24 Giugno 2020
L’obbligo di restare a casa e di uscire soltanto per comprovati motivi di necessità ha stravolto la quotidianità di molti. La vita frenetica a cui eravamo abituati ha lasciato spazio ad ore e giornate interminabili che hanno influito sul piano fisico e psicologico degli individui. La psicoterapia online è una delle soluzioni individuate per fronteggiare al meglio gli effetti di questo periodo. Affrontiamo il tema insieme al Dottor Giuseppe Salerno, psicologo e psicoterapeuta nella città di Salerno.
In seguito al lockdown verificatosi a causa dell’emergenza sanitaria che ha colpito la maggior parte dei Paesi, si è iniziato a parlare molto di psicoterapia per fornire alle persone un supporto emotivo e aiutarle a fronteggiare la chiusura che è stata imposta in questo periodo. Secondo Lei, era necessario un avvenimento di questo tipo per far riscoprire alle persone l’importanza di un supporto psicologico ed il coraggio di affrontare le loro emozioni?
Il cambiamento spesso spaventa. È più facile continuare a vivere come si è abituati a fare, piuttosto che assumersi la responsabilità di realizzare un cambiamento, che spesso porta con sé una certa quota di impegno, di sacrificio e costanza. Una terapia è fatta anche di questo. Non ci si può aspettare che le cose cambino dall’oggi al domani senza assumersi qualche responsabilità. L’isolamento seguito al lockdown ha semplicemente funto da acceleratore, mettendo molte persone a contatto con i propri fantasmi. Quale che sia l’evento stressante di innesco, l’importante è aver voglia di conoscersi, di mettersi in discussione ed incontrare la persona giusta. Un terapeuta sufficientemente buono è importante per fare amicizia con la propria ombra, come dicono gli junghiani.
La psicoterapia online è una pratica un po’ diversa da quella a cui si è soliti immaginare. Com’è stato l’approccio a questa nuova modalità? Ha innalzato ulteriori muri tra i pazienti più timidi? Sarà possibile usufruirne anche dopo la conclusione dell’emergenza sanitaria?
La psicoterapia online in realtà non è una novità. Da sempre gli psicologi e gli psicoterapeuti hanno utilizzato modalità alternative agli incontri dal vivo. Pensi che all’inizio del Novecento, gli psicoanalisti dibattevano addirittura sulla possibilità di una terapia epistolare. Figuriamoci quindi se non sia possibile lavorare in terapia con le moderne tecnologie di comunicazione. I terapeuti più giovani e flessibili si sono adattati rapidamente al nuovo setting, ma mi sembra che anche molti della “vecchia guardia” stiano ormai assimilando le regole della terapia online. Ci sono certamente alcune cose che cambiano e altre a cui bisogna stare attenti. Tutto il linguaggio corporeo, per esempio, che di solito è una fonte infinita di informazioni per i terapeuti, è più difficile da utilizzare online. Pensi ancora all’importanza dell’inquadratura o alla stanza che si sceglie di mostrare al paziente. Tutte cose nuove per noi terapeuti. Venendo ai pazienti, nella mia esperienza, sono stati in pochi quelli che hanno rifiutato di proseguire il nostro lavoro online. Certo in alcuni casi è stato difficile. Si immagini le difficoltà di chi vive in appartamenti piccoli a stretto contatto con altri familiari, o al caso delle terapie di coppia e di famiglia (che in alcuni casi comunque credo che si possano fare anche online).
Molto spesso ciò che frena una parte delle persone nella scelta di svolgere un ciclo di psicoterapia o, semplicemente, prendere anche solo un appuntamento, è l’aspetto economico. Il rischio, quindi, di far fronte a delle spese eccessive che molti sono abituati a classificare come “non necessarie”. Da questo punto di vista, qual è la Sua opinione sull’importanza di offrire la possibilità di rivolgersi ad uno sportello gratuito? In questo modo le persone, soprattutto coloro appartenenti alle fasce più deboli, saranno incoraggiate ad iniziare un percorso con un professionista?
Credo che sia molto importante dare la possibilità a tutti di accedere ad uno strumento di crescita personale così importante. Spesso purtroppo il servizio pubblico non riesce a far fronte al bisogno della popolazione, perché costretto a concentrarsi sulle emergenze a causa delle poche risorse a disposizione. È importante allora che chi lavora nel privato si impegni a proporre prezzi accessibili a chi ha davvero difficoltà economiche ma è seriamente motivato ad un percorso di cambiamento. Esistono molte reti di psicologi in giro per l’Italia che si impegnano a mantenere prezzi sociali. Per quanto riguarda i colloqui gratuiti, la questione è molto controversa. Non può essere il terapeuta a farsi carico dei costi della terapia, perché il nostro lavoro comporta spese di formazione considerevoli. Uno psicoterapeuta ha fatto almeno cinque anni di università, un lungo tirocinio di un anno, poi quattro di specializzazione, quasi sempre una terapia personale e tante ore di supervisione, facendosi carico di tutte le spese annesse a questa lunga formazione. Dovrebbero essere enti terzi, come le università e le scuole ad impegnarsi nella costruzione di progetti di sostegno psicologico. È ancora troppo poca l’attenzione data all’aspetto psicologico nel campo della salute e del benessere.
Il percorso accademico universitario molto spesso è portatore di un carico emotivo alquanto pesante, i fattori di stress sono molteplici. Secondo Lei, quanto è importante la presenza di un centro psicologico all’interno della realtà accademica e, quindi, offrire l’opportunità agli studenti di potersi approcciare alla terapia?
Come dicevo, è molto importante che istituzioni come l’università mettano a disposizione degli studenti uno spazio dedicato alla riflessione su di sé, sulla propria vita e sulle proprie relazioni. Gli anni che si vivono all’università sono un momento critico nel ciclo di vita di una persona e incontrare un professionista capace di ascoltarti può fare la differenza. A volte basta poco, a volte basta esserci per dare speranza, per far intravedere una luce in fondo al tunnel.
L’Università degli studi di Salerno è considerata il primo Ateneo del mezzogiorno. Tra i numerosi corsi di laurea che questa università offre manca quello in psicologia e psicoterapia. Secondo Lei è sufficientemente valorizzata in Italia e nel campo accademico la figura dello psicologo e dello psicoterapeuta?
Avere un corso di laurea in psicologia qui da noi a Salerno aprirebbe nuove possibilità a molti, che volendo intraprendere questo percorso sono costretti, come lo sono stato io, a studiare fuori. Ancora molta è la strada da fare perché la figura dello psicologo venga considerata come una seria opportunità professionale. Su questo credo che l’università possa fare molto. Oltre a fare giustamente ricerca, dovrebbe concentrarsi di più nello sviluppo della psicologia applicata al mondo della vita, dove la professione di psicologo ha ancora molto da dare. Basti pensare allo sport, alle organizzazioni, alla scuola.
Se nella gestione della prima fase della pandemia in Italia il lockdown ha imposto un distanziamento sociale totale tra gli individui, nella seconda fase le misure prese dal governo per contrastare l’emergenza sanitaria hanno dovuto creare all’interno delle nostre relazioni delle gerarchie. Secondo Lei è possibile strutturare una gerarchia degli affetti? Come in generale percepisce una persona l’idea di affetto stabile? È davvero collegabile esclusivamente alla sfera familiare? Quali sono le strategie che la psicoterapia può mettere in atto per gestire la mancanza e l’assenza di un contatto proprio per chi non rientra in quel parametro?
Le misure adottate dal governo qualche settimana fa sono state prese in una fase di caos generale e di paura. Parlare di affetto stabile vuol dire tutto e non vuol dire nulla. Un mio familiare e la mia fidanzata sono affetti stabili, ma dal punto di vista strettamente psicologico lo sono anche i miei amici o i conoscenti. La stabilità nel campo delle relazioni e dell’affettività è un concetto che andrebbe chiarito. Credo che il governo abbia solo tentato di riaprire con molta cautela, finendo col generare però molta confusione. Non credo che esistano delle tecniche specifiche per gestire la mancanza. Quello che può fare un terapeuta quando una persona soffre per una distanza (come capita ancora ora a chi vive in regioni diverse per esempio) è accompagnare verso la consapevolezza che, come dice Sartre, l’assenza è una forma di presenza.
Durante questa pandemia a molti è capitato di fare più sogni, spesso strani o negativi, tanto che è nato l’hashtag #pandemicdreams. In che modo si potrebbe veicolare, in modo positivo, l’ansia e la suggestione che si prova in questo periodo? Quanto è importante una corretta gestione delle proprie emozioni e dei momenti di agitazione?
Questa cosa è molto interessante. Ho notato che diversi pazienti hanno iniziano a ricordare più chiaramente i sogni durante il periodo della pandemia. Può dipendere dal fatto che non avendo più la possibilità di muoversi e di vivere le proprie emozioni nel contatto diretto, ci sia spostati nel mondo dell’immaginario. I sogni e la fantasia sono il riflesso dei movimenti emotivi e corporei, e rappresentano una sorta di “via regia”, come la definiva Freud, non solo verso l’inconscio ma anche verso la crescita. C’è però bisogno di una persona come il terapeuta (ma può essere anche un familiare o un amico stretto) con il quale condividerli, per renderli lo spunto di riflessioni e di cambiamenti. In passato si era molto più abituati a parlare dei propri sogni. Oggi sono considerati un male perché sembrano improduttivi e inutili ad un occhio poco attento.
Ultimamente si sta parlando di Sindrome della Capanna, ossia della paura di ritornare alla vita normale dopo essere stati per tanto tempo in casa. In che modo secondo Lei andrebbe affrontata la fase di graduale ritorno alla vita di sempre?
In effetti ho sperimentato anch’io qualcosa del genere. Lo smart working ci ha un po’ disabituato al contatto con gli altri e al lavoro dal vivo. I primi giorni che sono rientrato in studio, per esempio, mi sono sentito molto più stanco di prima. Come se fossi assorbito in misura maggiore dalle parole dei miei pazienti. Probabilmente qualcosa del genere è successo a molti. In periodo di pandemia ci siamo un po’ dimenticati cosa vuol dire stare con gli altri. Sono sicuro però che non ci metteremo molto a ricordarlo di nuovo. L’essere umano è un animale sociale.
Il personale sanitario nel periodo post-emergenza potrebbe soffrire di un disturbo da stress post-traumatico. Quanto secondo Lei è importante garantire uno o più cicli di terapia per affrontare il carico emotivo accumulato e quanto in generale sarebbe importante garantire sempre (non solo in relazione alla pandemia) tale possibilità ai medici e infermieri?
Chi lavora in campo sanitario è da sempre sottoposto a livelli di stress elevati. Portare con sé la sofferenza e la morte non è una cosa semplice. Capita spesso che medici, infermieri, operatori socio-sanitari, ma anche gli psicologi stessi, soffrano di una sindrome da burnout correlata al loro lavoro. Tenere fuori dalla porta di casa quello che si è vissuto al lavoro non si può fare, perché non siamo fatti a compartimenti stagni. Ognuno si porta dietro un po’ di peso, come disegna il fumettista Zerocalcare in una delle sue graphic novel, e a volte c’è bisogno di uno spazio per ripulirsi, per sentire questo peso in un contesto protetto. Le istituzioni dovrebbero quindi garantire sempre al personale sanitario un adeguato supporto psicologico, e non solo in tempi di Covid, quando i riflettori sono puntati su di loro. Ne va anche dell’efficacia del loro lavoro, e quindi della salute di tutti. Temo però che già in questo momento la società si stia iniziando a dimenticare di loro, sicuramente di noi psicologi.
Quest’esperienza cambierà l’approccio generale delle persone alla terapia psicologica? Lo stigma sulla psicoterapia tornerà o la società riuscirà a riconoscere il ruolo fondamentale di tale attività per il benessere dei cittadini?
In verità su questo punto non credo che sia cambiato molto a seguito del periodo di quarantena. Gli psicologi e gli psicoterapeuti si sono proposti in tanti modi e in tanti contesti diversi, ma non molti hanno afferrato la loro mano tesa. Il problema più grande nel campo della salute mentale lo avremo invece nei prossimi mesi. L’isolamento e la crisi economica faranno sentire il loro peso, e dove gli equilibri sono costruiti su fondamenta poco stabili seguiranno dei problemi: personali, di coppia, familiari. Sono più a rischio coloro che vivono situazioni di disagio economico. Come dicevamo prima, bisogna assolutamente trovare il modo di sostenere anche loro dal punto di vista psicologico, attraverso l’intervento istituzionale. Altrimenti saremo travolti da un’onda di disagio psicopatologico oltre che economico. Sul modo in cui le persone considerano la psicoterapia, negli ultimi decenni qualche passo è stato fatto. Troppo spesso però lo psicoterapeuta è ancora considerato “il medico dei pazzi”. I più giovani però si stanno rendendo conto che costruirsi spazi di crescita, dedicando tempo ed energie a se stessi e alle proprie relazioni, è qualcosa di prezioso. In fin dei conti, del resto, al di là del lavoro, di internet e della produttività ad ogni costo che questa nostra società ci impone, cos’altro ci resta se non il nostro rapporto con noi stessi e con gli altri?
Annaclaudia D’Errico
Tratto dal bollettino informativo “Prova da sforzo“.