8 Novembre 2019
Cristoforo Colombo credette di aver visto una sirena nel 1493 lungo le coste dell’Africa occidentale. Non le attribuì quell’aspetto umanoide (metà donna e metà coda di pesce) che la rende così affascinante nei racconti del folklore europeo perché, probabilmente, aveva incontrato durante il suo viaggio uno sconosciuto lamantino o un dugongo. Sono stati gli avvistamenti successivi e le storie risalenti al 1600 e al 1800 (secolo in cui la meravigliosa narrazione di C. Andersen contribuì ad alimentare la leggenda) a regalare al nostro immaginario l’aspetto di quella figura così fantasmagorica, evanescente, esotica e meravigliosa chiamata sirena. Un entità leggiadra, fragile, un’eterea creatura appartenente alla terra e al mare, padrona delle profondità e libera di nuotare tra le acque cristalline in cui, a quell’epoca, non navigava la plastica tra le onde.
Nel 2016 di plastica invece ce n’era davvero parecchia. Fu proprio la notizia legata all’uso spropositato del materiale da parte del popolo americano a spingere il fotografo e attivista Benjamin Von Wong al lancio di una delle campagne più visionarie degli ultimi anni. Dopo aver letto l’abnorme numero di bottigliette di plastica usato da ogni americano, Wong si avvale dell’aiuto di amici e volontari per il progetto #MermaidsHatePlastic, raccogliendo grazie ad un centro di raccolta differenziata 10.000 bottiglie divise dai partecipanti per colore, creando in un capannone autogestito una serie di immagini estremamente significative ed impattanti: un gigantesco mare di plastica blu, bianca, celeste, verde in cui cerca di districarsi una variopinta sirena visibilmente in difficoltà. Sul suo website, Wong si definisce un artista iperrealista che sfrutta l’amplificazione della realtà per riprodurre un impatto positivo sul mondo.
Siamo però costretti a compiere un salto temporale e spaziale per renderci conto di quanto la “iper-realtà” descritta da Wong sia diventata una semplice e disastrosa conseguenza delle nostre abitudini. Riguardando il video postato il 4 novembre dall’organizzazione salernitana “Voglio un Mondo Pulito” riguardante la marea di plastica che ha invaso il porto di Salerno dopo la mareggiata, fa pensare proprio ad una di quelle installazioni artistiche che descrivono una possibile realtà futura degradante per la società e il pianeta. “Sembra un film horror” hanno affermato gli attivisti, e le immagini diventano immediatamente virali, perché il disastro ambientale legato ai “lontani” oceani impregnati dai rifiuti è adesso alla nostra portata, vicinissimo alle coste protagoniste delle passeggiate romantiche al calar della sera e dei nostri selfie “instagrammabili”.
La compagine di rifiuti è stata rimossa dal personale dell’ufficio territoriale, lo smaltimento degli stessi è stato effettuato del Comune di Salerno, ma tutti i cittadini la ricorderanno ogni volta in cui, durante le ultime passeggiate in spiaggia prima dell’arrivo dell’inverno, incontreranno sporcizia mai rimossa. Le dichiarazioni in riguardo della Presidentessa di Legambiente Campania Mariateresa Imparato, lasciano pensare ad un evento in realtà facilmente prevedibile: “Nulla di sorprendente, visto e considerato che nelle nostre campagne contro il beach litter, che abbracciano trenta spiagge della Campania, troviamo rifiuti in plastica ad ogni passo. Piuttosto immagini come questa devono suggerire la necessità ormai inderogabile di un cambio di paradigma. Non si può più discutere dell’opportunità della plastic tax, il dibattito politico rischia di essere surreale. Oggi siamo tutti responsabili, la transizione ecologica è fondamentale: vanno semmai previsti incentivi per le imprese affinché abbandonino definitivamente modelli produttivi che ci hanno condotti a disastri come questo”.
La necessità di pensare all’ecosistema in maniera differente è adesso prossima alle nostre realtà. È giunto il momento di interpretare anche noi, come gli artisti visionari, un futuro fantascientifico, distopico, horror. Un mondo surreale in cui, una delle creature leggendarie più belle della nostra fantasia, non possa più nuotare nel proprio habitat. Riusciremo a pensare di ripulire il mondo immaginando donne metà umane e metà creature marine intrappolate tra tappi e lattine? Saremo mai in grado di vederle, al di là degli scogli, scuotere la chioma per poi rituffarsi tra gli abissi? In questo momento, se le sirene esistessero davvero, si allontanerebbero dal nostro sguardo curioso per un unico motivo: scappare da Salerno.
Maria Vittoria Santoro