3 Marzo 2011 Intervista integrale a Rossana Prezioso, docente di editoria elettronica, che ci svela con schiettezza tutti i retroscena di un mondo in subbuglio.
Da quanto tempo lavora nel campo dell’editoria?
Mi sono laureata a Salerno, ma poi ho dovuto spostarmi a Torino e Roma per specializzarmi negli studi. La situazione al Sud, specialmente nel campo editoriale, è pessima.
Secondo lei qual è il livello di preparazione offerto dall’università italiana, rispetto all’estero in particolare?
La realtà professionale italiana è estremamente arretrata rispetto a quella degli altri paesi. In Inghilterra e Germania, ad esempio, c’è una visione globale completamente differente dalla nostra. Da noi l’industria editoriale è vista come uno strumento per accumulare denaro, e non come mezzo di elaborazione del pensiero. Negli altri paesi la scrittura ha enorme potenza comunicativa. Pensi che la Germania è la patria degli studi filologici; in Italia le case editrici di questo tipo si contano su una mano. In ultimo, ritengo ci siano ampie differenza anche nella burocrazie; in Francia è molto più veloce, snella, semplificata. Senza clientelismo e parentele tipicamente italiani.
Quale sarà il destino dell’Italia digitale?
Ho sentito più volte proclamare l’imminente rivoluzione elettronica di e-book e ipad. Ritengo che bisogni attendere ancora diverso tempo. In primo luogo nel panorama nazionale riscontriamo un’arretratezza sconcertante sulle conoscenze di base delle tecniche informatiche e nella gestione di hardwere. L’Italia è un paese di vecchi. Prendere in mano a 50 anni un e-book o un tablet digitale e parlare di sistemi open source è molto complicato. Oggi chi sa usare davvero il computer ha meno di 25 anni.
Come giudica i social network?
Non metto in dubbio le potenzialità che questi nuovi strumenti hanno a disposizione (vedi il ruolo fondamentale nelle rivoluzioni in Nord Africa). Ciò che va analizzato è il rapporto dei giovani con questi nuovi mezzi. Oggi i nostri ragazzi si limitano all’uso dei social network, senza approfondire le loro conoscenze informatiche. È come avere un iphone 4 usandolo solo per fare chiamate. Da questo punto di vista penso che i social network rappresentino lo spreco di enormi possibilità.
Che ruolo avranno le biblioteche nel futuro digitale?
La biblioteca è un ente che vive solo se è frequentato allo stesso modo in cui un libro diventa un pensiero vivificante solo quando è letto. Si è parlato molto di un possibile abbattimento di costi, soprattutto sul personale, grazie alla digitalizzazione del sapere. In questo senso l’efficienza delle biblioteche non può che migliorare, ma solo se ci sarà la tanto attesa rivoluzione digitale. Ancora una volta devo dirvi che la situazione attuale non conforta. Oggi le biblioteche italiane non hanno a disposizione nuove acquisizioni per due motivi; in primo luogo l’82% dei tagli imposti dal governo, ma anche (e soprattutto) perché non c’è richiesta. Personalmente non sono fiduciosa, anche per un terzo motivo: coloro che gestiscono le biblioteche dovrebbero avere un’elevata professionalità e preparazione, cosa che purtroppo non corrisponde sempre al vero.
La digitalizzazione del sapere può aiutare il Paese e può avere degli effetti sul “disagio culturale” che stiamo vivendo?
Ho il timore che non basti. Finchè la gente non avrà lo stimolo e la curiosità nella conoscenza non andremo avanti. Il problema non è tanto la gestione del patrimonio ma il cambiamento di mentalità. Proprio a Fisciano ho visto con i miei occhi studenti che, alla vigilia della laurea, chiedevano come si facesse per ritirare un libro nella biblioteca, dopo sette anni di studi! Purtroppo il blocco nasce dal lavoro, e dalla formazione del lavoro in particolare. Anche nel campo giornalistico assistiamo a situazioni al limite della legalità.
Ad esempio?
Ci sono donne costrette a scegliere, durante il periodo di gravidanza, se continuare a scrivere o lasciare la professione. Ci sono giornalisti che ricevono minacce dalla camorra e continuano il loro lavoro d’inchiesta, con mezzi propri, per beccarsi 5 euro ad articolo. Come vede la rivoluzione mentale deve partire dal lavoro ma anche da chi lo offre.
Da cosa può partire lo scatto verso il cambiamento?
Sono dell’idea che le rivoluzioni nascano dalla rabbia della fame e vengano gestite dalla borghesia. Credo fortemente che fin quando il popolo italiano non sarà davvero con l’acqua alla gola non si muoverà mai. Le manifestazioni delle donne di recente sono un segnale, ma è solo l’inizio. Magari bastasse solo quello…
L’arretratezza europea nel campo dell’editoria si spiega solo con l’assenza di interventi privati?
Data la disperazione del panorama culturale italiano l’intervento dei privati è auspicabile perché rappresentano fonti sicure, disponibilità economiche immediate, elevata professionalità. Il problema nasce dal fatto che il privato è padrone completo dell’azione, ed il tornaconto economico è il primo dei suoi obiettivi. Bisognerebbe raggiungere un compromesso, oppure sperare che qualcuno abbia la pietà di non specularci troppo sopra. Aspettare il fatto che un privato debba mettere, per conto personale, il proprio denaro per salvare un bene pubblico del patrimonio artistico rappresenta una grandissima sconfitta, soprattutto pensando che l’Italia da sola possiede il 70% del patrimonio artistico mondiale!
Lei ci consiglia davvero di andare via?
Il livello di formazione professionale italiano è bassissimo. Nelle università estere il percorso di studi prevede poca teoria, al contrario tantissima pratica e ricerca. Se il personale pubblico (italiano) è stato formato nelle università pubbliche, i risultati non saranno sicuramente eccellenti. Il governo poi riveste un ruolo ipocrita, manda le menti migliori all’estero per poi richiamarle in patria. Quasi come se non potesse permettersi di sfamare i suoi figli e li mandasse a mangiare dai vicini! Al ritorno poi, i nostri migliori studenti vedono il loro percorso ostacolato dai baroni. Non facciamoci illusioni. Continuano ad esserci. Sarà anche un consiglio da vigliacchi, ma quando la nave affonda bisogna andarsene…