferenza dei Rettori, il cui Presidente – Rettore della Sapienza di Roma – ha spiegato le ragioni dell’intervento: secondo quanto dichiarato, la cifra risulta essere la media ponderata delle spese a cui solitamente vanno incontro gli atenei, caricata dalla necessità di dover utilizzare altre sedi per garantire più spazi e una più corretta distribuzione delle postazioni degli aspiranti medici. Si tratta, tuttavia, di un incremento considerevole se paragonato ai costi degli anni precedenti, dove le quote ordinarie si aggiravano intorno ai 20-30 euro, e solo in alcuni casi ai 50-60 euro.
Le selezioni, che si terranno il 3 settembre, vedono un potenziamento dei posti disponibili: si registra un +13% (in totale 1.504 posti in più, dagli 11.568 del 2019 a 13.072 di quest’anno). Mentre per le Professioni Sanitarie – per le quali i test si svolgeranno l’8 settembre – ci sono 1.206 posti in più rispetto a dodici mesi fa (+4,7%), passando da 25.396 a 26.602 posti.
L’aumento dei posti disponibili nel corso di laurea ha visto la contrapposizione di chi sostiene che incrementare il numero degli studenti di medicina sia controproducente verso il fenomeno dell’imbuto formativo su cui sembra non ci sia ancora stato un serio intervento. Per il prossimo concorso il ministero ha stanziato i fondi per 4.200 borse di specializzazione in più, che non si avvicinano assolutamente al numero richiesto per consentire ad ogni medico di avere l’effettiva possibilità di specializzarsi.
L’eliminazione dell’Esame di Stato, che ha riguardato alcuni corsi di laurea, ha toccato anche Medicina. Non sarà più necessario dover sostenere l’Esame di Stato, ma si dovrà in ogni caso superare la prova relativa al tirocinio. La laurea, con il decreto Cura Italia, diviene abilitante se la prova d’idoneità del tirocinio viene inserita nella programmazione interna del corso di laurea. Per coloro che sostengono la prova post-laurea, è il superamento della stessa a costituire l’abilitazione alla professione.
Neanche una pandemia che ha richiesto un lavoro estenuante a medici ed ospedali è riuscita ad aprire una breccia all’interno del modus operandi ministeriale di occuparsi del corso di laurea in Medicina. Cambiare poco, anzi pochissimo, per non cambiare mai nulla. Il corso di laurea si apre leggermente, ma non abbastanza per garantire il libero diritto allo studio. Le borse di specializzazione aumentano un pochino, ma non abbastanza per consentire a tutti i medici di specializzarsi e accedere all’interno degli ospedali. Aumenta persino il costo del test d’ingresso (questo sì che raddoppia o si triplica). Cento euro per sedersi e in un’ora e mezza cercare di dimostrare di poter essere in futuro un medico. La differenza di costi, dovuti all’organizzazione, a spese degli studenti che hanno già dovuto rinunciare a metà anno scolastico e ad una limitazione delle possibilità con cui potevano dimostrare la loro preparazione durante l’esame di stato.
Le tantissime parole spese in questo periodo a favore di un cambiamento profondo, strutturale e funzionale del sistema accademico che rendesse ancora più libero e incondizionato il diritto allo studio trovano qui la loro fine naturale. Il corso di laurea in Medicina continua ad essere il simbolo di un’università italiana che sta stretta a sempre più aspiranti studenti (e non solo aspiranti medici). Durante ogni estate si registrano manifestazioni su manifestazioni contro il numero chiuso del corso di laurea. Negli altri 11 mesi gli studenti che accedono al corso di laurea continuano a manifestare contro il secondo blocco, quello della specializzazione. A nulla sembra servire ricordare che le possibilità che vengono a loro tolte diventano possibilità che il Sistema Sanitario Nazionale toglie ai cittadini di essere curati meglio. Neanche una pandemia ha fatto cambiare idea. Vale qui quanto vale per l’università stessa: o si cambia ora o sarà sempre più difficile farlo in futuro.