2 Maggio 2014
Io mi chiamo Federico Aldrovandi, ho 18 anni e sono di Ferrara. Nonostante questa semplice descrizione, vi dico che ho una particolarità che mi differenzia da qualsiasi altro semplice ragazzo: basta che cambi città, per cambiare volto e nome. A Brescia, ad esempio, io sono Paolo Scaroni, a Roma sono Stefano Cucchi, a Badia Del Pino divento Gabriele Sandri, Giuseppe Uva a Varese e infine Stefano Furlan a Trieste.
Vi vedo lì mentre state leggendo queste mie parole, immagino il vostro stupore, l’incredulità, nel pensare che io possa essere non solo me stesso, ma addirittura altre vite, altre storie. Eppure c’è qualcosa che ci accomuna, che rende un crocevia di vite figlio dello stesso destino.
Sono appena arrivato da Bologna, serata al Link, i ragazzi mi lasciano qui a Ferrara, in viale Ippodromo: ironia della sorte qui finisce la mia corsa verso casa.
Una pattuglia della Polizia mi ferma, la mia vita finisce qui la notte del 25 settembre 2005. Ora le versioni di questa mia fine scorrono su due binari distinti e separati.
La prima versione vuole che io, alla vista degli agenti, inizi a dare di matto, addirittura con colpi di Karate, contro le stesse forze dell’ordine; scene da Mortal Kombat, dopo aver assunto un mix letale di droghe: ketamina e anfetamina, il tutto unito a tanto alcool. In fin dei conti, questa versione sarebbe stata anche risolutiva: c’è un inizio, un durante e una fine dell’evento. Giornali e telegiornali avrebbero potuto dare l’accaduto in pasto al grande pubblico e ai sociologi last minute del salotto pomeridiano vertendo su come un semplice ragazzo si sia spento per colpa della sua violenza e dell’abuso di droghe. Caso Chiuso.
Invece no, ora entra in scena l’altra storia: la voce di una donna, dell’Africa più nera, squarcia questo insopportabile velo di omertà, raccontando che quella notte fui vittima di abusi da parte della polizia, smontando dunque la tesi precedente. Ora non entro nello specifico, sia chiaro, però vi dico che all’ultimo incontro con i miei genitori, ero fisicamente un po’ spossato: alle 11 del 25 settembre del 2005 mi ritrovarono con ben 54 lesioni ed ecchimosi su tutto il corpo. Già, i miei genitori…! In particolar modo mia madre Patrizia Moretti, so che l’avete conosciuta, dolce e allo stesso modo forte nel difendere e portare avanti, in questi anni con dure battaglie, questa testimonianza di Anne Marie Tsagueu.
Il 21 Giugno del 2012 i quattro agenti che mi ridussero come una carcassa da rinchiudere nel freezer di una macelleria hanno avuto in cassazione una condanna a 3 anni e 6 mesi.
Io sono Federico Aldrovandi. Ora ho 27 anni, sono di Ferrara e non riesco a riposare. Lo so, vi ho sbalorditi di nuovo, ma sono un ragazzo pieno di risorse. Vi starete domandando come sia possibile che, una volta morto, non riesca più a riposare. Tuttavia, esiste una legge fisica che ho imparato a conoscere e può aiutarvi a capire questo mio problema:
il riposo degli innocenti è direttamente proporzionale alla condanna degli assassini.
Vedete, io, appena saputo che i 3 anni e 6 mesi di condanna sono stati coperti dall’indulto, non sono riuscito a prender sonno. Oppure quando la Coisp lo scorso anno ha solidarizzato con i quattro poliziotti condannati di fronte al Municipio, proprio dove lavora mia madre, per me è stato un duro colpo.
Ad esempio, io sono morto di nuovo il 29 aprile, quando al congresso del Sap una selva di applausi ha accompagnato l’ingresso di tre di quei quattro agenti, gli stessi di quel 25 settembre 2005 incontrati a viale Ippodromo, a Ferrara.
Vedete, non sogno vendette, vorrei semplicemente un numero di identificazione sul casco degli agenti, così da condannare solo chi merita, chi macchia la propria divisa di sangue innocente e far sì che quella legge fisica venga applicata:
il riposo degli innocenti è direttamente proporzionale alla condanna degli assassini.
Gian Luca Sapere
Per approfondire:
– Docufilm “E’ stato morto un ragazzo” di Filippo Vendemmiati
– Articolo de Il Fatto Emilia-Romagna: “Caso Aldrovandi: applausi per gli agenti condannati […]”