14 Aprile 2023
Antigone è un’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, nata alla fine degli anni ottanta, che promuove elaborazioni e dibattiti sul modello di legalità penale e processuale del nostro Paese e sulla sua evoluzione; raccoglie e divulga informazioni sulla realtà carceraria. Periodicamente, l’associazione divulga un rapporto sulle condizioni di detenzione. L’ultimo stilato è il XXVIII, fonte principale di questo articolo, pubblicato ad aprile 2022.
I numeri: le presenze in carcere sono passate dalle 53.364 di fine 2020 alle 54.134 nel 2021. A fine marzo i detenuti nelle carceri italiane erano 54.609. Le donne erano 2.276 (il 4,2% dei presenti), gli stranieri 17.104 (il 31,3% dei presenti) e il tasso di affollamento ufficiale medio era del 107,4%. Questa è una media ufficiale, ma nei fatti a causa di piccoli o grandi lavori di manutenzione, la capienza reale degli istituti risulta spesso inferiore a quella ufficiale. Il dato è pur sempre una media nazionale, infatti se si vuole tener conto di un dato regionale si nota che il tasso regionale supera quello nazionale in Puglia (134,5%) e in Lombardia (129,9%). Per quanto riguarda gli ingressi sono passati dai 92.800 del 2008 addirittura ai 35.280 del 2020, per poi risalire per la prima volta in molti anni e fermarsi a 36.539 nel 2021 (Fonte dati ingressi: DAP). Ma com’è possibile che tornino ad aumentare le presenze quando continuano a calare gli ingressi? Un primo indizio è che negli ultimi anni è avvenuto un innalzamento dell’età media della popolazione detenuta. É cambiata anche la posizione giuridica dei detenuti, da tempo si registra una costante crescita tra i presenti di persone con una condanna definitiva. I detenuti sono dunque sempre più in là con gli anni, con tutte le implicazioni che questo comporta sia in termini di domanda di salute sia in termini di opportunità di reinserimento che la Repubblica Italiana considera fondamentale, anche se ciò troppo spesso non avviene pur essendo un diritto scritto nella nostra Costituzione.
Gli spazi e le celle: Una prima caratteristica da segnalare degli istituti visitati è la loro età. Il 39% di tutti gli istituti visitati nel 2021 è stato costruito prima del 1950, il 26% prima del 1900. Talvolta queste strutture molto antiche prima di essere carceri erano conventi o caserme che presentano limiti notevoli sia dal punto di vista degli spazi detentivi sia da quello degli spazi comuni o per le attività. Sostituirli non è sempre conveniente: gli istituti più recenti, generalmente scaraventati in periferie remote, spesso presentano problemi igienici e strutturali che non sono da meno di quelli degli istituti più vecchi. Inoltre, il riscaldamento delle celle è garantito solamente nel 20% dei casi. L’acqua calda non è sempre garantita, ma il culmine lo si tocca con la garanzia di un wc privato. Sebbene possa sembrare anacronistico, nel 5% degli istituti visitati ci sono ancora celle in cui il wc non è in un ambiente separato, isolato da una porta, ma in un angolo della cella. A San Severo in Puglia, il bagno è diviso dal resto della stanza esclusivamente tramite un pannello dell’altezza di circa 3 metri. Da segnalare inoltre il fatto che, nel 25% degli istituti visitati dall’associazione Antigone, sono state trovate celle in cui non apparivano garantiti 3 metri quadri calpestabili per ciascun detenuto, creando condizioni di affollamento evidentemente invivibili. Per ospitare in maniera dignitosa le persone detenute non serve solo spazio, ma anche personale, attività, opportunità trattamentali, risposte alla domanda di salute o a quella di inclusione sociale, il sostegno della comunità locale.
Donne e bambini: Al 31 marzo 2022 erano 2.276 le donne presenti negli istituti penitenziari italiani, pari al 4,2% della popolazione detenuta totale. Delle 2.276 donne detenute, 576 sono ospitate all’interno delle quattro carceri esclusivamente femminili presenti sul territorio italiano. Esattamente un quarto del totale, i restanti tre quarti delle donne detenute erano divise nelle 46 sezioni femminili presenti all’interno di carceri maschili. La detenzione all’interno di un istituto pensato e abitato in larga maggioranza da uomini comporta una lunga serie di problematicità per le poche donne che vi ci vivono. Per quanto riguarda i servizi sanitari e igienici, dei 24 istituti con donne detenute visitati da Antigone nel 2021 il 62,5% disponeva di un servizio di ginecologia e il 21,7% di un servizio di ostetricia. Solo nel 58,3% degli istituti visitati le celle erano dotate di bidet, come richiesto dal regolamento di esecuzione da più di vent’anni. In carceri a maggioranza maschile è chiaro che le risorse andranno agli uomini anziché alle donne, queste ultime vedranno ridotti molti dei loro diritti. Solo il 4,3% degli istituti visitati con sezioni femminili include occasioni di incontro tra detenute e detenuti, quindi le donne sono marginalizzate ancor di più in un contesto prevalentemente maschile. Per evitare l’eccessiva marginalizzazione delle donne detenute, la riforma dell’ordinamento penitenziario entrata in vigore nell’ottobre del 2018 prevede esplicitamente che le donne ospitate in apposite sezioni all’interno di istituti maschili debbano essere “un numero tale da non compromettere le attività trattamentali”. È questo il caso della Casa di Reclusione di Paliano dove su 70 detenuti presenti solo tre sono donne e della Casa Circondariale di Mantova dove su 130 detenuti le donne sono cinque. Il numero più alto di donne detenute si trova nella regione Lazio (395), vista la presenza a Roma del carcere femminile più grande d’Europa che registra un sovraffollamento del 123,5%. Seguono la Lombardia con 365 detenute e la Campania con 314. In generale, le permanenze delle donne hanno tendenzialmente durata inferiore rispetto a quelle degli uomini, le donne straniere con condanna definitiva sono il 70% del totale. Erano invece 1.118 le donne detenute che a fine 2021 disponevano di un lavoro. Di queste, 925 erano impiegate alla dipendenza dell’amministrazione penitenziaria, mentre 193 assunte da datori di lavoro esterni.
Bambini: Al 31 marzo 2022, erano 19 i bambini di età inferiore ai tre anni che vivevano insieme alle loro 16 madri all’interno di un istituto penitenziario. Con l’arrivo della pandemia, la diminuzione dei bambini in carcere è stata particolarmente significativa arrivando alla fine 2021 a contare 18 presenze, a fronte delle 48 di due anni prima. Tale calo dimostra quindi come sia possibile ricorrere a soluzioni alternative, tramite percorsi di esecuzione penale che limitano l’ingresso di bambini in carcere e al contempo evitino la separazione dalle loro madri. Magari questa strada potrebbe essere percorsa anche in situazioni attuali, ovvero quando il covid non sarà più considerata un’emergenza sanitaria.
Regime di 41bis: Al novembre 2021, le persone al 41 bis sono 749 (13 donne). Il regime penitenziario speciale è oggi diventato uno strumento indiscutibile della “guerra alla mafia”. La sua introduzione è avvenuta a cavallo delle stragi mafiose del 1992, diventando presto uno degli strumenti normativi più utilizzati per il contrasto alla criminalità organizzata. Il “carcere duro” consiste in una serie di limitazioni indirizzate a ridurre la frequenza dei contatti con l’esterno degli esponenti di vertice delle organizzazioni criminali, per evitare che dal carcere continuino a comandare. Mira ad isolare i detenuti, ma anche a privarli della loro libertà che potrebbe essere riacquistata qualora decidessero di collaborare con la giustizia. I detenuti al 41bis sono obbligatoriamente in cella singola, senza eccezioni. Sono due al giorno le ore di socialità in gruppi composti da massimo quattro persone. La legge stabilisce che i detenuti al 41bis possano effettuare un colloquio al mese dietro al vetro divisorio della durata di un’ora. Nel caso in cui i detenuti non effettuino il colloquio visivo mensile, possono essere autorizzati a svolgere un colloquio telefonico con i familiari che devono recarsi presso l’istituto penitenziario più vicino al luogo di residenza al fine di consentire l’esatta identificazione degli interlocutori e possono partecipare alle udienze solo da remoto. Le persone al 41bis, a causa della gravità dei reati commessi scontano pene lunghe: 298 sono condannati all’ergastolo, di cui 209 con sentenza definitiva, su un totale di persone con ergastolo di poco meno di 1.800 persone. Nel 2019 gli ergastolani al 41bis erano 284. Esistono ulteriori distinzioni per livello di pericolosità, le figure di spicco delle mafie vengono collocati in 14 c.d “aree riservate” collocate in 7 istituti, non previste dalla normativa, ma frutto di prassi organizzative consolidate, dove l’isolamento è accentuato. Esiste anche un carcere di Alta Sicurezza, regolato non dalla legge, ma da una serie di circolari dell’Amministrazione penitenziaria.
Suicidio e Autolesionismo: Ogni detenuto che decide di togliersi la vita, è una una sconfitta dello Stato anzi di ognuno di noi. È un fallimento della società che non ha permesso di far vivere quella persona in modo dignitoso, né fuori dal carcere per via troppo spesso di uno Stato assente, né all’interno per lo stesso motivo. Trascurato perché ha commesso un errore, viene trattato dalla società come un appestato da tenere lontano. Si dovrebbe dare maggiori disponibilità a queste persone e lo Stato dovrebbe essere attrattivo, affascinante non la delinquenza. Spesso queste persone provengono già da un ambiente malsano e familiare, ma niente viene fatto per evitare che queste persone diventino dei detenuti. Chiunque entra in carcere, se non integrato, una volta uscito ci ritornerà e questa è un’altra sconfitta sociale oltre che dello Stato. Soprattutto sociale perché quella persona viene uccisa due volte: quando è entrato in carcere per la prima volta e per la seconda volta senza più uscire.
Seppur in leggero calo rispetto all’anno precedente, nel 2021 il numero di suicidi in carcere rimane molto alto. Secondo i dati pubblicati dal Dap, sono state 57 le persone detenute ad essersi tolte la vita. Negli anni che vanno dall’ultimo decennio si osserva una crescita esponenziale dei suicidi in carcere. Il dossier di Ristretti Orizzonti “Morire di carcere”, realizzato tramite fonti di stampa recensite dalla redazione del giornale, riporta alcune notizie riguardo ai detenuti che hanno deciso di togliersi la vita: un esempio è la storia di un giovane ragazzo di 23 anni originario della Guinea che si è tolto la vita all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio di Torino. Un’altra tragedia all’interno del dossier ha come protagonista un ragazzo ancora più giovane, di nemmeno 16 anni, che si è tolto la vita in una casa alloggio nel casertano dove era ospitato da qualche mese per aver commesso una rapina. La fascia più rappresentativa è quella delle persone tra i 46 e i 50 anni anni che conta 12 decessi. Secondo il documento sulla prevenzione del suicidio in carcere realizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il suicidio è spesso una delle cause più comuni di morte in carcere: i detenuti presentano frequenti pensieri e comportamenti suicidari durante tutto il corso della loro vita. Secondo gli ultimi dati dell’OMS il tasso di suicidio in Italia nel 2019 era pari a 0,67 casi ogni 10.000 persone. Nello stesso anno, il tasso di suicidi in carcere era pari a 8,7 ogni 10.000 detenuti mediamente presenti. Mettendo in rapporto i due tassi, si nota come in carcere i casi di suicidi siano oltre 13 volte in più rispetto alla popolazione libera e siano in crescita.
L’associazione Antigone ha proposto una revisione del sistema carcerario. L’introduzione alla vita dell’istituto deve avvenire in maniera lenta e graduale, affinché la persona abbia la possibilità di ambientarsi. Maggiore attenzione andrebbe prevista anche per la fase di preparazione al rilascio a fine pena, facendo in modo che la persona venga accompagnata al rientro in società. Particolare attenzione andrebbe dedicata a tutti quei momenti della vita penitenziaria in cui le persone detenute e internate si trovano separate dal resto della popolazione detenuta perché in isolamento. I dati fanno riferimento al 2020 quando in Italia il tasso di suicidi era pari a 11.42, ben superiore alla media europea annuale attestatosi a 7.2 casi ogni 10.000 persone detenute. Il Paese con il tasso più alto è la Francia (27,9). È importante notare come l’Italia sia tra i paesi europei con il più alto tasso di suicidi tra i detenuti, mentre è tra i paesi con i tassi di suicidio più bassi nella popolazione libera.
Negli ultimi cinque anni osserviamo una costante crescita dell’autolesionismo che nel 2020 arriva a contare 11.315 episodi, quest’ultimi però sono più difficili da calcolare perché varia il modo di conteggiarli a seconda dell’istituto (alcuni calcolano anche l’autolesionismo a fini dimostrativo e altri no). Dalle informazioni raccolte tramite le visite effettuate da Antigone nel corso del 2021, emerge una media di 19,9 casi di autolesionismo registrati in un anno ogni 100 persone detenute. Numerosi sono gli istituti con un numero di casi ben superiore. Tra questi al primo posto la Casa Circondariale di Sollicciano a Firenze con 105,2 episodi di autolesionismo.
Davide Della Guardia