9 Marzo 2022
L’otto marzo, all’Unisa, le persone che hanno partecipato alla presentazione del libro “Ti spiego il dato” di Donata Columbro, hanno indossato gli occhiali nuovi, con nuove lenti di ultima generazione, di quelle antiriflesso ed indistruttibili: le lenti del femminismo e dei data feminist. Sono occhiali che tutte e tutti dovremmo acquistare, è un investimento complesso, bisogna acquisire competenze diverse, essere disposte/i a guardare lontano, a riconoscere velocemente le ombre e gli abbagli, a saper indossare gli occhiali nel momento giusto e ad essere capaci di mettere in discussione ciò che si vede, o ciò che le cose che vediamo hanno “deciso” di mostrarci.
Durante la diretta del dialogo tra Donata Columbro, Delfina Malandrino, Maria Rosaria Califano e Oriana Cartaregia è emersa la forte esigenza di mettere in pratica gli strumenti appresi dalla lettura del libro. Tutte hanno infatti provato a leggersi, creare un grafico della propria quotidianità, del proprio benessere, dei consensi rilasciati online, delle app che raccolgono informazioni sulla nostra esistenza. Il risultato è, in effetti, sconcertante: noi siamo dati, fatte e fatti di dati, e così lo sono tutto ciò con cui ci relazioniamo.
Ma cosa effettivamente i dati raccontano di noi? Quanto rappresentano la realtà, come vanno lette le informazioni, come ci si rapporta ad esse? Donata Columbro lo spiega con chiarezza: l’idea del fact-checking, l’etichetta vero o falso a cui gli ultimi due anni ci hanno abituate/i va assolutamente messa in discussione. Le raccolte dati, per la Columbro, hanno la facoltà non solo di disvelare la realtà, ma anche di occultarla, lasciando emergere quanto il dato abbia una portata politica all’interno della nostra società.
E quanto è potente il messaggio politico, sociale e culturale del concetto di “Data Feminism” in una società in cui le raccolte dati e le statistiche su salute, cultura, lavoro, genitorialità escludono continuamente le donne da ogni tipo di sistema? Viviamo in un momento storico in cui i dati rappresentano il soggetto narrante del racconto della nostra realtà, ma abbiamo ancora a che fare con un importante problema di Data Gap – la mancanza di copertura, all’interno di studi su un fenomeno, rispetto ad un sottogruppo di persone -, ma soprattutto di Gender Gap – la mancanza di dati riguardanti le donne. Un cambiamento rivoluzionario che riporti i dati sui bisogni delle donne e dei gruppi marginalizzati è l’unica maniera per dischiudere la marea di informazioni che dovrebbero rappresentare e migliorare la loro vita, perché occultare una parte della storia equivale, all’atto pratico, ad una dichiarazione di guerra verso l’esistenza di quella storia.
Bisogna arrendersi, lo dice la Columbro nel suo libro, all’esistenza dei dati. Impariamo ad usarli per comprenderli e anche per essere più protagoniste della realtà che ci circonda.