24 Giugno 2020
In questa emergenza sanitaria si è discusso molto spesso di “esodo”, degli spostamenti improvvisi di tutti quei giovani che, per motivi di studio, formazione, lavoro, hanno deciso di lasciare il proprio paese d’origine. La narrazione fatta in merito, ha parlato di veri e propri movimenti di massa. Ma perché studenti e studentesse, lavoratori e lavoratrici più giovani hanno invece, in precedenza, avvertito la necessità di abbandonare il sud? Secondo l’ultimo rapporto Svimez, il meridione rischia, a causa di forza maggiori, un vero e proprio spopolamento. Ne abbiamo parlato con Matteo Zagaria, attivista per il progetto salernitano “Dove Vai”.
“DOVE VAI nasce un sabato sera tra Natale e Capodanno 2018 in piazza Sant’Agostino”. Raccontate di aver dato vita a questo progetto con un semplice striscione su cui erano impresse le parole “Dove vai?”. Quanto è importante porsi e porre questa domanda a ragazze e ragazzi del sud Italia e in particolar modo Salerno?
Quando abbiamo pensato ad un nome per questo progetto, la scelta è caduta sull’espressione “dove vai”perché, sia nel caso di chi va via, sia nel caso di chi rimane, è una domanda che le persone pongono molto spesso agli altri e a se stesse specialmente per quanto riguarda l’immigrazione, ma anche per quanto riguarda le scelte lavorative. È importante capire dove si decide di andare a lavorare e il modo in cui si lavora in un mondo lavorativo precarizzato in cui si va incontro a lavoro nero, sfruttamento, forme contrattuali ibride sulle quali c’è poca informazione sia per chi è dipendente sia per chi è datore di lavoro. “Dove vai?” è una domanda che pongono le madri, le famiglie, gli amici, i parenti di chi emigra, ed è una questione che ha a che fare con la scelte che le persone fanno. “Dove vai?”, “perché vai?”, “è una scelta libera o è un obbligo?”. Questa domanda ha tantissimi sottotitoli nascosti.
Il rapporto Svimez 2019 (Associazione per lo sviluppo industriale del mezzogiorno) racconta un vero e proprio rischio di spopolamento del meridione: si parla di oltre 2 milioni di emigrati al nord o all’estero, in maggioranza giovani e qualificati. All’interno del rapporto si parla di una vera e propria “geografia europea delle diseguaglianze”, in cui il sud italia arranca sempre di più. Quali sono secondo voi i motivi alla base di tale fenomeno?
Nella nostra narrazione vogliamo raccontare le storie di chi va e di chi rimane proprio per rimarcare le differenze e le inefficienze di cui parla il rapporto Svimez. Confrontandoci con la figura del “lavoratore medio”, abbiamo capito che la maggior parte di loro ha uno stipendio medio non in grado di soddisfare le richieste di base di un cittadino giovane, di età compresa tra i 18 e i 35 anni e residente al sud, che nella maggior parte dei casi lavora per arrotondare, per non dipendere dalle proprie famiglie, per aiutarsi nelle spese di studio, per provare a crearsi un’indipendenza con molta difficoltà, e non per forza chi emigra si ritrova in una condizione migliore. Alla base di queste disuguaglianze secondo noi ci sono due fondamentali motivazioni: la prima è il definanziamento ormai decennale del settore dell’istruzione, dell’università e della ricerca, poiché comporta una scarsa valutazione nella vita della persona della propria formazione, della cultura e della conoscenza. Finanziare l’istruzione significherebbe parificare gli atenei italiani, non avere atenei di serie a e di serie b e non avere un’emigrazione di massa verso il nord verso grandi centri universitari (per non parlare poi della fuga all’estero). La seconda motivazione è sicuramente legata alla questione meridionale che persiste, e che fa sì che la forbice tra nord e sud in Italia e nel mondo in non riesca ad accorciarsi, ma anzi si allarga. Chi nasce con una determinata condizione materiale molto probabilmente morirà non molto distante da quella condizione materiale che si trova a vivere da quando è nato, e cioè la condizione materiale del proprio contesto familiare. Questo è un altro motivo di disuguaglianza e di conseguenza anche di emigrazione e precarizzazione.
Cosa non sta facendo effettivamente lo Stato per il meridione?
Lo stato non è più un attore nella determinazione di una vita dignitosa per le persone. Gli attori sono i privati, e i privati vanno dove il mercato consente loro di avere facilità di investimento. Nel momento in cui il sud vive in una condizione di arretratezza, l’investitore privato non punta sui territori meridionali, e questo porta ad una conseguente emigrazione di massa. Lo stato (inteso anche come enti locali e pubblici) non è più protagonista con l’investimento pubblico nel mondo del lavoro e della creazione di occasioni, non favorisce alcun ampliamento di possibilità in determinati settori, culturale in primis, ma anche ad esempio nel settore della progettistica. Chi vuole sviluppare start up o progetti non ha strumenti per farlo. Basti pensare che il comune di Salerno non ha una sezione dedicata a questo settore, non coinvolge nell’individuazione di fondi e di fonti di finanziamento europee o di enti parastatali le competenze che ci sono nelle risorse umane sul territorio (l’Università ad esempio) e ciò accade spesso per una quasi totale mancanza di competenze in materia. Di conseguenza non si fa ripartire il sud e non succede ciò che accade ad esempio in Portogallo, uno dei paesi più in ripresa di tutti tra i PIGS (paesi sottosviluppati del sud dell’Europa). I portoghesi stanno tornando in massa in patria e Lisbona ad oggi è definita la Berlino del Sud, perché ha puntato sulle competenze delle persone che hanno dovuto emigrare, ma anche delle persone hanno scelto di rimanere e che posseggono comunque una scolarizzazione e una vitalità, un’energia da spendere. Ciò che manca in Italia è la tutela dell’articolo 3 della costituzione, quello che ha a che fare con il coinvolgimento sociale grazie alla garanzia di possibilità che la costituzione si impegna a garantire a tutti i livelli.
Nel rapporto una sezione è dedicata al reddito di cittadinanza. Pensate in generale che la manovra abbia avuto un effetto positivo per quanto riguarda la disoccupazione giovanile o abbia in qualche modo favorito lo spopolamento delle nostre aree?
Con l’introduzione del Reddito di Cittadinanza paradossalmente si è venuta a creare una nuova figura lavorativa, ma anch’essa precaria, incaricata a guidare altri precari nella ricerca del lavoro. Di conseguenza il problema alla base non si è risolto, basti pensare alle operazioni svolte dagli ispettorati del lavoro. L’ispettorato del lavoro di Salerno, ad esempio, può agire e agisce soltanto quando se emergono delle segnalazioni da parte della guardia di finanza, ma non ha le risorse adatte per mettere in piedi un’indagine a 360 gradi capace di fornirci la fotografia di un territorio, fotografia che manca anche ai sindacati. Noi abbiamo richiesto dati a tutti, ma non ci sono le possibilità per averli poiché il lavoro sommerso è una realtà sulla quale nessuno attiva per mancanza di risorse e fondi degli osservatori.
Secondo il rapporto i fenomeni migratori (definiti da alcuni partiti “di massa”) non sono riusciti a compensare lo spopolamento del settentrione e l’abbandono delle periferie (dato non riscontrabile invece al nord, in cui l’immigrazione ha invece favorito questa integrazione). Perché l’emergenza abbandono del mezzogiorno non riesce a scuotere l’opinione pubblica?Come si colloca Salerno in questo contesto?
Ci sono 3 comuni a rischio scioglimento nei prossimi anni. 12000 abitanti dal 2007/2009 ad oggi hanno abbandonato Salerno. In tutta la provincia 140.000 persone, negli ultimi anni, hanno lasciato questo territorio. Questo ci fa capire che Salerno è tra le più colpite in quanto a emigrazione, e ciò accade per i motivi di cui sopra, e cioè sostanzialmente nei nostri comuni non si fa nulla per coinvolgere le competenze e le energie presenti sul territorio e che escono dai luoghi della formazione, anzi si ostacolano. Basti pensare alla crociata che si è fatta contro le attività artistiche e musicaa cli nel centro della città. Esistono luoghi abbandonati che non vengono messi tramite grandi progetti e grandi finanziamenti che invece ci dovrebbero essere a disposizione della cittadinanza. C’è anzi repressione in questo senso, si continuano a costruire abitazioni costose e una coppia non può andare a vivere con gli stipendi che ci sono in degli appartamenti che vengono costruiti. Di fatto ci sono molte persone che preferiscono spostarsi da Salerno a Baronissi o Pontecagnano, dove gli appartamenti costano di meno, e questo è un dato significativo sulla vivibilità della città.
Perché l’emergenza abbandono del mezzogiorno non riesce a scuotere l’opinione pubblica? Come si colloca Salerno in questo contesto?
La narrazione fatta dal pensiero dominante tiene fuori i dati negativi: si parla di Salerno primo ateneo del sud ma due studenti su tre scelgono di fare la magistrale fuori. Si parla di Salerno come una delle città più vivibili del sud, ma non si parla del fatto che, come città, è ultra inquinata, e ha cementificato soltanto nel 2018 più di due milioni e mezzo di metri quadri di suolo. Si punta su un turismo invernale non considerando la nostra posizione strategica al centro tra la costiera amalfitana e quella cilentana, non si investe sul turismo estivo e di conseguenza non si creano posti di lavoro, ma soltanto un’estrema confusione in altri periodi dell’anno. Spostare l’attenzione pubblica su questi primati fittizi non porta Salerno a crescere e a progredire, e soprattutto non la rende una città a misura di cittadino. Salerno non punta sui trasporti pubblici, ma sui parcheggi, non punta sui luoghi di aggregazioni, ma sulla costruzione di palazzi. Siamo una città che ha visto la chiusura di varie aziende (basti pensare alla Treofan o allo stesso quotidiano La Città), non punta a strutture pubbliche come le biblioteche, che si adeguano ad orari imbarazzanti. Raggiungere l’università è difficilissimo, abbiamo una bretella metro davvero esigua. Si è molto restrittivi anche sulla chiusura dei locali e questo spinge i giovani a recarsi altrove. E’ una città che respinge piuttosto che attrarre.
Si parla molto spesso di chi fugge da una realtà degradante per cercare occupazione nel settentrione o all’estero, la “fuga di cervelli” sembra essere uno step obbligato per gli studenti. Ma chi resta? Quali sono le persone che invece decidono di rimanere a sud e costruire qui la propria realtà? Esistono particolari categorie o motivi alla base di questa scelta? L’opinione pubblica è davvero così superficiale rispetto all’idea di restare a sud per costruire il proprio futuro? O, date le condizioni, è davvero impossibile?
Le persone che restano lo fanno fondamentalmente per due grossi motivi: sono benestanti e possono quindi rilevare attività di famiglia che danno un buon profitto, oppure restano perché obbligati dalle scarse possibilità di mantenersi fuori dalla propria zona e si avviano ad un’esistenza precaria, poiché le categorie maggiormente coinvolte sono gli studenti freschi di un percorso di formazione, impiegati in attività commerciali e di ristorazione o che rincorrono un tesserino da pubblicista, o persone che provano ad avviare un’attività al sud, costrette poi a chiuderla e ad andare via. L’opinione pubblica tende ad essere superficiale sulla questione. In realtà, finché c’è possibilità di intraprendere un’esperienza fuori dal proprio contesto, è giusto farlo per la propria crescita personale, apre moltissime strade. Il problema è il non avere la prospettiva di ritornare e portare tutto ciò che si è acquisito fuori sul proprio territorio, e non per una questione di patriottismo o campanilismo, ma per la frustrazione che questo territorio genera a causa delle scarse possibilità che offre e che spinge al desiderio di abbandonare questa terra, di desiderare di non tornare mai più. In questo modo e a causa di chi non lo ha mai tutelato, il sud non potrà mai godere delle competenze di chi ha fatto esperienza fuori.
Perché, in un contesto così catastrofico, vale realmente la pena restare? Cosa propone Dove vai per chi va e per chi resta? Non vale la pena restare se non sei un folle. Vale la pena restare per chi ha la forza mentale di farlo e per chi ha un minimo di risorse per mantenersi e può cambiare il proprio territorio invece di andare in un centro sociale, politico e culturale già affermato. Gli obiettivi proposti da Dove vai sono tanti. Per chi resta abbiamo attivato a gennaio uno sportello, supportato da dei legali, che sensibilizzi e che formi rispetto a i propri diritti sul posto di lavoro per contrastare abusi e sfruttamento. Vorremmo creare una rete tra i giovani lavoratori che già sentiamo informalmente lanciando un videoclip per promuovere le nostre iniziative, un depliant informativo da distribuire sia ai datori di lavoro sia ai dipendenti. Abbiamo presentato con l’Altra Giunta un progetto di Giunta Ombra del Comune di Salerno, avviato dal consigliere Giampaolo Lambiase e presentato due richieste: istituire un osservatorio costante che ci consulti sul lavoro nero in coordinamento con il Comune, la Provincia, l’ispettorato del lavoro e i sindacati per effettuare un’indagine costante su quella che è la situazione del lavoro giovanile a Salerno. Per chi va via abbiamo un progetto ancora in cantiere, e cioè costruire un network insieme a wiproject di Daniele Cuomo, studio di progettistica salernitano, per mettere in connessione persone emigrate dalla Campania, che faccia da contenitore per incrociare domande e prospettive di ragazzi emigrati intenzionati a costruire progetti sul territorio e metterli in contatto con esperti del settore.
Maria Vittoria Santoro
Tratto dal bollettino informativo “Metamorfosi“.