6 Settembre 2019
Si sta stretti. In un modo di fare politica che crea competizione tra i cittadini, che categorizza le persone in base al sesso, al ceto sociale, al luogo di nascita. In un modo di gestire la cosa pubblica che pretende di circoscrivere gli spazi in cui determinare la propria personalità. Che non si impegna a lasciare libero il consenso e a parlare in modo sincero alle persone, ma preferisce ponderare le notizie e la loro diffusione creando spesso false rappresentazioni della realtà. Nell’abitudine di non parlare in base ai temi ma individuando la personalità di turno da attaccare. Nel non riconoscersi in un dibattito dove chi espone le proprie tesi non suggerisce risposte a problemi sociali ma pretende di inculcare verità assolute spesso prive di fondamento. In un paese dove si fatica a riconoscere la propria immagine tra quelle imposte dalla politica. Dove non ci si ritrova non solo nelle risposte, ma soprattutto nelle domande a cui i rappresentanti politici credono di dover rispondere. Si cresce e si vive lungo due corsie diverse dove quella occupata dalla gran parte della società sembra sempre venire dopo, o mai, rispetto a quella a guida statale. Come se i cittadini debbano non solo aspettare, ma in generale adattarsi (e non viceversa) agli interessi dei partiti più quotati.
Si sta stretti. In piazza, insieme ad ogni tipo di persona, professione lavorativa, esperienza personale, età, genere, schieramento politico. Tra quelli che si sono sentiti esclusi troppe volte e che accanto a loro vedono solo qualcuno che ha avvertito lo stesso spaesamento. Riconoscersi nella persona che si ha accanto è qualcosa che fortemente si contrappone ad una politica di divisioni e spesse limitazioni, che restituisce a tutti – ma proprio tutti – il messaggio di pluralismo di volti, nomi, idee, posizioni, modi di guardare e vivere il mondo. Se proprio si deve stare stretti, tanto vale esserlo insieme. Non perché qualcuno toglie spazio, ma perché si è in tanti ad occupare lo stesso fronte. A vedere le stesse cose con occhi e voce diversi. E a trovare in quello stesso perimetro lo spazio e l’aria che non si sono avvertiti prima. Sapere che le proprie difficoltà non sono solo personali, private, ma comuni, perché espressione di un modo di amministrare il paese è qualcosa che restituisce forza e speranza alla società. Anche alle persone che hanno inconsciamente avvertito e continuano ad avvertire le stesse difficoltà e che continuano a brancolare nel buio perché non riescono a scrutare un nome a cui affidare i propri bisogni sociali e politici.
Questa sera, alle 19:00, a Salerno, in Piazza Amendola, chiunque voglia, può sentirsi stretto come una sardina e può farlo insieme a tantissime altre persone. “Parleremo, canteremo e balleremo in nome dell’antifascismo, in favore dei diritti, della dignità, della libertà e dell’umanità. Siamo il paese che non si sente rappresentato dall’attuale linguaggio della politica, di odio, paura ed esclusione. Siamo il paese che vuole porre l’attenzione sui reali problemi delle proprie vite, a cui nessuno è riuscito a dare risposta e a porre rimedio. Dal microfono racconteremo proprio queste istanze e queste storie, mantenendo l’apartiticità che contraddistingue le Sardine alla base. Siamo studenti e lavoratori, studentesse e lavoratrici, madri, padri, persone che vogliono riprendere a navigare vicini gli uni agli altri come un banco di sardine, in un mare che ritorni umano, finalmente verso un porto sicuro” è il messaggio con cui è stato pubblicizzato il flashmob di questa sera e che all’inizio ha visto la nascita di più pagine, gruppi, eventi, tutti confluiti alla fine in un solo giorno, in un unico orario e in un unico luogo. Gli interventi che interesseranno la serata proveranno solo a dar voce ai problemi sociali che per molto tempo sono stati oscurati e a parlare sarà chi li ha vissuti sulla propria pelle. È un momento, questo, importante non solo per chi parteciperà all’evento ma in generale per tutto il paese che magari potrà finalmente rendersi conto delle reali difficoltà a cui le persone stanno da tanto tempo andando incontro e provare, così, forse, a prenderne reale coscienza. Quella consapevolezza che – chissà – magari potrà essere precursore di una nuova era politica, che sia meno partitica e più sociale.
La Redazione