30 Aprile 2021
I cambiamenti climatici sono una realtà da tempo presente sulla Terra. Da anni, gli impatti e i fenomeni si verificano con più maggiore frequenza e intensità, provocando l’estinzione di specie animali, sconvolgendo gli ecosistemi e la biodiversità. Eppure, nonostante ci sia la consapevolezza di doversi mobilitare concretamente verso una limitazione del riscaldamento globale, le azioni messe in atto risultano ancora insufficienti. A ricordarcelo, sono gli avvenimenti come quello accaduto una settimana fa nell’Oceano Atlantico. Il 18 aprile 2021 il network americano BBC News ha diffuso la notizia dello scioglimento dell’iceberg più grande del mondo a sud dell’Oceano Atlantico. Conosciuto sui social come A68, copriva un’area di quasi 6.000 km² con un peso di all’incirca un miliardo di tonnellate, adesso frantumati in infiniti piccoli pezzi che non potranno più essere montatori dal National Ice Center, il centro americano istituto nel 1995 si occupa di analizzare le condizioni dei ghiacciai presenti nell’Artico e nell’Antartico. Il suo scioglimento, però, non ha molto turbato gli esperti come Adrian Luckman glaciologo britannico e professore di geologia presso l’Università di Swansea (Galles). Quest’ultimo, ha dichiarato che sia incredibile che l’A68 sia durato così a lungo perché il suo spessore – che ricordava quattro fogli A4 impilati uno sopra l’altro – lo rendeva molto fragile. Le onde, l’acqua calda e le temperature più elevate nell’Atlantico hanno fatto il resto. Precedentemente, nel 2017 l’iceberg si era staccato dalla piattaforma di ghiaccio Larson C dell’Antartide, iniziando a muoversi nell’Oceano Atlantico. Il continuo spostarsi in balia delle forti correnti, aveva alimentato la paura che il blocco si potesse schiantare contro i territori britannici a sud della Georgia, rappresentando un rischio per le colonie di pinguini che in quelle zone hanno il loro habitat naturale. Un pericolo scampato che dovrebbe, però, mettere in allarme ogni generazione su ben altro. Se il distacco avvenuto nel 2017, dai geologici è stato considerato un evento naturale, il suo scioglimento è in parte causato anche dai cambiamenti climatici. L’iceberg, dal punto di vista scientifico ha permesso agli esperti di studiare in maniera approfondita la struttura delle piattaforme di ghiaccio e i processi, come l’idrofrattura, attraverso i quali l’innalzamento della temperatura le distrugge. Dall’altro canto, però, sarà ricordato anche dal resto della popolazione perché l’A68 è stato il primo iceberg a riscuotere successo sui social media.
Una lunga, profonda e imperfetta linea si distingue su un’immensa distesa bianca. Come sempre, la natura è in grado di offrire le più suggestivi immagini. Ciò che vediamo sono le crepe sorte diversi anni fa e d’improvviso dilagate più velocemente che hanno determinato il distacco di un iceberg dalla piattaforma di Brunt. La notizia è stata resa nota da il British Antarctic Survey, un ente di ricerca britannico. L’estensione registrata dell’iceberg è pari a 1270 chilometri quadrati ed è spesso 150 metri. L’interesse verso gli iceberg si mostra anche in riferimento a ciò che accade nella Georgia del sud, ribattezzata come il cimitero degli iceberg. Qui, infatti, grossi blocchi di ghiaccio si arenano e lentamento si sciolgono. L’evento è così frequente che si è deciso di installare delle boe sensoriali per analizzare l’impatto di questi scioglimenti sulle acque delle zone circostanti. La temperatura, il grado di salinità, la velocità delle correnti e la presenza di plancton sono le proprietà fisiche che si cerca di analizzare. “Tutta questa acqua gelata ha delle ripercussioni sulla struttura della colonna d’acqua (…) In particolare modifica le correnti verso la piattaforma, poiché cambia la densità del liquido. In generale, è tutta l’acqua della zona a diventare sempre più fredda” ha spiegato alla Bbc Mark Brandon, oceanografo della Open University.
Le statistiche relative al distacco degli Iceberg dalle coste della Groenlandia mostrano una realtà complicatissima rispetto all’impatto ambientale: ogni anno si staccano dalla costa ben 15.000 piattaforme di ghiaccio. Un numero esorbitante che ha stimolato nella comunità scientifica l’ideazione di modalità piuttosto singolari per quanto riguarda un possibile sfruttamento in positivo degli eventi. Una di queste è quella di trainare fino ai tropici gli iceberg per immetterli nelle reti idriche di paesi che hanno scarso accesso all’acqua. Una soluzione creativa, ma altamente dispendiosa, avendo bisogno di impianti per dissalare l’acqua, spese ingenti per il trasporto, grosso consumo di energia e soprattutto l’inevitabile possibilità che il ghiaccio si sciolga durante il tragitto. La soluzione potrebbe essere l’uso di materiali isolanti per preservare il ghiaccio e lo sfruttamento delle correnti. Un disastro ambientale, uno spettacolo della natura o una possibilità di dare da bere alle parti più “assetate” del pianeta?