30 Giugno 2020
La scissione del DISPSC all’interno dell’Università degli studi di Salerno sembra essere avvenuta secondo modalità non ordinarie: tempi troppo brevi, poche comunicazioni, nessun coinvolgimento degli studenti. Questo ha causato l’insorgenza di problematiche che forse non si sarebbero mai verificate se la scissione fosse avvenuta seguendo il giusto iter. Per comprendere meglio le ragioni alla base della separazione dei tre corsi di laurea (Scienze Politiche, Scienze della Comunicazione e Sociologia), ci siamo rivolti al Presidente del Consiglio Didattico di Scienze Politiche, Massimiliano Bencardino, per un’intervista che potesse far luce su diversi interrogativi.
Stando a ciò che sappiamo in ordine agli eventi: in un primo momento è stata avanzata la proposta che prevedeva la formazione di due dipartimenti, uno relativo a Scienze della Comunicazione e l’altro a Sociologia e Scienze Politiche, bocciata in Senato Accademico perché ritenuta impossibile vista l’irragionevolezza di istituire un dipartimento con un solo corso di studio. In seguito, è avvenuta l’approvazione della proposta che vede ora costituiti i dipartimenti DISPC e DISPS. Queste ipotesi sono state vagliate in tutti gli organi di rappresentanza intermedi? Come mai si è passati da una prima proposta che vedeva Scienze Politiche insieme a Sociologia ad una seconda che invece vede Scienze Politiche con Scienze della Comunicazione? Da dove nasceva l’esigenza, non solo di compiere questa modifica strutturale, ma di farlo in tempi celeri?
La proposta di istituire un Dipartimento di Sociologia e Scienze politiche era basata sulla volontà di una minoranza di docenti afferenti all’area di Sp e pertanto non aveva i minimi necessari a supportare tale deliberazione. É stato un processo eccessivamente veloce, che non ha avuto una fase istruttoria piena. Ma non è solo una questione tecnica. La volontà di costituire un Dipartimento che accomuni tutti gli SPS (ovvero tutti i docenti afferenti all’area scientifica delle dottrine politiche e sociologiche), come ci indica anche la scelta del nome, Di-SPS, non poteva avere un consenso ampio, perchè è apparsa a molti docenti di Scienze politiche una chiusura identitaria. La formazione di Scienze politiche è invece l’esatto opposto; il tratto caratterizzante dell’identità di Scienze politiche è l’interdisciplinarietà, che ne è anche la sua principale ricchezza. In un mercato del lavoro, in cui si chiede di essere sempre più flessibili e versatili, noi riteniamo che un’offerta formativa che spazi tra le discipline (dal diritto all’economia, dalla storia alla geografia, dalle materie politologiche alle lingue) in una interazione di saperi, possa avere una maggiore spendibilità. Oggi, probabilmente, è proprio il tempo delle Scienze politiche.
La scissione del DISPSC era, secondo Lei, davvero necessaria? Per quale motivo non si è semplicemente pensato di inserire un nuovo curriculum al dipartimento già esistente?
Non nego l’opportunità di creare un Dipartimento maggiormente orientato agli studi sociologici e politologici, è sempre un arricchimento per l’offerta didattica complessiva. Allo stesso tempo, però, non sento di farne parte e, insieme a me, tutti i docenti di Scienze politiche sono convinti della bontà del percorso di riforme che stiamo approvando nel nostro Dipartimento, il PoliCom, un Dipartimento che già nel nome ricorda la multiculturalità. L’etimologia del nome Politica, infatti, pur derivando dal greco πολύ «città», può anche ricordare πολύς «molteplice». La molteplicità delle competenze e le politiche per il governo della complessità, locale e internazionale, sono il nostro faro.
Quanto spazio è stato dato agli studenti in questo processo? Una divisione di questo tipo giova agli studenti? In che modo crede sia cambiata l’offerta didattica e la potenziale formazione degli studenti che si iscrivono all’interno dei rinnovati corsi di laurea e dipartimenti?
Come ho detto precedentemente è stato un processo eccessivamente veloce, che non ha avuto una fase istruttoria piena. Ciò nonostante, l’arricchimento dell’offerta formativa è sempre un vantaggio per gli studenti. Noi stessi abbiamo allargato gli orizzonti delle Scienze politiche, affiancando ad un percorso consolidato di studi magistrali sulle politiche per il governo del territorio, le territorial policies per lo sviluppo locale (noto tra gli studenti come PIT), un nuovo percorso sulla cooperazione internazionale. Le Scienze politiche non sono solo un modo di leggere e interpretare la realtà, ma un sapere applicativo che ha ricadute sull’agire. Noi abbiamo imboccato una strada riformatrice con l’istituzione di laboratori didattici interdisciplinari, dove gli studenti sperimentano esperienze che sono direttamente collegate al mondo del lavoro, attraverso la creazione di un prodotto intellettuale o più semplicemente attraverso l’elaborazione di idee, in spazi didattici osmotici che permettono di mettere in gioco abilità e conoscenze spendibili nel mercato del lavoro.
Gli studenti hanno avvertito diversi disagi sul piano organizzativo, molti corsi sono partiti in ritardo, altri sono stati spostati nel secondo semestre nonostante il calendario didattico li prevedesse nel primo. A cosa sono dovute le difficoltà nell’organizzazione di determinati corsi?
L’iter essendo stato molto veloce non ci ha lasciato il tempo per fare dei concorsi per insediare nuovo personale docente. Per cui alcuni docenti che sono andati via hanno lasciato vacanti dei corsi, però secondo me è poca cosa.
Sempre in relazione alla didattica il corso di laurea in Scienze Politiche prima prevedeva tre corsi di lingua (francese, spagnolo, inglese) con la possibilità per gli studenti di sceglierne due su tre mentre oggi, invece, essendovi solo due lingue (inglese, spagnolo) la scelta dello studente è limitata. Questo non penalizza l’offerta didattica del corso di laurea?
La docente di francese, che insegnava da noi, completa il suo carico didattico nel nuovo Dipartimento. Ciò nonostante abbiamo bandito gli insegnamenti di Francese, chiedendo una copertura a docenti esterni. L’offerta linguistica si è inevitabilmente ridotta ma non è detto che, quando ci assesteremo, non potremo immaginare di chiamare nuovamente una docente di francese. Come Lei certamente saprà le risorse economiche per l’Università oggi sono piuttosto limitate e l’offerta formativa deve sempre essere commisurata alla disponibilità di risorse umane ed economiche.
La Professoressa di Inglese Paola Attolino Referente Erasmus nel lasciare il dipartimento ha portato con sé i fondi e le convenzioni stabilite con varie università aderenti al progetto. Come è possibile che questi fondi siano stati così facilmente trasferiti da un dipartimento all’altro?
Questa vicenda è legata ad una politica adottata dall’ateneo, la quale prevede che i contratti Erasmus devono seguire la persona; è una politica che non abbiamo condiviso perché erano contratti del consiglio didattico, nonostante il nostro dissenso abbiamo attivato circa 20-30 contratti Erasmus nuovi, che sono abbastanza vista la reale richiesta degli studenti, infatti molti non riusciamo a coprirli. Su questo tema posso dire che siamo stati velocissimi anche grazie all’aiuto di un gruppo di colleghi che si sono impegnati molto per questa causa.
Ad oggi gli studenti di ben tre corsi di laurea sono costretti a seguire i corsi all’interno di un unico edificio. Attualmente come si pensa di ovviare a questo problema?
Il problema degli spazi è un problema serio perché quando è stata attivata questa nuova triennale si è tenuto conto di dover garantire la sostenibilità didattica delle aule, ciò è stato fatto in maniera molto limitata. In seguito alla scissione ad esempio è stata divisa in due un’aula nei pressi della presidenza per ospitare gli uffici amministrativi, inoltre la nuova triennale non può andare ad incidere sugli spazi di Scienze Politiche perché non possiamo dividere certo le aule dei ragazzi a metà. So, comunque, che l’ateneo ha in programma di costruire nuove palazzine per la didattica quindi immagino che la sostenibilità didattica venga trovata lì.
All’interno dell’aula FOA non possono tenersi più convegni o seminari perchè è diventata anch’essa un’aula per la didattica. Sono previste alternative che garantiscono un futuro ampliamento di spazi extradidattici?
L’aula FOA è stata adibita a funzioni didattiche a causa dell’introduzione del nuovo corso di studi, speriamo di restituirla alla sua originaria funzione in futuro.
Lei, nel complesso, che giudizio dà alla divisione del DISPSC in DISPS e DISPC?
Personalmente sono molto entusiasta di questa fase. Ricopro un ruolo che mi onora, ma che è semplicemente il coordinamento di un lavoro collegiale e condiviso che parte dagli obiettivi formativi e dalle possibilità di collocamento nel mercato del lavoro che intendiamo offrire agli studenti, i quali ci vengono consegnati dalle famiglie e dagli istituti superiori – anch’essi al centro di una fase complessa – e dei quali abbiamo la responsabilità formativa in questa fase di transito e maturazione intellettuale.
Oltre a sentire il parere del presidente del Consiglio Didattico, Massimiliano Bencardino, ci siamo rivolti a Virgilio D’Antonio, direttore del nuovo Dipartimento di Scienze Politiche e della Comunicazione, che ha deciso di condividere con noi una serie di pensieri legati all’evento.
Scienze Politiche e Scienze della Comunicazione non sono nello stesso dipartimento per una casualità. Io credo che questi due corsi siano oggi due realtà che più di tutte sono sollecitate dalla modernità, sono più di tutte vicine alla lettura della realtà e all’interpretazione di ciò che ci accade intorno quotidianamente. Proprio in questo senso noi offriamo ai nostri studenti e facciamo ricerca sui temi della modernità, per un verso stiamo lavorando sulla integrazione sia dei percorsi formativi che di quelli di ricerca dei due ambiti perché oggi come oggi la politica è fatta molto di comunicazione e dall’altro lato chi si occupa di comunicazione non può ignorare che molti dei fenomeni di cui si discorre nascono e si sviluppano nell’ambito dei processi politici. Stiamo lavorando molto per la creazione di ponti e di reti tra i due corsi di studio e tra le ricerche che vengono portate avanti dai due ambiti. Bisogna partire dal presupposto che i dipartimenti fanno didattica e ricerca, la prima è quella che gli studenti percepiscono maggiormente ma dietro questo tema c’è la ricerca che è altrettanto importante e decisiva, sulla quale noi lavoriamo costantemente; e la creazione di una comunità di docenti nasce molto spesso dagli interessi comuni di ricerca. Questo senso di unità e trasversalità stiamo cercando di comunicarlo agli studenti con un nuovo progetto ‘Policom’’ di Politica e Comunicazione perché vorremmo che i nostri studenti percepissero il fatto di appartenere ad un’unica comunità che è la comunità del dipartimento, quando uno studenti si iscrive a Scienze Politiche o Scienze della Comunicazione deve tenere presente di entrare a far parte nella comunità del dipartimento. Nei prossimi mesi lanceremo anche una serie di iniziative collegate al rafforzamento dell’identità comune del dipartimento.
La dinamica europea, le frontiere di ricerca attuali, il sistema nazionale della valutazione ci indicano tutti univocamente che esperienze disciplinari monotematiche, cristallizzate in settori troppo chiusi sono perdenti, cioè non hanno un respiro così ampio da potersi affermare nel contesto nazionale e secondo me non hanno neanche un respiro così ampio da poter offrire ai ragazzi in sede di didattica strumenti tali da poter interpretare la complessità della modernità, io credo nelle esperienze dipartimentali dove i saperi si integrano, si incrociano. Io voglio che gli studenti di Scienze della Comunicazione conoscano l’offerta formativa di Scienze Politiche perché magari sfruttando gli esami a scelta libera possono integrare il loro percorso con competenze dell’altro lato e viceversa.
Maria Pia Della Monica
Articolo tratto dal bollettino informativo METAMORFOSI